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RIDURRE LE DISUGUAGLIANZE

Ridurre l'ineguaglianza all'interno di e fra le Nazioni

Pandemia e inflazione acuiscono le disparità all’interno del Paese: dal 2019 al 2021 è peggiorato l’indice di disuguaglianza del reddito disponibile e permangono elevate differenze territoriali e di genere. Anche nel resto del mondo si amplia il divario tra ricchi e poveri: il 10% di popolazione più abbiente possiede il 76% della ricchezza globale.

Approfondimenti

Un futuro per i nostri giovani

di Luciano Monti, Condirettore scientifico Fondazione Bruno Visentini e docente LUISS

Circa il 2,30% del Pil del nostro Paese è impiegato a mantenere il costo sociale ed economico dei Neet, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano nè studiano: a pesare non è tanto il costo per lo Stato, 14mila euro all'anno per ciascuno, bensì la perdita di risorse “non sfruttate”. Il Rapporto 2017 sul divario generazionale curato dalla Fondazione Bruno Visentini prova a delineare uno scenario dell’Europa e dell’Italia nel 2030.
Marzo 2017

Il punto di partenza sono alcuni dati arcinoti ma non sufficientemente presi in considerazione. Eurofound stima che nel 2011 il singolo Neet (15-29 anni) è costato all’Italia (il Paese che paga il prezzo più elevato) più di 14.000 euro annui. Nel nostro paese, a pesare è soprattutto il costo delle risorse “non sfruttate” e non tanto le spese sostenute dallo Stato. I costi economici stimati complessivamente ammontano, a livello nazionale, a circa 35 miliardi di euro nel 2016. Circa il 2,30% del Pil del nostro paese è così impiegato annualmente a mantenere il costo sociale ed economico dei Neet. L’Italia non ha mai conosciuto tassi di disoccupazione giovanile per un periodo così prolungato in un contesto che preclude lo sviluppo dei più giovani di modo che si può, a pieno titolo, parlare di vero e proprio ritardo generazionale. A questa congiuntura si deve aggiungere il trend a lungo termine dell’invecchiamento della popolazione. Come noto, secondo le stime dell’Eurostat, coloro che nasceranno nel 2030 avranno in media, nelle prime quindici economie europee, una vita di dieci anni più lunga rispetto a coloro che sono nati negli anni Ottanta del Novecento. L’età media si aggirerà, nel 2030, intorno ai 45 anni, ben quattro in più rispetto alle medie attuali. L’Italia continuerà a essere il paese più vecchio in Europa e il secondo al mondo 14 dopo il Giappone, con una media di 51 anni.

Non sono purtroppo buone notizie per le nuove generazioni. Il Rapporto “l’Italia e gli obiettivi di sviluppo sostenibile”, presentato dall’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) alla fine del 2016, raccomanda sul punto “la riduzione concreta del divario generazionale” e sottolinea come “il tema delle disuguaglianze economiche, sociali, di genere, generazionali e territoriali va posto al centro di tutte le politiche, pena l’insostenibilità dello sviluppo e degli assetti istituzionali”.

Con tali presupposti Il Rapporto 2017 sul Divario Generazionale curato dalla Fondazione Bruno Visentini e presentato alla LUISS il 22 marzo scorso ha cercato, innanzitutto, di delineare uno scenario dell’Europa e dell’Italia nel 2030 rispondendo ad alcune domande fondamentali. Che posto ricoprirà l’Europa in un mondo soggetto a cambiamenti senza precedenti? Che ruolo potrà avere l’Italia in questo contesto? Quanto pesa il disagio giovanile nel più ampio contesto del disagio sociale? Il punto di partenza sono gli studi sulla misurazione dell’attuale divario generazionale.

L’approccio utilizzato è stato quello di definire alcuni domini “sensibili” al divario generazionale e riconnettervi i principali indicatori, sul modello sperimentato da qualche anno prima dall’Intergenerational Fairness Index messo a punto dalla Intergenerational Foundation. Secondo quest’ultimo indicatore nel 2014, il nostro paese risulta  penultimo posto in Europa davanti solo alla Grecia.

L’indicatore utilizzato nel Rapporto, a differenza di quello inglese non ha finalità comparatistiche, ma di approfondimento della particolare dinamica italiana, è attualmente composto da 27 sotto-indicatori basati su serie storiche disponibili a partire dal 2004. Il modello non ha la pretesa di costituire uno strumento esaustivo di valenza scientifica o istituzionale, ma un primo tentativo di rappresentazione del problema e di misurazione della sua intensità. I fattori ritenuti direttamente incidenti sulla condizione giovanile sono la disoccupazione, la questione abitativa; il reddito e la ricchezza; l’accesso alle pensioni; l’educazione; la salute, il credito; le infrastrutture digitali, la mobilità territoriale e i mutamenti climatici. I fattori che incidono indirettamente sono, invece, il debito pubblico, la partecipazione democratica e la legalità. La stima dell’indice al 2030 tiene conto dell’impatto di scenario descritto in questa sede, e indicizzato al 2004, proietta il divario a poco meno del doppio al 2020 e al triplo nel 2030.

