Editoriali
Mentre politiche e dibattito pubblico indietreggiano di fronte alle crisi, i Paesi dell’Onu si preparano a un rinnovato impegno con il “Patto sul futuro”. L’ASviS continuerà a mettere l’Italia e l’Europa davanti alle loro responsabilità.
di Enrico Giovannini
Nel 2014 il sociologo e scrittore tedesco Ulrich Beck si domandò se il cambiamento climatico avrebbe salvato il mondo. Alla vigilia della pubblicazione dell’enciclica Laudato sì, dell’approvazione dell’Agenda 2030 e degli Accordi di Parigi, Beck (che morirà il 1° gennaio 2015), riteneva auspicabile, ma anche probabile che il rischio di vedere la civiltà umana sconvolta dalla crisi climatica avrebbe spinto gli esseri umani e le nazioni a “cooperare e condividere” piuttosto che “competere e perire”.
Oggi, a un anno dal decimo anniversario della firma dell’Agenda 2030 e a soli cinque anni dalla data entro la quale i suoi 17 Obiettivi (Sustainable Development Goals, SDGs) e 169 Target devono essere raggiunti, è evidente che lo scenario prefigurato da Beck non si è realizzato, anzi: dopo il quinquennio 2015-2019 di progressi significativi a livello globale nella direzione auspicata, il mondo ha cominciato a tornare indietro non solo in termini di risultati, ma anche di prospettive culturali e politiche con cui si guarda a queste tematiche. Basta ascoltare i discorsi che tanti politici, opinion leader e influencer fanno per ritrovare i segni di quella “retrotopia” (cioè l’utopia di poter tornare indietro di cui parlava Bauman anni fa) che un secolo fa determinò il successo di fascismo, nazismo, ecc. e danni incalcolabili in tutto il mondo.
L’attuale dibattito pubblico è fortemente influenzato da campagne d’opinione e social caratterizzate da varie forme di negazionismo rispetto alla crisi climatica, dal rifiuto di riconoscere le drammatiche e crescenti disuguaglianze che caratterizzano non solo i Paesi sviluppati, ma anche quelli emergenti e in via di sviluppo, dalla cieca fiducia che la tecnica, la rivoluzione digitale e l’Intelligenza artificiale risolveranno tutti i problemi, dal fastidio nei confronti di chi manifesta per la giustizia e la pace in giro per il mondo. Peraltro, molte campagne, e non è una novità, sono finanziate dai cosiddetti “poteri forti”, espressione di interessi economici e politici contrari alle trasformazioni auspicate dall’Agenda 2030, dalla transizione ecologica alla forte riduzione delle disuguaglianze, dalla tutela degli ecosistemi alla pratica del lavoro dignitoso, dalla parità di genere all’educazione di qualità per tutte e tutti, dalla giustizia fiscale al rafforzamento delle istituzioni di garanzia democratica.
Nel clima attuale, la tentazione di “mollare” è forte, magari per richiudersi in quella dimensione privata, analogamente a quanto già avvenuto ciclicamente in tanti Paesi, compresa l’Italia, dopo fasi di forte impegno politico e culturale, spesso sull’onda delle aspirazioni al cambiamento espresse dalle giovani generazioni. E la storia si ripete, anche sul piano culturale: basti pensare ai commenti espressi dagli opinion leader dell’epoca sulle manifestazioni sessantottine per trovare forti assonanze con quanto dicono e scrivono oggi persone di una certa età, tipicamente uomini ultracinquantenni, i quali, dopo aver commentato in maniera indegna l’impegno di Greta Thumberg per la lotta alla crisi climatica, ora sottolineano come lei e i Fridays for Future siano scomparsi dalle piazze dopo averle riempite con messaggi “utopistici”, e celebrano la vittoria conseguita dalla ragionevolezza e dal pragmatismo nei confronti di presunte ideologie ambientaliste.
“Noi no”. No, noi no, per citare la trasmissione televisiva di Sandra Mondaini e Raimondo Vianello andata in onda tra la fine del 1977 e del 1978 (mi scuso per i lettori più giovani che probabilmente non conoscono questi due straordinari artisti italiani), nella cui canzone di apertura si diceva più volte “beato chi ci crede, noi no, non ci crediamo”. Ecco noi non crediamo che, nonostante le difficoltà e i passi indietro, l’Agenda 2030 vada messa in soffitta aspettando tempi migliori o abbandonata. Noi non crediamo che i dati drammatici dell’ultimo Rapporto dell’Onu sullo stato del mondo rispetto ai 17 SDGs spariranno per incanto solo perché il Pil globale cresce del 3% ogni anno. Noi non crediamo che si possano rinviare le politiche per la transizione ecologica e per conseguire la giustizia sociale a causa delle tante aree di tensione e di conflitto. Noi non crediamo che l’Unione europea possa raggiungere gli obiettivi per cui è stata creata (assicurare pace, benessere e difesa dei valori dei suoi popoli, come dice il Trattato) rafforzando i poteri di veto dei singoli Paesi. Noi non crediamo che le istituzioni politiche multilaterali abbiano esaurito la propria funzione e che vadano sostituite da rapporti bilaterali in cui chi vince – come la storia dimostra – è sempre il più forte.
