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RIDURRE LE DISUGUAGLIANZE

Ridurre l'ineguaglianza all'interno di e fra le Nazioni

Pandemia e inflazione acuiscono le disparità all’interno del Paese: dal 2019 al 2021 è peggiorato l’indice di disuguaglianza del reddito disponibile e permangono elevate differenze territoriali e di genere. Anche nel resto del mondo si amplia il divario tra ricchi e poveri: il 10% di popolazione più abbiente possiede il 76% della ricchezza globale.

Approfondimenti

La qualità dello sviluppo e il benessere socio-economico

di Fulvio Fammoni, presidente Fondazione Di Vittorio

Gli istituti di ricerca Fdv e Tecnè hanno realizzato il “Rapporto sulla qualità dello sviluppo in Italia” con l’obiettivo di misurare lo stato di salute del Paese dal punto di vista delle disuguaglianze territoriali. Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Veneto le regioni con la migliore performance. Campania, Sicilia e Calabria i fanalini di coda.
Marzo 2017

Il tema della misurazione della qualità dello sviluppo e del benessere degli individui ha stimolato, negli ultimi anni, ampi spazi di discussione in tutto il mondo e può ormai contare su importanti esperienze nazionali e internazionali, cui hanno contribuito diverse discipline economiche e sociologiche in grado di dare conto della complessità della società e di monitorare quei fenomeni che, in maniera e in misura diversa, contribuiscono alla qualità dello sviluppo e al benessere dei cittadini. Come gli studi dimostrano (e come il buon senso suggerisce) la crescita economica ha una relazione stretta con la qualità della vita degli individui e con le caratteristiche e le dotazioni dei territori. E la competitività, nonostante quello che molti affermano, aumenta in funzione di quanto crescono l’equità e le possibilità offerte agli individui.

Su queste basi FDV e Tecnè, due istituti di ricerca che da tempo collaborano, hanno realizzato il “Rapporto sulla qualità dello sviluppo in Italia” che – senza alcuna pretesa di esaustività - ha l’obiettivo di misurare lo stato di salute del Paese da uno specifico punto di vista: quello delle disuguaglianze territoriali.

La scelta del sistema di indicatori e del metodo di calcolo degli indici (basato sulla distanza di ogni singola regione rispetto alla media nazionale) è funzionale proprio a evidenziare le eccellenze e misurare le distanze tra i vari territori. Si tratta della seconda edizione del rapporto e rispetto all’edizione del 2015 il rapporto è stato arricchito di nuovi indicatori (da 87 a 104), raggruppati in 12 macro-aree di analisi:

STANDARD ABITATIVI, BENI POSSEDUTI DALLE FAMIGLIE, CONTESTO TERRITORIALE, CONDIZIONI DI SALUTE DEGLI INDIVIDUI, SERVIZI SOCIO-SANITARI, CAPITALE SOCIALE, CAPITALE CULTURALE, INFRASTRUTTURE ECONOMICHE, EQUITA' SOCIO-ECONOMICA, FIDUCIA ECONOMICA, FIDUCIA INTERPERSONALE, SODDISFAZIONE PERSONALE.

Nonostante la crescita economica registrata dal Pil e il modesto miglioramento dei livelli occupazionali, l’Italia continua a mostrare i segni di un progressivo deterioramento della qualità dello sviluppo, accompagnato da profonde differenze territoriali e sociali.

L’indice generale scende da 100 a 99, con un peggioramento rispetto allo scorso anno, in particolare, nel nord e nel centro e con il mezzogiorno che continua a essere in grave ritardo rispetto al resto del Paese. Aumentano le disuguaglianze economiche e la concentrazione della ricchezza. 

Dei 12 indicatori presi a riferimento nella tabella, 7 migliorano e 1 risulta uguale rispetto al 2015. Ma i 4 che peggiorano fanno calare l’intero indice rispetto all’anno precedente. Il problema è rappresentato –in modo evidente- dalla “fiducia economica”.