Maggiori responsabili di questo sensibile peggioramento negli anni a venire sono l’immobilismo della ricchezza in capo ai baby boomers e le difficoltà di accesso all’abitazione propria. Solo in terza posizione il tasso di disoccupazione, che, tuttavia, può anche essere considerato una concausa del peggioramento degli altri due indicatori sopra menzionati. Queste le variabili che fanno la “vera” differenza sulle quali il rapporto si concentra per formula proposte di intervento .

La questione del “divario generazionale”, così come le possibili soluzioni a essa connesse chiamano in causa innanzitutto il principio di uguaglianza – formale e sostanziale – sancito dalla Costituzione: non è possibile, infatti, essere «eguali di fronte alla legge» ovvero esercitare i medesimi diritti, sia civili che sociali, se prima non vengono rimosse le condizioni di diseguaglianza che impediscono a tutti – e in particolare, per quel che qui interessa, a tutte le generazioni, specie quelle più giovani – di fruirne effettivamente (art. 3, secondo comma, Cost.). Il principio di uguaglianza costituisce la base sulla quale far poggiare le riflessioni volte all’individuazione di possibili soluzioni al problema del “divario generazionale”: dietro la costruzione di strumenti finalizzati a ridurre tale fenomeno, infatti, vi è l’idea che questi ultimi debbano essere in grado di eliminare gli ostacoli al cammino di autorealizzazione dei giovani.

Cosa si sta facendo in Italia su questo versante? Il Rapporto passa in rassegna tutte le misure che a vario titolo possono intervenire sul divario generazionale: misure idonee, a vario titolo, a incidere sul divario generazionale (misure “generazionali; misure che non perseguono finalità di natura generazionale (misure “non generazionali per destinazione”), ma che ciò nondimeno incidono su uno o più degli indicatori del divario generazionale e misure che, pur attinenti a taluni degli indicatori, risultano però irrilevanti sul piano del divario generazionale, in conseguenza di un’intrinseca inidoneità degli strumenti fiscali, contributivi e giuslavoristici a incidere sul gap tra generazioni (misure “non generazionali per natura).

Poco è meglio di nulla e dunque la prima indicazione che emerge è quella di prevedere un intervento organico con il quale innervare una possibile strategia per la lotta al divario generazionale intervenendo su due livelli: il primo è quello più ampio e riguarda il disagio sociale nel suo complesso, al cui interno si colloca anche il disagio giovanile; mentre il secondo è relativo alla riduzione degli ostacoli che si frappongono allo sviluppo dei giovani, ovverosia direttamente alla riduzione del “divario generazionale”.

La proposta è dunque quella di includere nel provvedimento organico interventi sul versante della metodologia statistica (rilevazione del disagio giovanile e target per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile - OSS); interventi di politica economica e sociale (professioni del futuro, terzo settore, apprendistato, settore agricolo, economia circolare e mobilità); interventi amministrativi (Garanzia Giovani, Servizi per l’impiego ecc.), interventi organici nella materia lavoristico-previdenziale (che tengano conto dell’approccio europeo dell’innovazione e dell’investimento sociale, dell’Incentivazione del terzo settore e delle imprese sociali, attraverso adeguate scelte di imprenditorialità giovanile, della valorizzazione del ruolo dell’apporto del lavoro giovanile nell’agricoltura, anche grazie al potenziamento della vocazione all’innovazione e alla semplificazione dell’iter burocratico per l’accesso ai fondi e il recupero del valore formativo, e nella prospettiva occupazionale, del contratto di apprendistato).

Il punto più critico è naturalmente il reperimento delle risorse, stanti i limitatissimi margini di manovra imposti dai vincoli costituzionali sull’equilibrio di bilancio emergenziale e temporanea. La dimensione del fabbisogno che tali strategie richiede per essere d’impatto non dovrebbe essere inferiore al costo annuo sostenuto dalla collettività per la presenza dei Neet (dunque, oltre 30 miliardi di euro) e non potrà che prendere in considerazione tutti gli strumenti possibili sinteticamente analizzati nel rapporto, rafforzando quelli esistenti e introducendone di nuovi. Tra questi ultimi, ancora una volta è opportuno distinguere tra i due livelli di intervento, affinché sia assicurata una correlazione chiara e predeterminata tra soggetti ai quali è richiesto il contributo e soggetti beneficiari. Relativamente al primo livello, dunque, la proposta è quella di prevedere, in via strutturale, una rimodulazione dell’imposizione in termini redistributivi fondata sulla diversa attitudine alla contribuzione in ragione della maturità fiscale, tenendo in particolare conto – come sopra indicato – della minor maturità contributiva e fiscale dei giovani rispetto alle generazioni che godono di piena maturità economica; relativamente al secondo livello la proposta è quella di introdurre, con carattere temporaneo, un contributo solidaristico a carico dei pensionati con le pensioni più elevate, ricorrendo a un approccio rigorosamente progressivo e rispettoso della capacità contributiva dei contribuenti coinvolti. In buona sostanza il tema è come mutualizzare il welfare familiare che oggi già vede nonni e genitori correre in soccorso dei propri nipoti e figli in difficoltà. E’ questa la sfida alla quale lavorerà la Fondazione Visentini nel corso del 2017.

Aderenti

Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile - ASviS
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