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Well-being economy: ecco le nazioni che già guardano oltre il Pil

Il Prodotto interno lordo non può più essere l’unico indicatore di progresso, dice il World economic forum. Servono nuove leadership che mettano al centro responsabilità e cura del bene comune. L’esempio della Nuova Zelanda che ha introdotto il “well-being budget”. 22/9/25

lunedì 22 settembre 2025
Tempo di lettura: min

Per decenni il Prodotto interno lordo è stato il termometro universale del benessere. Ma oggi, di fronte a crisi climatiche, iniquità crescenti e instabilità economica, quel parametro mostra tutti i suoi limiti. Secondo il World economic forum, il futuro passa da un approccio diverso: costruire una “well-being economy”, in cui le politiche pubbliche valutano il progresso sulla base del benessere collettivo e della sostenibilità.

Il well-being budget della Nuova Zelanda

La Nuova Zelanda è uno dei Paesi in prima fila in questa svolta culturale. Dal 2019 ha introdotto una serie di well-being budget, spostando le priorità della spesa pubblica non più esclusivamente sulla crescita economica, ma anche sulla qualità della vita. Questi budget allocano fondi in base a come le politiche contribuiscono al benessere intergenerazionale: salute mentale, povertà infantile, violenze domestiche, biodiversità e resilienza climatica sono i nuovi criteri di valutazione. Nel 2020 il Paese ha adottato anche il Living standards framework, che allinea l’azione governativa su molteplici dimensioni del benessere, offrendo un modello di governance basato su metriche olistiche. Nonostante le sfide legate all’implementazione, rimane una tra le prime sperimentazioni istituzionali.

Un movimento globale in crescita

Queste iniziative non restano isolate: Nuova Zelanda, insieme a Canada, Scozia, Galles, Finlandia e Islanda, fa parte della Wellbeing economy governments Partnership. Si tratta di una rete internazionale impegnata a innovare politiche pubbliche a partire da prospettive condivise e sperimentazioni concrete. Tuttavia, il cammino è ancora lungo. Il passaggio da un modello incentrato sulla crescita a uno orientato al benessere incontra diverse resistenze. L’inerzia economica, dovuta a decenni di politiche basate sulla crescita, rende difficile cambiare mentalità e istituzioni consolidate. La complessità di misurazione rappresenta un altro ostacolo: a differenza del Pil, il benessere è multidimensionale, soggettivo e dipendente dal contesto, complicando standardizzazione e comparabilità. A ciò si aggiungono le pressioni del breve termine, poiché sistemi politici e finanziari premiano risultati immediati, trascurando resilienza ed equità a lungo termine. Infine, molti progetti rimangono isolati perché manca un coordinamento sistemico.

Le leve del cambiamento

Secondo il World economic forum, per rendere concreta la transizione verso una well-being economy servono nuove forme di leadership, capaci di mettere al centro la responsabilità e la cura del bene comune più che il dominio o l’accumulo di risorse. Occorre anche valorizzare le specificità culturali: in Asia, ad esempio, i valori tradizionali di armonia tra umanità, natura e generazioni future si stanno rivelando una risorsa importante per costruire modelli economici rigenerativi. Infine, diventa essenziale rafforzare la collaborazione tra attori pubblici, privati e filantropici, così da progettare politiche e modelli finanziari che uniscano sostenibilità, inclusione e redditività.
Una sfida per l’Italia

L’Italia può trarre ispirazione da questo approccio. Integrare il concetto di benessere nelle politiche economiche e sociali significa affrontare in maniera più coerente le sfide della transizione ecologica e digitale, rafforzando al tempo stesso la coesione sociale e riducendo le disuguaglianze. Adottare metriche che vadano oltre il Pil può aiutare a orientare le scelte pubbliche in linea con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. La lezione della Nuova Zelanda dimostra che un’economia pensata per il benessere non è utopia, ma una strada percorribile, anche se complessa. Il cambiamento richiede coraggio politico, nuove metriche e un diverso immaginario collettivo: significa rivedere cosa intendiamo per “progresso” e come vogliamo misurarlo. In un’epoca segnata da crisi globali e incertezze diffuse, scegliere il benessere come bussola non è soltanto una questione etica, ma una condizione per immaginare un futuro più giusto, inclusivo e sostenibile.

 

Copertina: 123rf

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