La fiducia è uno dei motori più importanti della crescita economica, senza la quale non solo diventa difficile fare progetti di vita, ma anche i consumi e gli investimenti tendono a comprimersi o a dilatarsi in attesa di tempi migliori. L’aumento delle disuguaglianze rispecchia un Paese che ha perso fiducia nel futuro, dove gli ascensori sociali hanno smesso di funzionare e la povertà ha sempre più sintomi di una malattia cronica. Solo il 31% pensa che la situazione economica dell’Italia migliorerà nei prossimi 12 mesi (era il 44% nel 2015) e se si guarda alla situazione personale appena l’11% si attende un miglioramento (-2%). Non va meglio sul fronte del lavoro: solo il 24% pensa che l’occupazione crescerà (era il 31% nel 2015). Nel complesso l’indice della fiducia economica scende da 100 a 76, con il nord-ovest a 97 punti (ma erano 120 nel 2015), seguito dal nord-est con 88 punti (erano 134), dal centro con 76 punti (86) e dal mezzogiorno con 56 punti (72). La Lombardia guida la graduatoria, seguita dal Veneto.

La qualità dello sviluppo si misura ovviamente anche nella rete di relazioni e in quella “spinta a partecipare” alla vita civile, sociale e politica, che trova riscontro nel tema dedicato agli amici, nell’attenzione e nella cura verso il prossimo, nell’interesse nei confronti della politica. E’ questo che viene definito “capitale sociale”, altro indicatore in calo rispetto al 2015. Si frequentano meno gli amici e si passa meno tempo fuori casa, ma si è più soddisfatti del tempo libero. Peggiorano gli standard abitativi ma aumentano beni posseduti dalle famiglie come consolle di videogiochi e parabole), in una sorta di adattamento funzionale verso la dimensione domestica.

Questa dinamica segnala un ripiegamento nel privato e un indebolimento della propensione sociale partecipativa. Cala la partecipazione agli eventi collettivi ma cresce l’interesse individuale nei confronti di ciò che accade nel Paese. Aumentano le forme di solidarietà non partecipativa: crescono quanti sono disponibili a dare un aiuto economico ma diminuiscono quanti sono disponibili a dare un aiuto pratico e diretto, mentre prende forma una conflittualità sociale a bassa intensità e ad alta frequenza, che diventa più forte nelle area sociali più vulnerabili.

Le differenze nella struttura economica e sociale si riflettono anche negli indicatori che misurano l’equità, confermando la relazione ben nota nell’analisi economica tra crescita del disagio e crescita delle disuguaglianze. Il nord è senz’altro l’area del Paese dove il livello di disuguaglianza economica è inferiore mentre nel mezzogiorno sia per quanto riguarda la distribuzione dei redditi che per quanto riguarda la concentrazione della ricchezza il livello sale moltissimo. Rispetto al primo rapporto, il nord-ovest flette di 3 punti, il nord-est aumenta di 2 punti, il centro e il mezzogiorno scendono rispettivamente di 3 e 1 punto. Trentino, Lombardia ed Emilia Romagna sono le regioni in testa in questa graduatoria.

In sintesi: le 3 regioni migliori dal punto di vista della qualità dello sviluppo sono il Trentino Alto Adige (136), il Friuli Venezia Giulia (113) e il Veneto (112). Fanalino di coda, nell’ordine, Campania, Sicilia e Calabria.

Nel complesso l’Italia cresce economicamente (poco, nonostante il contesto internazionale favorevole) e la ricchezza tende sempre più a concentrarsi in fasce di popolazione ad alto reddito, col risultato che il ceto medio è più fragile, aumentano i poveri e (soprattutto) i quasi-poveri, il lavoro è percepito più instabile e nel complesso è più difficile migliorare le proprie condizioni economiche, sociali e professionali. Tutto ciò si riflette in un sentimento di diffuso pessimismo sul futuro del Paese e in una crescente sfiducia economica, di cui la condizione del lavoro è il perno centrale. La mancanza di occupazione, la precarizzazione, la svalorizzazione del lavoro e dei suoi diritti oltre che un enorme problema per le persone, rappresentano un freno allo sviluppo del Paese. Dare risposte partendo dai più deboli è dunque non solo giusto ma è il meccanismo necessario per dare sicurezza a tutti. 

 

Aderenti

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