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LOTTA CONTRO IL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze

La concentrazione media globale di CO2 in atmosfera ha raggiunto nel 2022 nuovi livelli record, pari a 415,8 ppm (parti per milione). Dopo il crollo delle emissioni per la pandemia (-8,9%) nel 2020, le emissioni in Italia sono aumentate nel 2021 del 4,8%.

Approfondimenti

L’Italia, il Clima e l’Energia

di Toni Federico, Fondazione per lo sviluppo sostenibile, coordinatore Gruppo di lavoro 7-13 dell'ASviS

Il mandato dell’Accordo di Parigi è di accelerare la transizione energetica. È necessario arrivare intorno al 2050 alla decarbonizzazione dell’economia. Questa fase di drammatiche urgenze ci insegna che non esiste una ricetta eguale per tutti, e che quindi ogni paese deve fare da sé, sviluppando azioni e tecnologie che potranno essere utili a tutta la compagnia.
Gennaio 2019

Si è appena conclusa la Cop 24 climatica di Katowice, fortemente ispirata dalla Relazione speciale dell’Ipcc, la Sr15, con la conferma che lotta al cambiamento climatico rappresenta la principale sfida a scala globale della nostra epoca, per l’economia, l’ambiente e gli stessi equilibri sociali. Causa prevalente del cambiamento climatico è il modo di produzione e di consumo dell’energia che, a differenza del clima, è un problema fortemente territoriale nel quale ogni Paese, e l’Italia in prima linea, può trovare la chiave dell’innovazione che può liberarlo dalla schiavitù dei combustibili fossili, materia prima della quale il nostro paese è tra l’altro poverissimo. Il modo di produzione dell’energia sta mutando rapidamente sotto la spinta delle energie rinnovabili e della loro catena del valore.

Il mandato dell’epocale Accordo di Parigi, che a Katowice è stato dotato tempestivamente del suo Rulebook, le linee guida della sua attuazione dal 2020 in avanti, è di accelerare la transizione energetica. È necessario arrivare intorno al 2050 alla decarbonizzazione dell’economia, cioè in primo luogo dell’energia, dei trasporti e dell’edilizia. Questa fase di drammatiche urgenze ci insegna che non esiste una ricetta eguale per tutti, e che quindi ogni paese deve fare da sé, sviluppando azioni e tecnologie che potranno essere utili a tutta la compagnia, ma senza illudersi di ricevere aiuti più di tanto, considerando che i grandi player dell’energia, Usa, Australia, Russia e Arabia Saudita cui si sta aggiungendo il Brasile, tirano dall’altra parte in nome di interessi di bottega. Proprio in casa loro si verifica il massimo della risposta dei territori con l’aggregazione di coalizioni di città, province e regioni che intendono andare avanti voltando le spalle ai loro governi. Resta in primo piano il ruolo della Cina, essa pure dalla parte della transizione, ma a condizione che le sia assicurato il dominio del mercato.

Siamo orgogliosi che l’Italia si sia schierata per la transizione con la High Ambition Coalition assieme, tra gli altri, ad Argentina, Canada, Colombia, Costa Rica, Danimarca, Etiopia, Ue, Fiji, Finlandia, Francia, Germania, Messico, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia, Regno Unito e piccole isole, contro la banda dei quattro spalleggiata dai Visegrad, sovranisti quanto noi. Il nostro paese, inoltre, si è candidato assieme all’Uk alla cruciale Cop 26 che darà inizio all’attuazione dell’Accordo di Parigi.

In Dicembre Germanwatch ha pubblicato il Climate Change Performance Index 2019 con l’Italia che esce dal gruppo dei Paesi migliori. Il nostro Paese presenta buone performance in tutti e tre gli indicatori quantitativi, emissioni, rinnovabili e consumi energetici, per i quali l’Italia è al terzo posto nel G20. Tuttavia il nostro Paese presenta un trend e delle prospettive di crescita del tutto insufficienti a rispettare gli impegni di Parigi, in particolare a causa della scarsa ambizione della Sen, Strategia energetica nazionale che dovrà pertanto essere migliorata dal Piano energia e clima sempre in fieri. Hanno pesato i trend negativi degli ultimissimi anni sia nella riduzione delle emissioni che nello sviluppo delle fonti rinnovabili: così l’Italia quest’anno è uscita dal gruppo di Paesi considerati high-performing, passando dalla 16°alla 23° posizione. Retrocedono con noi la Francia in 21esima posizione e la Germania in 27esima, ma hanno fatto passi indietro anche Paesi solitamente molto virtuosi, come la Norvegia e la Finlandia.

