Approfondimenti
Per un reddito energetico più equo ed efficiente
di Vanni Rinaldi, giornalista ed esperto ASviS
Al via la misura del governo per combattere la povertà energetica: già prenotati tutti i fondi per il Sud, ma l’intervento rischia di rivelarsi iniquo e parcellizzato. Meglio puntare su Cer pubbliche.
19 agosto 2024
A luglio di quest’anno è finalmente partito il reddito energetico, una misura attesa da molti per mitigare gli effetti della povertà energetica, che secondo i più recenti dati dell’Osservatorio italiano sulla povertà energetica (Oipe) a fine 2022 riguardava ben due milioni di famiglie nel nostro Paese. Il reddito energetico è stato introdotto nel 2023 dal Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica nel Piano di sviluppo e coesione 2020-2024. La misura si attua attraverso un Fondo rotativo per la realizzazione di impianti di produzione di energia da fotovoltaico in autoconsumo, per le famiglie con Isee tra 9mila e 15mila euro annuo, a seconda della numerosità dei componenti. Il Fondo stanzia i contributi tramite il Gestore dei servizi energetici (Gse) che li alloca direttamente agli istallatori registrati in un apposito albo, senza esborso per le famiglie beneficiarie. Si tratta di un contributo fisso di 2mila euro, più una quota variabile di 1500 euro per ogni kilowattora istallato, comprensivi di un’assicurazione per 10 anni sui rischi, inclusi quelli cyber. In cambio i beneficiari cederanno i proventi per l’energia non autoconsumata, che andranno a reintegrare il fondo stesso. Per il biennio 2024 e il 2025 sono stati stanziati 100 milioni per anno, con una destinazione geografica dell’80% alle regioni del Sud. Già nelle prime settimane di luglio sono stati prenotati tutti gli 80 milioni disponibili per il Meridione, per un totale di circa 10.500 richieste, mentre nelle restanti regioni è stato prenotato il 25% dei fondi disponibili.
La forte e rapida adesione, perlomeno al Sud, dimostra il bisogno di misure concrete per affrontare la povertà energetica in Italia e conferma la validità della misura, ma sollecita anche una riflessione per l’utilizzo dei fondi per il 2025. Infatti la misura è stata pensata nel solco dei classici incentivi da distribuire su una platea molto più vasta (due milioni di famiglie) di quella realmente impattata dalle risorse disponibili. Questo tipo di meccanismo per affrontare la transizione energetica e in particolare una giusta transizione, si rivela però poco efficiente e iniquo. Iniquo perché a causa della necessità per accedervi, del possesso di un titolo reale di proprietà su un tetto o comunque una superficie per istallare i pannelli, discrimina tra chi il tetto ce l’ha e chi no. Questa discriminazione sulla fruibilità di incentivi pubblici, peraltro nega anche il principio di inclusività previsto dall’Agenda 2030 per le energie rinnovabili, ed è particolarmente ingiusta in questo caso in quanto la discriminazione è tra famiglie di cittadini ugualmente in difficoltà. Inoltre la parcellizzazione degli impianti finanziati, che alla fine del biennio potrebbero risultare oltre 30mila, e dei conseguenti interventi di istallazione, rende la spesa pubblica poco efficiente in quanto lo stesso obiettivo si potrebbe raggiungere con costi inferiori e in tempi nettamente ridotti, attraverso la realizzazione da parte dello Stato di impianti “utility scale”.
Perché allora non migliorare e rendere più efficiente la misura creando delle Comunità energetiche rinnovabili (Cer) pubbliche con costi inferiori e maggiore equità partecipativa? Per esempio con lo scambio virtuale dell’energia rinnovabile, attraverso delle Cer (o forme analoghe di autoconsumo collettivo) operanti con grandi impianti sulle numerose istallazioni del ministero della Difesa (peraltro dotato di struttura operativa ad hoc), come ex-aeroporti o ex- caserme o capannoni e poligoni dismessi, che consentirebbe di far accedere le famiglie, richiedenti il reddito energetico, con semplici domande di adesione in base ai requisiti di reddito e senza dover fare lavori in casa. In questo modo, oltre al risparmio sui costi dei pannelli che per i grandi impianti secondo i dati del Gse potrebbero arrivare anche al 15%, si avrebbe anche il risparmio dei costi di istallazione e allaccio, guadagnando quindi anche sui tempi di messa a disposizione del reddito energetico per le famiglie coinvolte. Questo modello delle Cer pubbliche contro la povertà energetica consentirebbe, a parità di risorse stanziate, di raggiungere circa un 40/50% in più di famiglie di quante verranno coinvolte con l’attuale modello diffuso.Sarebbe inoltre facile in questo modo, aprire questa misura a eventuali finanziatori privati, come le fondazioni e le associazioni non profit che sono impegnate nella lotta alla povertà energetica, aumentando le risorse economiche a disposizione delle famiglie interessate.