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Settimana lavorativa corta: come funziona e dove è applicata

Dalla logica del controllo del tempo alla valorizzazione del risultato. Cresce la sperimentazione del modello a quattro giorni, conquistando anche le imprese italiane. Stessa produttività, più benessere e meno assenze. 17/10/25

venerdì 17 ottobre 2025
Tempo di lettura: min

Il tempo del lavoro sta cambiando: dati, evidenze e sperimentazioni ce lo dimostrano. Ridurre l’orario settimanale senza intaccare produttività e retribuzione è una proposta che sta entrando sempre più nel dibattito pubblico e nelle strategie aziendali. In un contesto in cui benessere, equilibrio vita-lavoro e sostenibilità sociale assumono un ruolo centrale, la settimana lavorativa ridotta emerge come una possibile leva di innovazione organizzativa.

L’attenzione su questi modelli è crescente anche in Italia, dove diverse aziende hanno avviato programmi di riduzione dell’orario, pur in assenza di una cornice normativa di riferimento. L’approfondimento pubblicato da LiveCareer nel settembre 2025 sottolinea che una diffusione capillare della settimana corta resta complessa in assenza di un sostegno normativo, anche perché il modello a 40 ore settimanali è ancora ritenuto vantaggioso da molti settori.

Che cos’è la settimana lavorativa ridotta e dove si applica

La settimana corta non è univoca: può significare 32 ore su 4 giorni, 36 ore su 5, oppure una riorganizzazione dei turni con maggiore flessibilità. Il denominatore comune è una riduzione del tempo lavorato, senza perdita di produttività, in alcuni casi mantenendo lo stesso stipendio. Tra i modelli più diffusi, oltre alla classica settimana di quattro giorni da otto ore, si trovano formule come il 9-80 (80 ore in nove giorni), i venerdì brevi o il part-time verticale.

All’estero le esperienze si moltiplicano. In Islanda, già dal 2015, il progetto pilota  The Icelandic Trial of a Shorter Working Week ha coinvolto migliaia di lavoratori e lavoratrici dimostrando che la produttività può restare stabile o addirittura crescere.

In Giappone, Microsoft ha registrato con una sperimentazione interna (Work-Life Choice Challenge 2019 Summer) un aumento del 40% della produttività con quattro giorni lavorativi, mentre Unilever in Nuova Zelanda ha osservato una crescita del fatturato, una riduzione dell’assenteismo del 34% e un miglioramento del benessere generale. In Belgio, la possibilità di concentrare le ore lavorative settimanali in quattro giorni senza perdere retribuzione è stata introdotta nel 2022 nell’ambito di una riforma nazionale del lavoro promossa dal governo federale per incentivare la flessibilità e l’equilibrio tra vita e lavoro.

Secondo i dati riportati dal UK Four-Day Week Pilot Programme, la più grande sperimentazione mai realizzata sul tema, condotta nel Regno Unito tra giugno e dicembre 2022, oltre il 90% delle aziende partecipanti ha scelto di continuare con la settimana corta, e 18 su 61 l’hanno resa permanente. L’esperimento, si è basato sul modello 100-80-100: 100% dello stipendio, 80% delle ore lavorate, 100% della produttività attesa. I risultati? Produttività stabile, assenze ridotte del 65% e un calo del 71% dei casi di burnout.

L’Italia sperimenta: primi modelli, risultati, limiti

Anche nel nostro Paese si stanno muovendo i primi passi. Intesa Sanpaolo, nel 2023, è stata la prima grande azienda ad adottare su larga scala la settimana corta: quattro giorni da nove ore per circa 29.500 dipendenti, con retribuzione invariata. Il 70% delle lavoratrici e dei lavoratori idonei ha richiesto di aderire e il 46% ha già usufruito del nuovo modello.

Lavazza, nella sede centrale, ha introdotto i venerdì brevi per 15 settimane tra maggio e settembre, con giornate da cinque ore. Lamborghini ha attivato turni flessibili che alternano settimane di quattro e cinque giorni, mentre Luxottica concede 20 venerdì liberi all’anno senza decurtazione salariale. Tutte iniziative che testimoniano un cambio di paradigma possibile, pur in presenza di vincoli settoriali e culturali, come la rigidità della contrattazione collettiva o la necessità di copertura continua in ambiti come sanità, trasporti o logistica.

Tra i vantaggi della settimana ridotta, evidenziati anche dal World Economic Forum, figurano la maggiore attrattività per i talenti, il miglioramento del benessere psicofisico, la riduzione del rischio di burnout e una più efficace organizzazione del lavoro. Di contro, restano la difficoltà di applicazione in settori con forte presidio, il rischio di costi aggiuntivi o di difficoltà nella riorganizzazione interna.

La qualità del lavoro tra benessere, produttività e sostenibilità sociale

Ridurre l’orario lavorativo significa anche ripensare la cultura del lavoro: dalla logica del controllo del tempo alla valorizzazione del risultato.

In ottica di sviluppo sostenibile, questa evoluzione si inserisce nei principi promossi dall’Agenda 2030, in particolare con riferimento al Goal 8 - lavoro dignitoso e crescita economica, e al Goal 3 - salute e benessere. Il tempo di vita non è più un residuo del tempo di lavoro, ma una leva di benessere, innovazione e inclusione.

La sfida per il futuro è duplice: da un lato ampliare le sperimentazioni in modo equo e strutturato, dall’altro costruire politiche pubbliche e strumenti normativi che facilitino la diffusione di nuovi modelli. La settimana corta non è un modello unico da applicare ovunque, ma un’opportunità per ripensare tempi, produttività e qualità della vita lavorativa in chiave sostenibile.

 

Leggi l’approfondimento LiveCareer

 

Copertina: DALL•E x ASviS

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