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Almeno la metà delle grandi aziende globali è a rischio greenwashing

Influencemap ha valutato il divario tra dichiarazioni e azioni concrete delle imprese: tra quelle disallineate all’Accordo di Parigi ci sono soprattutto i settori dei combustibili fossili, e del trasporto aereo e stradale. [VIDEO] 4/12/23

lunedì 4 dicembre 2023
Tempo di lettura: min

Gli obiettivi di neutralità climatica o di riduzione delle emissioni sbandierati dalle imprese sono raramente accompagnati da un reale sostegno che le stesse aziende danno alle politiche climatiche intraprese dai governi e dai grandi accordi internazionali. Delle circa 300 aziende analizzate, presenti all’interno della classifica “Forbes 2000” che individua le più grandi aziende al mondo, più della metà, e cioè il 58%, è a rischio greenwashing. È quanto sostiene una nuova ricerca che individua il divario tra dichiarazioni e azioni concrete in materia di lotta alla crisi climatica rilasciata il 16 novembre da Influencemap dal titolo “Net zero greenwash”: the gap between corporate commitments and their policy engagement”.

“Questi risultati dovrebbero essere un campanello d’allarme per le aziende di tutto il mondo”, ha dichiarato Catherine McKenna, fondatrice di Climate and nature solutions e presidente del gruppo di esperti di alto livello del segretario generale delle Nazioni unite sugli impegni net zero. “È chiaro che, mentre le aziende si affrettano a mostrare i propri impegni climatici, troppe di loro non sostengono una politica governativa positiva sul clima. Non solo molte aziende scelgono di indebolire i propri impegni climatici esercitando pressioni contro l’azione per il clima, ma i loro impegni per l’azzeramento delle emissioni nette semplicemente non sono credibili. Abbiamo bisogno che le imprese creino un ciclo di ambizioni climatiche in cui la leadership del settore privato incoraggi e rafforzi l’azione ambiziosa del governo”.

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Per definire il greenwashing aziendale sul net zero, che rappresenta l’obiettivo della neutralità climatica da raggiungere entro la metà del secolo, Influencemap si è avvalsa dello studio dell’Onu “Integrity matters: net zero commitments by businesses, financial institutions, cities and regions”, pubblicato durante la scorsa Cop 27 sul clima. Il lavoro di ricerca delle Nazioni unite stabiliva alcune semplici regole per gli attori non statali che vogliano definirsi “net zero”: non devono investire nei combustibili fossili; devono tagliare le emissioni dalla propria catena del valore anziché acquistare crediti di carbonio “poco trasparenti”; non devono svolgere attività di lobby finalizzate a rallentare e minare le politiche climatiche governative; devono passare da iniziative volontarie a requisiti net zero regolamentati.



L’analisi di Influencemap

Come primo passo Influencemap ha utilizzato diverse fonti per valutare come vengono descritti gli sforzi climatici delle aziende: siti web, canali social, media, informative rivolte agli investitori, consultazioni del governo pubblico. Il secondo step è stato quello di suddividere le aziende in base al loro impegno reale: come si evince dal seguente grafico ci sono quelle “disallineate” (fascia D – fascia F), quelle “più o meno allineate” (fascia C - fascia D), e quelle “allineate” (fascia A – fascia B) con l’obiettivo dell’Accordo di Parigi, cioè limitare l’aumento medio della temperatura al di sotto dei 2° centigradi rispetto al periodo preindustriale, facendo il possibile per restare al di sotto di 1,5°C.

Non sorprende che tra le aziende “disallineate” ci siano soprattutto quelle dei combustibili fossili, in compagnia di aziende automobilistiche e di trasporto aereo, come Chevron, Duke Energy, Exxonmobil, Southern, Delta air lines, Stellantis, Ryanair, Toyota, Glencore international e Nippon steel corporation. Tuttavia, segnala il report, anche imprese di altri comparti come Home depot, Walt Disney e Kraft Heinz rientrano in questo elenco dei “cattivi”.

La maggior parte delle aziende (il 62% de totale) fa parte invece della categoria “più o meno allineate”, e tra queste troviamo: Dow, Merck e Bmw, Microsoft, Nike, Unilever, Walmart, Pepsico e Hewlett Packard. Solo quindici aziende sono state invece classificate come "allineate" all'Accordo di Parigi, tra cui Apple, General Mills, Glaxosmithkline, Enel, Danone e H&m.

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Tra gli altri risultati chiave, il Rapporto ha riscontrato una “correlazione positiva molto debole” tra il numero di pagine web aziendali che utilizzano il termine “net zero” e l’impegno sul clima, concludendo che molte imprese sfruttano la comunicazione sulla neutralità climatica senza perseguirla realmente. Per esempio, Emerson electric e Lowe's hanno ottenuto la “fascia D”, ma entrambe le aziende possiedono più di 2 mila pagine web che sponsorizzano il net zero. Al contrario, General mills e Paypal, pur guadagnando la “B”, hanno meno di 20 comunicazioni in tal senso.

Un altro risultato chiave è dato, infine, dal fatto che solo l’8% delle aziende ha fissato un obiettivo climatico aderendo al protocollo dell’iniziativa globale Science based targets, che monitora, definisce e promuove le migliori pratiche nella riduzione delle emissioni e negli obiettivi di zero emissioni in linea con la scienza del clima.

Scarica il Rapporto di Influencemap

 

di Ivan Manzo

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