Crediamo invece in quello che dice il preambolo dell’Agenda 2030, per quanto difficile da realizzare:
“Il mondo che immaginiamo è un mondo dove vige il rispetto universale per i diritti dell’uomo e della sua dignità, per lo stato di diritto, per la giustizia, l’uguaglianza e la non-discriminazione; dove si rispettano la razza, l’etnia e la diversità culturale e dove vi sono pari opportunità per la totale realizzazione delle capacità umane e per la prosperità comune. Un mondo che investe nelle nuove generazioni e in cui ogni bambino può crescere lontano da violenza e sfruttamento. Un mondo in cui ogni donna e ogni ragazza può godere di una totale uguaglianza di genere e in cui tutte le barriere all’emancipazione (legali, sociali ed economiche) vengano abbattute. Un mondo giusto, equo, tollerante, aperto e socialmente inclusivo che soddisfi anche i bisogni dei più vulnerabili.
Il mondo che immaginiamo è un mondo in cui ogni Paese gode di una crescita economica duratura, aperta a tutti e sostenibile, e in cui vi è un lavoro dignitoso per ciascuno. Un mondo in cui i consumi, i processi di produzione e l’uso delle risorse naturali (dall’aria alla terra, dai fiumi, i laghi e le falde acquifere ai mari e agli oceani), sono sostenibili. Un mondo dove democrazia, buon governo e stato di diritto, così come un ambiente favorevole a livello internazionale e nazionale, sono essenziali per lo sviluppo sostenibile: per una crescita economica sostenibile e inclusiva, per lo sviluppo sociale, per la tutela dell’ambiente e per sconfiggere la fame e la povertà. Un mondo in cui lo sviluppo e l’impiego della tecnologia sono sensibili al clima, rispettano la biodiversità e sono resilienti. Un mondo in cui l’umanità vive in armonia con la natura e in cui la fauna selvatica e le altre specie viventi sono protette”.
Parafrasando John Lennon in Imagine, si può dire che se tutto questo appare un sogno, la buona notizia è che di sognatori concreti ce ne sono tanti. Mi riferisco non tanto a chi si batte per i valori sopra ricordati in tutto il mondo, ma ai Paesi delle Nazioni Unite, inclusa l’Italia, che il 22 settembre parteciperanno al “Summit del futuro” nel corso del quale verrà firmato un nuovo “Patto” per accelerare l’attuazione dell’Agenda 2030 e mettere le basi per un rilancio dell’Onu e delle istituzioni finanziarie internazionali, per metterle in grado di affrontare gli enormi problemi difronte ai quali ci troviamo, alla faccia dei negazionisti e degli altri “maestri” del rinvio di quelle decisioni che potrebbero cambiare la storia umana, come Beck auspicava.
Leggendo la bozza finale del Patto, i Capi di Stato e di Governo, compresa Giorgia Meloni, ci dicono che: “Ci troviamo di fronte a crescenti rischi catastrofici ed esistenziali, molti dei quali causati dalle scelte che facciamo. Gli altri esseri umani stanno sopportando terribili sofferenze. Se non cambiamo rotta, rischiamo di precipitare in un futuro di crisi e crolli persistenti. Ma questo è anche un momento di speranza e di opportunità. La trasformazione globale è un’opportunità di rinnovamento e progresso fondato sulla nostra comune umanità. I progressi nella conoscenza, nella scienza, nella tecnologia e nell’innovazione potrebbero rappresentare una svolta verso un futuro migliore e più sostenibile per tutti. La scelta è nostra. Crediamo che esista un percorso verso un futuro migliore per tutta l'umanità, compresi coloro che vivono in condizioni di povertà e vulnerabilità. Attraverso le azioni che intraprendiamo oggi, decidiamo di imboccare questa strada, lottando per un mondo che sia sicuro, pacifico, giusto, equo, inclusivo, sostenibile e prospero, un mondo in cui il benessere, la sicurezza e la dignità umana e un pianeta sano sono assicurati”.
