LECTIO. Performing Media: dal videoteatro all’interaction design e lo storytelling urbano

In vari ambiti, come il Festival Immaginazioni di Torino,  Soft Science al MACRO Asilo  di Roma , Meraviglie del Possibile di ,  Fotonica, PomeziaLightFestival, Campus Teatrale Digitale dell’Università degli Studi dell’Insubria, Accademia di Belle Arti di Bari, usiamo questa pagina come traccia della lectio di Carlo Infante sul “Performing Media” (uno dei fulcri dell’insegnamento su  Digital Transformation. Tecnologie digitali e processi cognitivi a Università Mercatorum e un corso presso la Sapienza-Università di Roma) come quella al convegno su Patrimonio artistico contemporaneo e sistemi complessi.

Sul Performing Media è appena uscito un libro-librido.

A proposito di Performing Media, metodi di engagement per il New Bauhaus Europeo ecco i quattro punti cardine:

  • L’engagement di cui si tratta riguarda il dare forma alla partecipazione, dopotutto il theatron greco nasce su questi presupposti (lo sguardo condiviso) e noi lo rilanciammo subito, all’avvento del web (vedi le esperienze sull’Arte dello Spettatore, con AGIS a Torino, con Biennale di Venezia, con l’ETI). Le intuizioni di Fluxus con l’happening, l’impatto del Living Theatre in Europa ( Paradise Now al Politecnico di Milano, 1968), gli interventi di Agit-Prop de La Comune. E’ dall’Avanguardia che trova luogo una riconfigurazione del rapporto tra corpo e spazio pubblico.
  • La Postavanguardia in Italia nei primi anni Ottanta con il Videoteatro crea un fenomeno di mixed-media che fa scuola nel mondo (Prologo di Corsetti-Studio Azzurro, 1985), in stretta relazione con una nuova sensibilità sonora che produce nel broadcast RAI emblematiche sperimentazioni radiofoniche.
  • La scena si fa interattiva (vedi Coro di Studio Azzurro, 1995) e si evolve nell’Interaction Design con geniali intuizioni come quelle della Sistematurgia (Epizoo di Marcel li Antunez Roca, 1994).
  • L’innovazione digitale rischia di diventare nuova convenzionalità ma qualcosa di significativo accade con la geolocalizzazione, a partire dalle prime mappe interattive (come glocalmap.to per le Olimiadi di Torino 2006) e le diverse ibridazioni (on life, phygital, etc) come quelle di Urban Experience che hanno evoluto l’urbanismo tattico  con walkabout, mappe parlanti, videoproiezioni nomadi e infine i ritratti performanti, gli NFT e walkipedia di NuvolaProject (in cui i podcast delle mappe parlanti vengono ascoltati da un sistema di Intelligenza Artificiale). C’è un futuro remoto per il Performing Media, ce lo prospetta questa performance di Koinè (Parco incarnato, 2009) che coniuga naturale e artificiale. Segnali di un crossover con l’innovazione sociale, interpretando il genius loci dei territori, anticipando le linee d’indirizzo del New Bauhaus.

 

Performing media (<link a lemma Treccani) è un campo di ricerca che trova origine nell’ambito delle culture digitali e ancora prima del teatro di ricerca affinato ai media, sia radiofonici sia video, in particolare con il videoteatro, una peculiarità italiana (vedi il concept video Index ) sviluppata nei primi anni Ottanta, con la Postavanguardia. Un fenomeno che si è poi esteso alle più diverse articolazioni, tra performance e multimedialità (come nella danza interattiva di Aiep) , con protagonisti d’eccezione quali Paolo Rosa-Studio Azzurro e Silvio Panini-Koinè.

Prologo (1985) di Corsetti-Studio Azzurro è l’esempio emblematico del passaggio dal videoteatro alla nuova performance multimediale)

Oggi il performing media riguarda sempre più la condizione antropologica data dallo sviluppo delle tecnologie abilitanti, di per sé performanti dei nuovi media interattivi, mobili e geolocalizzati.