La nostra attenzione, di soggetti pienamente impegnati, è che la transizione avvenga nel rispetto dell’equità sociale. Questa preoccupazione è emersa con forza a Katowice spinta anche da quanto dice proprio la Relazione speciale IPCC SR15, che ci aveva messo in guardia sull’esistenza di percorsi di decarbonizzazione al di fuori delle regole dello sviluppo sostenibile, che lasciano invariate o addirittura aggravano le disparità sociali, razziali e di genere della società di oggi. Per noi la lotta al cambiamento climatico e la trasformazione dell’energia sono due dei Goal dell’Agenda 2030 e si perseguono in coerenza con gli altri, nel nostro Paese ed altrove!

L'Italia fa fatica a crescere, ed è uno dei paesi climaticamente più vulnerabili a livello europeo. Non si capisce perché non si dimostra in grado di trarre vantaggio dalla transizione energetica e dalla lotta ai cambiamenti climatici dove c’è molto da fare, da investire e quindi da guadagnare in PIL, esportazioni, occupazione e innovazione tecnologica, gli ingredienti dello sviluppo. C’è da sconfiggere il dissesto idrogeologico che non è una spesa difensiva, di consumo, ma un investimento che restituisce funzionalità e valore al territorio, nuova ricchezza in grado di produrre. Analogo discorso vale per le ondate di calore. ISPRA valuta in 29 Mld€ l’investimento necessario sul territorio.

L'Italia è un leader nell'UE per le energie rinnovabili, ma gli investimenti devono crescere. Con oltre il 17% del consumo di energia coperto da fonti rinnovabili, l'Italia è uno dei primi paesi europei che hanno già raggiunto l’obiettivo della Strategia EU 2020. Per la transizione energetica il settore delle energie rinnovabili è un fattore decisivo, con 4,8 Mld€ di investimenti, quasi 9 Mld€ di spese operative e di manutenzione nella catena del valore e 130 mila persone impiegate. C’è però un evidente deficit di governance all’origine della diminuzione, negli ultimi anni, del tasso di crescita delle energie e degli inevitabili esiti negativi sulle emissioni serra. Secondo la SEN, la strategia energetica nazionale italiana approvata entro la fine del 2017, nel 2030 le fonti rinnovabili dovrebbero coprire il 28% del consumo finale di energia. Questo comporta investimenti che in poco più di un decennio, dovranno servire a coprire il 55% del consumo di energia con fonti rinnovabili: la produzione di energia eolica dovrà raddoppiare e il fotovoltaico dovrà triplicare.

L’efficienza energetica, il secondo pilastro dello SDG 7, è la prima delle fonti rinnovabili (Ricci) e se dobbiamo investire, lo dobbiamo fare partendo proprio da qui. L’efficienza non è solo consumo evitato di energia ma è un a modalità indispensabile nella transizione energetica dal punto di vista della domanda. L’Italia da questo punto di vista ha già fatto molto con le incentivazioni fiscali e i certificati bianchi, ma ci sono dei settori dove abbiamo ancora moltissimi margini di miglioramento, come, ad esempio, nel residenziale. Qui gli incentivi possono essere efficaci ma necessitano di un miglioramento della comunicazione e una semplificazione normativa che ne facilitino l’applicazione. Non si raggiunge infatti l'obiettivo di decarbonizzazione senza implementare un profondo piano di ristrutturazione per le nostre città. Laddove nella maggior parte del mondo la popolazione vive in aree urbane che hanno un forte impatto ambientale, l'Italia presenta alcune eccellenze a livello europeo e internazionale. Negli ultimi dieci anni il settore dell'edilizia nazionale è cambiato considerevolmente spostando gli investimenti sulla rigenerazione urbana, che oggi rappresenta il 79% del totale del valore aggiunto del settore. Nel 2016, per merito della riduzione fiscale sui progetti di riqualificazione energetica degli edifici, si sono prodotti 3,1 Mld€ di investimenti e nuovi impieghi per quasi 38 mila lavoratori.