E aggiungono:
“Oggi promettiamo un nuovo inizio nel multilateralismo. Le azioni di questo Patto mirano a garantire che le Nazioni Unite e altre istituzioni multilaterali chiave possano offrire un futuro migliore per le persone e il pianeta, consentendoci di adempiere ai nostri impegni esistenti e al tempo stesso di affrontare sfide e opportunità nuove ed emergenti. Riaffermiamo inoltre che i tre pilastri delle Nazioni Unite – sviluppo sostenibile, pace e sicurezza e diritti umani – sono ugualmente importanti, interconnessi e si rafforzano a vicenda. Non possiamo averne uno senza gli altri. Riconosciamo che lo sviluppo sostenibile in tutte le sue tre dimensioni è un obiettivo centrale in sé e che il suo raggiungimento, senza lasciare indietro nessuno, è e sarà sempre un obiettivo centrale del multilateralismo. Riaffermiamo il nostro impegno duraturo nei confronti dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e dei suoi obiettivi. Accelereremo urgentemente i progressi verso il raggiungimento degli obiettivi, anche attraverso passi politici concreti e mobilitando finanziamenti significativi per i paesi in via di sviluppo, con particolare attenzione alle opportunità per i giovani e ai bisogni di coloro che si trovano in situazioni speciali. La povertà in tutte le sue forme e dimensioni, inclusa la povertà estrema, rimane la più grande sfida globale e la sua eliminazione è un requisito indispensabile per lo sviluppo sostenibile”.
Se questi sono gli impegni dei leader del mondo, compresa quella italiana, possiamo noi essere da meno? Noi no, come dicevano Mondaini e Vianello. E per questo l’ASviS continuerà ad impegnarsi al massimo e al suo meglio. Insisteremo in ogni occasione per mettere il nostro Paese e l’Unione europea difronte alle loro responsabilità che liberamente hanno assunto nel 2015 e che confermeranno tra qualche settimana. Per questo rafforzeremo le nostre capacità di analizzare, valutare e giudicare in modo imparziale e rigoroso i passi concreti che verranno compiuti a livello globale, europeo, nazionale e territoriale, così come le omissioni, purtroppo molto più numerose dei primi fin dalla firma dell’Agenda 2030. Ci impegneremo per potenziare gli strumenti di informazione, educazione e formazione sulla sostenibilità a tutto campo, con una particolare attenzione agli adulti, dopo aver contribuito in modo decisivo a portare la conoscenza dell’Agenda 2030 nelle scuole e nelle università. Svilupperemo nuove iniziative di coinvolgimento della società, in collaborazione con le tantissime organizzazioni che già animano il Festival dello Sviluppo Sostenibile, un format unico al mondo, e le altre iniziative di advocacy. Rafforzeremo i legami con gli oltre 330 soggetti che aderiscono all’Alleanza, che dal 2025 si trasformerà in un Ente del Terzo Settore.
Sperimenteremo nuove forme di coinvolgimento delle diverse componenti della società e dell’economia italiana per riflettere sul futuro non in modo episodico, tra un dibattito sui pandori e uno sugli occhiali dotati di telecamera, ma in modo approfondito, sistematico e continuativo, per cercare di costruire quel futuro che l’Italia preferisce tra i tanti possibili futuri. Mettere il futuro al centro della riflessione culturale del Paese sembra un’altra utopia, ma le prime risposte di autorevoli compagni di viaggio e partner ci rendono fiduciosi. D’altra parte, anche quando otto anni fa nacque l’ASviS ben pochi parlavano di sostenibilità nel nostro Paese o di Agenda 2030. Oggi, purtroppo, il “Patto sul futuro” soffre della stessa abissale disattenzione dell’opinione pubblica che quest’ultima dimostrò, nel 2015, per l’Agenda 2030, ma continuiamo ad essere ottimisti sulla possibilità che l’Italia vada finalmente oltre quell’atteggiamento di disinteresse per il suo futuro perfettamente descritto dalla frase attribuita a Francesco Guicciardini che giudicava il comportamento degli italiani davanti alle guerre d’Europa che si svolgevano sul nostro territorio: “Franza o Spagna, purché se magna”.
Sottoscrivendo il “Patto” l’Italia assumerà precisi impegni su cui torneremo nelle prossime settimane e in occasione della presentazione del Rapporto ASviS, prevista a Roma il 17 ottobre mattina. Certo, se il nostro Paese non attuasse nulla degli impegni del “Patto”, così come non ha attuato nessuno di quelli assunti, esattamente un anno fa, nella stessa sede, in occasione del Summit sull’attuazione dell’Agenda 2030, primo fra tutti quello di definire un “piano di accelerazione” per conseguire gli SDGs su cui siamo in ritardo, praticamente tutti, allora avrebbe ragione chi ritiene il nostro Paese, pardon, la nostra Nazione, inaffidabile. Ma poiché noi non crediamo a questi luoghi comuni, faremo del nostro meglio per evitare che ciò accada, con lo spirito di leale cooperazione istituzionale che ci contraddistingue dal primo giorno di vita dell’ASviS.
Fonte copertina: Hernán Piñera