(Nell’azione di PerformingMediaStorytelling a Gravina (2012) l’uso di twitter e la georeferenziazione esplicitano la pratica ibrida tra web e territorio: “piedi per terra e testa nel cloud” per “scrivere storie nelle geografie”)

Ciò determina un nuovo rapporto uomo-macchina, sempre più simbiotico, reso fluido dalla semplicità d’uso e dalla sollecitazione percettiva e sensoriale delle soluzioni evolute dell’interaction design dove l’interfaccia aptica con un gesto, esplicita un’estensione del corpo.

Epizoo (1994) di Marcel li Antunez Roca, già fondatore de La Fura dels Baus, mette inscena il paradosso di un corpo agito da interfacce, sia quelle periferiche animate da compressori ad aria che muovono l’esocheletro sia quelle grafiche che dal computer permettono di cliccare, agendo sul corpo (versione short). Vedi anche Protomembrana (2009) archiviato in TecArtTeco, dove si è avviata una mappa concettuale e interattiva: Performing Map.

Exp (1996) di AIEP (Ariella Vidach e Claudio Prati) in cui si delinea una strategia di danza che di fatto inventa processi d’interaction design, utilizzando il Mandala System (sviluppato sulle intuizioni di Krueger che conìò Artificial Reality, vedi il lemma Virtuale). Una ricerca in continua evoluzione, passata per i sistemi Motion Capture che permettevano di modellare in 3D forme digitali definite dall’azione coreografica, come in E-Motions (2000) fino ad estendersi nell’azioni in ambienti condivisi di Realtà Virtuale, come in Dance the Distance (2020).

Un’avventura, questa della danza in realtà virtuale, che non trova fantasmagorie ma cerca nuove misure di relazione, come in Peaceful Places (2022) di Margherita Landi-Agnese Lanza.

E’ dal 1991 che ci occupiamo del virtuale e ne abbiamo viste di tutti i colori…come suol dirsi.

Il video clip Evolution, Heaven For Everyone (1994) dei Queen vede il performer cipriota Stelarc protagonista con il suo “terzo braccio” robotico, mosso dai sensori che rilevano la propriocettività dei muscoli del braccio naturale. Stelarc presenta questa performance e il video in anteprima a Milano, nel 1994, nel seminario internazionale su Linguaggi della Mutazione curato da AGAVE.

Un percorso che si sviluppa sui temi della simulazione del virtuale, già dal 1991, con la prima presentazione in pubblico di un sistema immersivo di Realtà Virtuale ( a Roma,Villa Medici, nell’ambito di Mondi Riflessi di cui è stato curatore, per il festival RomaEuropa), convegni (come quello del 1992 a Torino che ha visto coinvolto sia CNR sia Centro Ricerche FIAT) e seminari di studio, fino ad una delle prime sperimentazioni di Active Worlds per un evento pubblico ( una conferenza-spettacolo con avatar proiettati sui palazzi seicentesci della piazza centrale di Macerata, 1999) e una stretta collaborazione con la piattaforma italiana di Mondi Attivi, ambiente virtuale on line multiutente. Una presentazione in prezi su “la simulazione estende il reale”. In parallelo alla dimensione “apollinea” del virtuale si sviluppa, infatti (come Antunez e Stelarc esplicitano) in quegli stesssi anni Novanta quella “dionisiaca” delle cyberpoerformance, di cui si tratta in questo “antico ipetesto” del 2001, sui presagi di Artaud e Nietzsche, per il Teatro di Dioniso di Valter Malosti.

 

 

Le tecnologie digitali diventano così performanti in via direttamente proporzionale alla performance delle nostre azioni.

Questo sta creando un nuovo paradigma per ciò che definiamo cultura: il rapporto tra uomo e mondo non è solo mediato da tecnologie ma comporta un’integrazione sensibile tra il naturale e l’artificiale. Un’interazione che si sviluppa prima attraverso i media elettronici (il videoteatro sondò queste peculiarità già nei primi anni Ottanta, come si rileva nell’INDEX che delinea un’ontologia di quel fenomeno di ricerca che anticipò il performing media) per articolarsi nelle prime forme di interaction design.

