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Gli incendi in Amazzonia rilanciano il dibattito sulla governance mondiale
Per Gianfranco Bologna (Wwf e ASviS) serve un approccio globale basato su evidenze scientifche: “La gestione del bene comune deve andare oltre la sovranità nazionale. Lo strumento operativo può essere il Consiglio di sicurezza Onu”. [VIDEO] 28/8/19
“#PrayForAmazonas”, prega per l'Amazzonia. La tragedia che si sta consumando da settimane ha ispirato la reazione di milioni di persone a ogni latitudine. Preghiere sui social, donazioni e campagne di sensibilizzazione, proteste davanti alle sedi diplomatiche brasiliane sono state la risposta vivissima di una popolazione mondiale sempre più informata, interconnessa e preoccupata, ma chi deve gestire la foresta pluviale più grande al mondo, fondamentale pilastro degli equilibri climatici? I singoli Stati o la comunità internazionale che si fa carico di far rispettare gli accordi sull'ambiente? Il tema è stato anche al centro del recente G7 di Biarritz, nel quale sono stati stanziati 20 milioni per combattere questi incendi.
Se tuttavia grandi critiche sono oggi mosse al presidente brasiliano Jair Bolsonaro, che non perde occasione per ripetere al mondo che la gestione e la tutela della Foresta equatoriale è “affar nostro” e così pure ha ribadito il suo consigliere Felipe Martins in una serie di tweet: “Noi sappiamo come proteggere e avere cura di ciò che è nostro”, molti accadimenti altrettanto critici su scala planetaria sono passati in sordina, come l'intervento tardivo nell'Amazzonia boliviana, al pari in fiamme in una superficie di 10mila chilometri, da parte del presidente Evo Morales, o i ritardi e i silenzi di Putin sugli incendi di luglio in Siberia che nell'indifferenza generale hanno cancellato un'area boschiva grande come Piemonte e Lombardia messi insieme, o ancora il disastro che ha investito le isole Canarie.
Non aiuta agli occhi dell'opinione pubblica la scelta di Bolsonaro di unificare il ministero dell'Ambiente e quello dell'Agricoltura, di fatto ponendo le risorse naturali a servizio dello sfruttamento agricolo industriale: deforestazioni massicce per far spazio a pascoli di bestiame e colture, soia in particolare, destinate alla mangimistica; senza tralasciare i tagli destinati alla tutela di aree protette o alle accuse rivolte a ong e agricoltori, colpevoli a suo dire della catastrofe ambientale.
Guardare la fotografia nel suo complesso, però, solleva una riflessione che va ben oltre i roghi delle ultime settimane. Numerosi studi scientifici hanno delineato i confini del Pianeta all'interno dei quali si colloca il Sos, Safe operation space, così definito da Kate Raworth nel suo famoso saggio “L'economia della ciambella”. Si tratta di limiti oggettivi all'interno dei quali è possibile l'esistenza umana. Aria, acqua, cibo sono servizi ecosistemici senza i quali non si può vivere. Non esiste benessere, ricchezza o giustizia che non si fondi in primis sulla disponibilità di queste risorse.
L'economia della ciambella, Bologna (Wwf): "Spazio per vivere bene nei limiti del Pianeta"
L'International Council for Science, che ha visto il recente accorpamento degli scienziati che si occupavano di studi sociali con quelli impegnati nelle scienze naturali, in una visione olistica in lineao con lo spirito dell'Agenda 2030, è l'organizzazione internazionale non governativa fondata nel 1931 nell'ambito Onu dedicata alla cooperazione internazionale per l'avanzamento della scienza. Tra i suoi compiti c'è proprio quello di approfondire, monitorare e fornire evidenze sul global change, a tutto tondo. Il cambiamento climatico è infatti solo uno dei mutamenti conseguenti all'azione umana, in quella che molti esperti definiscono ormai senza dubbi l'antropocene, l'era geologica caratterizzata e dominata dalla presenza umana. Secondo il Rapporto dell'Ipbes, Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, pubblicato nel maggio 2019, ben il 75% delle terre emerse e il 66% di mari e oceani è stato modificato dalla presenza umana che ha degradato, inquinato e distrutto ingenti risorse naturali. Continuando con questo ritmo, nella logica business as usual, nel 2050 solo il 10% delle terre saranno ancora prive di danni provocati dall'uomo.
L'amazzonia brucia: il video del Wwf
Individuate su basi scientifiche le coordinate all'interno delle quali l'azione umana deve muoversi per non compromettere la salute, il benessere, ma anche la sopravvivenza, dei cittadini di tutto il mondo e delle generazioni future, dunque, subentra la necessità di una governance più forte e decisa, supportata con convinzione dai singoli Paesi. Ad oggi infatti la risoluzione a problematiche transnazionali come l'inquinamento da plastica degli oceani, il ciclo dei rifiuti o il taglio delle emissioni nocive, non può che passare per un modello di gestione delle risorse naturali, della tutela degli ecosistemi e della biodiversità che metta al centro il bene pubblico e trascenda dagli interessi nazionali.
“Il ruolo e il peso di un organo come l'International council for science dovrebbe quindi essere portante nella definizione di una nuova governance mondiale che diriga la svolta”, spiega Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia e coordinatore del gruppo di lavoro dell’ASviS sui Goal 6, 14 e 15 dell’Agenda 2030, “Accanto a questo, lo strumento operativo per tradurre le indicazioni che provengono dalla comunità scientifica a un livello politico potrebbe essere il Consiglio di sicurezza dell'Onu. Il tema della sicurezza globale oggi non può più essere relegato alla considerazione di armi ed eserciti per la difesa di confini e sovranità. Nuove e fondamentali istanze devono essere incluse nell'agenda politica condivisa dai Paesi delle Nazioni Unite”.
Non è una proposta nuova quella del direttore scientifico del Wwf che cita Lester Brown, agronomo, scrittore e ambientalista statunitense, fondatore del Worldwatch institute e del Earth policy institute, che teorizzò per primo un modello di governance globale il seno alle Nazioni Unite caratterizzato da un costante dialogo tra scienza e decisori politici.
“Sappiamo che 'sostenibilità' vuol dire camminare sulle uova perché nessuno ha la ricetta perfetta”, continua Bologna, “Però un grande aiuto ci viene dalla conoscenza scientifica, un guard-rail che ci fornisce gli strumenti per indirizzare la nostra traiettoria. Dobbiamo entrare in una dimensione in cui la gestione del bene comune va oltre la sovranità nazionale, in un sistema di multilateralismo, perché, questo è chiaro, non esiste sostenibilità senza multilateralismo”.
Photo Credits: Mark Edwards per il Wwf
di Elis Viettone