I trasporti generano il 25% delle emissioni nazionali di gas serra, di cui il 95% prodotto da veicoli stradali. I combustibili fossili danno ai trasporti oltre il 95% del fabbisogno energetico. La domanda di mobilità va ridotta e spostata verso il trasporto pubblico e quello condiviso (sharing). L’Italia è uno dei paesi europei dove i servizi di sharing di autoveicoli, ma anche di bici e scooter, stanno conoscendo una forte crescita: il tasso di elettrificazione del parco di veicoli condivisi è molto più alto di quello dei veicoli privati e l’utilizzo di veicoli totalmente elettrici è facilitato, non richiedendo la presenza di una infrastruttura di ricarica diffusa.  Latita incredibilmente, in un’Italia qui particolarmente miope, lo sforzo industriale e la ricerca scientifica e tecnologica per i veicoli elettrici, ibridi, l’idrogeno e le celle a combustibile. Finirà che compreremo veicoli innovativi dal mercato internazionale che è in rapida espansione, errore già pagato caro per l’eolico e il fotovoltaico.

Questa nota non può terminare senza un accenno alla delicata questione della fiscalità ecologica, uno strumento indispensabile per la transizione energetico-climatica.

Mettere un prezzo al carbonio è considerato uno dei meccanismi più efficaci per decarbonizzare l'economia. Ad oggi, sono state adottate nel mondo 51 iniziative che riguarderebbero 11 GtCO2eq, circa il 20% delle emissioni di gas serra, rispetto a circa il 5% registrato nel 2010. L'ETS europeo nel 2017 rimane il primo mercato del carbonio, ma sarà presto superato dalla Cina, entro il 2020. Nel 2018, il valore totale delle iniziative globali di determinazione del prezzo del carbonio dovrebbe raggiungere 82 Mld$, + 56% rispetto al 2017. I prezzi del carbonio variano molto, da meno di 1 a un massimo di  139/tCO2eq, ma il 46% delle emissioni coperte ha un prezzo inferiore a  10$/tCO2eq, ben al di sotto  dei 40-80$ necessari per attuare l'accordo di Parigi.

Ma … tra il dire e il fare si intromettono due episodi a noi vicini, entrambi i quali hanno generato perplessità nella popolazione italiana e dei cugini francesi. Il bonus-malus italiano, largamente osteggiato in parlamento, e non solo, va inserito (Ronchi) in un quadro strategico sia di medio (2030) sia di lungo termine (2050) per orientare i comportamenti dei cittadini e quelli dei produttori. A lungo termine si dovrà arrivare a mezzi ad emissioni quasi zero e a medio termine ad abolire l’immatricolazione di nuove auto sia diesel che benzina. Nella transizione al medio termine si dovrebbe puntare a eliminare dalla circolazione i mezzi più inquinanti, a ridurre il numero di auto per uso individuale e le loro percorrenze, ad aumentare il trasporto pubblico, quello condiviso, la mobilità ciclopedonale e incentivare la diffusione dei mezzi di trasporto più ecologici. Quindi a chi dare il bonus fino a 6.000 euro? La priorità è certamente quella dei mezzi elettrici per il trasporto pubblico e per quello condiviso (sharing, pooling, taxi ecc.) per i veicoli commerciali leggeri, per gli scooter elettrici e le bici a pedalata assistita. Il bonus andrebbe dato ad auto con emissioni inferiori ai 90 gCO2/Km, purché non alimentate esclusivamente a diesel e benzina. A chi far pagare il malus? Ai veicoli più inquinanti in maniera crescente con la cilindrata e le emissioni. Il livello di esenzione dal malus dovrebbe partire da un doppio riferimento: dalla cilindrata fino 1600 cc e dalle emissioni superiori a 120 grammi di CO2 tutelando le fasce a reddito più basso e le auto piccole, comunque in media meno inquinanti.

In Francia il Presidente Macron introduce provvedimenti con all’interno una poco meditata carbon tax. In pochi giorni la Francia viene messa a ferro e fuoco dai gilet jaune, un movimento spontaneo di poveri, e di esclusi dalle elite cittadine per calmare i quali Macron è costretto a dichiarare proprio l’abrogazione della carbon tax, peraltro, per quanto ne sappiamo di soli 4 €cent/litro per la benzina. I danni ai percorsi difficili dell’Accordo sul clima, nato proprio in Francia, nell’elitaria Parigi, sono enormi, sospinti dalla lobby mondiali dei commercianti di combustibili fossili.  Dunque Macron è un ingenuo imprudente o, come dicevamo un tempo, un avventurista? Certamente i suoi provvedimenti di stampo alquanto neoliberista si sono rivelati iniqui ed inaccettabili per gran parte dei francesi che hanno respinto le tasse ambientali e tutto il resto. Sarebbe quello di Macron, novello Luigi XVI (The Guardian), un caso scuola di quelli che abbiamo chiamato percorsi di decarbonizzazione privi di equità e contrari ai principi dello sviluppo sostenibile. Ma insomma … arrestare gli studenti a 50 anni dal maggio francese!

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