Gli ambienti sensibili di Studio Azzurro esplicitano questa potenzialità d’interazione, come in Il giardino delle cose (1992) dove si visualizza attraverso l’infrarosso termico il rapporto tra il corpo (caldo) e le cose (fredde), rivelando un’estrema visibilità nel buio.

 

La ricognizione teorica si svilupperà dalle esperienze del videoteatro, attraversando le prime performance interattive per arrivare alle diverse forme del videomapping e del light experience fino a quel performing media storytelling urbano che utilizza anche videoproiezioni nomadi.

JUMP | media facade | urban screening from URBANSCREEN on Vimeo.

 

Il PerformingMediaStorytelling svolto al Pigneto (2016) utilizza le videoproiezioni nomadi di Antica Proietteria, utilizzando i palazzi e la strada che percorriamo come schermi.

Va ribadito che questo percorso del performing media storytelling parte dall’evoluzione del concetto di videoteatro fissato al Festival di Narni nei primi anni Ottanta e che nel 1988 creò uno dei primi happening “ubiqui” con sistemi radio con la Koinè (qui ce n’è traccia). Ne fummo di fatto co-autori ma il regista-poeta, essenza autorale, era Silvio Panini che in questo video rivela la sua ecosofia, in una delle sue azioni più ispirate. Fu realizzata a Sutri, in un progetto del 2009 di iniziative lungo la Via Francigena, per conto della Regione Lazio. C’è Silvio che ci conduce dentro l’anfiteatro tufaceo che a un certo punto inizia a parlarci (con la sua voce). Un’esperienza perturbante, che fa intendere come il performing media si rivolga a un futuro remoto.

Per concludere sintetizzando e ricapitolando: Performing media è un campo di ricerca che trova origine nell’ambito delle culture digitali, dell’arte interattiva, della cyberperformance e ancora prima del teatro di ricerca affinato ai media, ma riguarda sempre più la condizione antropologica data dallo sviluppo delle tecnologie abilitanti, di per sé performanti. Con l’evoluzione dei media interattivi si pone la questione dell’uso creativo di questi sistemi che di fatto stanno delineando i nuovi termini dell’azione nello spazio pubblico con espressioni di urbanismo tattico (esplorazioni radionomadi, mappe interattive, geo-podcasting) come quelle di Urban Experience. Queste tecnologie diventano così performanti in via direttamente proporzionale alla performance delle nostre azioni nello spazio pubblico, tra web e territorio. Ciò sta creando un nuovo paradigma per ciò che definiamo cultura: il rapporto tra uomo e mondo non è solo mediato da tecnologie ma comporta un’integrazione sensibile tra naturale e artificiale. In questo senso è decisivo progettare azioni che usino le reti per sollecitare engagement e dinamiche partecipative per la co-progettazione nell’ambito della resilienza urbana e il cosiddetto New Bauhaus.

 

 

Alle Lecture-Talk segue spesso un walkabout , come quello all’interno del MACRO per “Exploring Fotonica” e poi all’esterno, nel quartiere Salario-Nomentano (in un territorio che Urban Experience ha già esplorato, come in questa esplorazione partecipata lungo Via Alessandria anni fa)

Una chiara interpretazione del performimg media su societing.org

Una conversazione sul performing media in cui si parla di Artaud, il videoteatro, la cyberperformance e il teatron on line al tempo del lockdown #covid19

Una nota d’annata (1996) sulla cyberperformance.

 

Qui sotto il riferimento ad alcuni dei punti di partenza per le Culture Digitali in Italia

Il Futuro Digitale, maggio 1996, Salone del Libro di Torino

 

La locandina della rassegna “La Scena Immateriale” a Cagliari nel 1994

 

5 pensieri riguardo “LECTIO. Performing Media: dal videoteatro all’interaction design e lo storytelling urbano

  1. […] si sviluppa seguendo questa sequenza di repertori video in cui si articola l’excursus sul Performing Media: dal videoteatro al videomapping e lo storytelling urbano seguendo un percorso che attraversa più di trent’anni di ricerca, trattando delle prime […]

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