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Rapporto sul capitale naturale: a rischio degrado il 39% della superficie italiana
Lo studio del Mite mostra la situazione della biodiversità italiana: il 63% delle specie di uccelli è in uno “stato di cattiva conservazione”; nel 2018 i sussidi dannosi per la biodiversità ammontavano a 28 miliardi di euro. [VIDEO] 1/6/21
“Tutto funziona se c’è la biodiversità”, e ogni volta che mettiamo a rischio una specie animale o vegetale rechiamo un danno a quella capacità di resilienza di cui hanno tanto bisogni i nostri ecosistemi, per sostenere le richieste vitali che arrivano dai cittadini.
Il “Quarto rapporto sul capitale naturale” del Ministero della transizione ecologica (Mite) rimarca ancora una volta le connessioni presenti tra ambiente e benessere umano, descrive la situazione degli ecosistemi italiani, e avanza alcune proposte al mondo dirigenziale per assicurare il buono stato di salute del capitale naturale.
Presentato durante un evento online del 22 maggio, nel corso della giornata internazionale dedicata proprio alla diversità biologica, lo studio a opera del “Comitato capitale naturale”, costituito da esperti sul tema, ricorda come quello che si è appena aperto sia il decennio fondamentale per invertire la rotta. Siamo infatti nella decade che l’Onu ha dedicato al ripristino degli ecosistemi naturali, elemento centrale per riuscire ad avviare concretamente il mondo sulla strada della sostenibilità, rispettando quanto sottoscritto nel 2015 da tutti i Paesi del mondo con l’Agenda 2030.
La nostra deve essere la prima generazione che lascia i sistemi naturali
e la biodiversità in uno stato migliore di quello che ha ereditato
Dal Quarto Rapporto sul capitale naturale
La visione che emerge dal documento è chiara: “la nostra deve essere la prima generazione che lascia i sistemi naturali e la biodiversità in uno stato migliore di quello che ha ereditato, individuando come baseline il 2020 e dandosi l’obiettivo di ottenere, entro il 2030, il blocco della perdita di biodiversità, l’inversione dei processi del suo degrado e i primi risultati di una grande ‘opera pubblica’ di ripristino dei nostri ambienti terrestri e marini, che costituiscono la base fondamentale del benessere e della salute di noi tutti. Le scelte che facciamo oggi possono garantire che ciò avvenga nell’immediato futuro e il tempo a disposizione per invertire la rotta appare purtroppo essere sempre più ristretto”.
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La biodiversità, tra ricchezza e responsabilità. L’Italia rappresenta uno dei Paesi Europei con il più alto tasso di biodiversità d’Europa, e questo anche grazie alla notevole diversità climatica e di ecosistemi di cui il Paese dispone. Una caratteristica che se da una parte rappresenta un elemento positivo, dall’altra impone una serie di misure a tutela di questa grande ricchezza. Anche perché la biodiversità italiana presenta numerose criticità: “i rapporti di sintesi e i risultati ottenuti rispetto all’attuazione concreta della Strategia nazionale per la Biodiversità relativa all’ultimo decennio restituiscono un quadro preoccupante, segnalando il mancato raggiungimento di parte dei target indicati dalle strategie e direttive comunitarie, a partire dal raggiungimento dello stato di conservazione soddisfacente per gli habitat e le specie di interesse comunitario”, si legge infatti nello studio.
Gli ecosistemi in pericolo sono ora in un elenco. Una delle novità che il rapporto ricorda è che ora abbiamo una “Lista rossa degli ecosistemi d’Italia”, sulla scia dei criteri stabiliti dall’Iucn (Unione internazionale per la conservazione della natura), per valutare il grado di minaccia degli ecosistemi terrestri. Attualmente ci sono 29 ecosistemi classificati a elevato rischio. Andando nello specifico, gli ecosistemi in “pericolo critico” coprono lo 0,3% del territorio nazionale, gli ecosistemi in “pericolo” il 3%, mentre quelli “vulnerabili” il 16%. Un ulteriore 20% della superficie italiana ospita poi quelli che vengono definiti come ecosistemi “vicini al pericolo”, cioè che presto potrebbero diventare a rischio. In pratica, il 39% della superficie nazionale è interessato da dinamiche dannose per il capitale naturale. In termini di “eco-regioni”, sono quella padana e quella adriatica a detenere una situazione critica, dato che tutti gli ecosistemi sono a rischio.
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Le foreste, una immensa risorsa. Nell’analisi, particolare attenzione è stata posta agli ecosistemi forestali italiani “straordinariamente ricchi di forme biologiche (tra i più ricchi d’Europa) essendo il Mediterraneo un hot spot di biodiversità”. La buona notizia è che nel giro di mezzo secolo l’estensione forestale del nostro Paese è pressoché raddoppiata, e questo soprattutto per via dell’espansione naturale dei boschi in montagna e in alta collina. Di fianco, è diventato più efficiente il prezioso servizio ecosistemico di regolazione dello stoccaggio di CO2 nel terreno: adesso l’ammontare complessivo di anidride carbonica immagazzinata negli ecosistemi forestali italiani è pari a 4,5 Gigatonnellate (miliardi di tonnellate), e gli alberi fissano nel terreno circa il 12% delle emissioni annuali italiane (pari a 46,2 Megatonnellate di CO2).
I volatili sono minacciati. Per quanto riguarda l’avifauna (specie di uccelli che vivono in una determinata zona), il focus fatto suggerisce che il 63% delle specie di uccelli nidificanti in Italia è in un “cattivo stato di conservazione”. La Lista rossa nazionale classifica circa il 26% delle specie valutate a rischio di estinzione (10 in pericolo critico, 39 in pericolo e 23 vulnerabili).
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E poi ci sono i pericoli legati alla crisi climatica. Per la zona mediterranea sono infatti previsti numerosi cambiamenti a causa dell’aumento della temperatura, come previsto dalle recenti analisi dell’Ipcc (Intergovernamental panel on climate change) e dal Cmcc (Centro euromediterraneo per i cambiamenti climatici). Basti pensare che, di questo passo, un quinto del territorio italiano potrebbe essere interessato dal fenomeno della desertificazione da qui a fine secolo, con pesanti ricadute sulla ricchezza biologica che il Paese al momento è in grado di offrire.
I servizi ecosistemici sono una ricchezza. La nostra prosperità economica e il nostro benessere dipendono dal buono stato del capitale naturale, che comprende gli ecosistemi che forniscono beni e servizi essenziali. In base all’analisi fatta su 12 determinati servizi ecosistemici (fornitura di biomassa legnosa, agricola, ittica, disponibilità idrica, impollinazione, regolazione del rischio di allagamento, protezione dall’erosione, regolazione del regime idrologico, purificazione delle acque da parte dei suoli, qualità degli habitat, sequestro e stoccaggio di carbonio, turismo ricreativo) si è però visto che in sei anni (nel periodo 2012-2018) c’è stata una diminuzione dei servizi offerti, con tutta una serie di ripercussioni negative in termini economici. Sono state stimate, per esempio, fino a 146 milioni di perdite economiche dovute all’incremento di erosione dei suoli, e fino a 3,8 miliardi di euro persi per la carenza del servizio di regolazione idrogeologico.
Troppi sussidi dannosi per la biodiversità. Importante è poi comprendere come l’attuale sistema di incentivi sia in grado di proteggere la conservazione della natura. Dal documento del Mite risulta che ci sono ancora troppi sussidi che, invece di tutelare il capitale naturale, si traducono in un danno per la nostra biodiversità. Circa 28 miliardi di euro nel 2018, sono stati infatti classificati come “Bhs”: sussidi dannosi per la biodiversità.
Le proposte del Rapporto. Fondamentale per la conservazione del capitale naturale è il concetto di “restoration ecology”, che descrive un processo che aiuta un ecosistema a ristabilirsi attraverso i principi delle “Nature-based solution” e delle tecniche di “rinaturazione”, dopo che è stato oggetto di degrado, danneggiato o distrutto. “L’esigenza di agire è elevata e l’obiettivo principale è quello di recuperare le condizioni di maggiore naturalità e funzionalità e quindi dei servizi degli ecosistemi: l’azione importante è innescare il processo ecologico dinamico e seguirne l’evoluzione attraverso un monitoraggio nel tempo”, si legge ancora nel documento.
In sintesi, tra le azioni definite prioritarie da mettere in campo, per arrestare la perdita di biodiversità e avviare l’azione di ripristino dei nostri ecosistemi, troviamo:
- recuperare e ripristinare gli ecosistemi costieri, gli ecosistemi legati ai sistemi igrofili e quelli residuali delle pianure ad agricoltura e zootecnia intensiva;
- promuovere il recupero e la riqualificazione territoriale nei sistemi agricoli intensivi, riattivando le dinamiche forestali naturali per favorire la funzionalità delle reti ecologiche locali;
- dare massima priorità all’impiego di tutti gli strumenti legislativi, normativi e regolativi fino alle più moderne tecniche di monitoraggio del territorio per ottenere l’abbattimento e la neutralità del consumo di suolo;
- proseguire e rafforzare il monitoraggio e l’inventario del capitale naturale forestale del nostro Paese;
- potenziare il contributo delle foreste italiane alla mitigazione dei gas climalteranti;
- sostenere qualsiasi investimento e miglioramento degli ecosistemi forestali con l’obiettivo di perseguire e mitigare il dissesto idrogeologico del territorio;
- sostenere la proposta del Ministero dell’ambiente attualmente presente al tavolo del Pnrr relativa alla piantumazione di milioni di alberi nelle città metropolitane (che procurerà ricadute economiche, sociali, occupazionali, culturali, turistiche e, in particolare, contribuirà alla mitigazione degli effetti del cambiamento climatico, alla qualità dell’aria e del suolo e al miglioramento della salute dei cittadini);
- prevedere un piano di restauro ambientale, con particolare attenzione agli ambienti acquatici fluviali e alle zone umide;
- rinaturalizzare le aree ad alta pressione antropica per mitigare i cambiamenti climatici;
- completare “rete Natura 2000” attraverso la designazione di nuovi siti (soprattutto marini), assicurando anche il miglioramento della connettività ecologica e della coerenza generale della rete;
- promuovere l'adozione di sistemi di valutazione di impatto esteso all'intero ciclo di vita (life cycle thinking) di processi produttivi e prodotti e di sistemi di monitoraggio dell'uso delle risorse e della gestione dei rifiuti;
- combattere lo spreco alimentare e promuovere l’impiego di fertilizzanti e ammendanti di origine organica per mantenere la ricchezza microbica dei suoli;
- incentivare l’uso di soluzioni basate sulla natura per la rigenerazione urbana e dei territori, con vantaggi sia dal punto di vista ambientale che sociale;
- investire in un piano a vasta scala di conservazione, recupero e ripristino del capitale naturale per l’avvio della “restoration economy”;
- arrestare il consumo di suolo che impatta sui servizi di regolazione idrologica e rischio allagamento, di protezione dall’erosione e di sequestro del carbonio;
- riorientare la finanza, pubblica e privata, verso la conservazione, il ripristino e l’arricchimento del capitale naturale;
- avviare la riforma fiscale ambientale partendo dall’eliminazione dei sussidi ambientali dannosi (Sad), con particolare cura per quelli dannosi per la biodiversità.
di Ivan Manzo