Approfondimenti
Verso l’Agenda Urbana nazionale alla luce del Patto di Amsterdam
Il nostro Paese è sempre stato caratterizzato dall’assenza di una politica coordinata per le città e di un quadro di riferimento unitario. Il cammino verso il Patto per l’Agenda Urbana mira a superare la frammentazione delle politiche urbane.
Dicembre 2016
Il 2016 è stato caratterizzato da un rilancio a livello internazionale dei temi dell’Agenda urbana. Il Patto di Amsterdam - l'Agenda urbana per l’Unione europea - del 30 maggio scorso individua 12 temi prioritari sui quali si stanno avviando le partnership formate da rappresentanti degli stati membri, da autorità urbane ed esperti con l’obiettivo di individuare proposte di adattamento della legislazione e dei finanziamenti da avanzare agli organismi comunitari entro i prossimi tre anni.
Esso ha molti limiti, di cui è bene essere consapevoli. Nel corso delle discussioni ormai ventennali sull’Agenda urbana la maggioranza degli stati membri dell’Unione ha chiarito che questi temi devono rimanere nell’ambito della sussidiarietà nazionale. Per questo il Patto di Amsterdam introduce una discontinuità rilevante, poiché l'Agenda urbana non è fatta propria dalla Commissione e dagli organismi comunitari come fin qui si era inteso con la formula Eu urban Agenda, ma fa perno sul Consiglio europeo e gli organismi intergovernativi, quali la riunione informale dei ministri responsabili per le questioni urbane e la coesione territoriale e la riunione dei direttori generali (Urban Agenda for the Eu).
Questa nuova versione dell’Agenda urbana apre molti e rilevanti interrogativi, a partire dall’impatto sulle politiche comunitarie nel loro insieme e sulla relativa gestione dei fondi. Senza che la dimensione urbana acquisti una effettiva posizione centrale nelle politiche della Ue, nessuno degli obiettivi che si dichiara di voler conseguire potrà infatti essere raggiunto. Tutto dipenderà dunque dal modo in cui il Patto verrà attuato e dalle dinamiche che si produrranno nel rapporto tra stati membri e Commissione.
La conferenza Habitat III dell’Onu a Quito (17-20 ottobre 2016) ha adottato la New urban Agenda e l’Italia ha elaborato un proprio Rapporto nazionale . Anche in questo caso i limiti sono evidenti, perché si tratta di un documento di indirizzo con adesione volontaria da parte degli stati membri. Ma il fatto positivo è che l’Agenda Onu è fortemente connessa con gli altri framework globali come l’Accordo di Parigi della Cop 21 sul cambiamento climatico del dicembre 2015 e, soprattutto, i Sustainable development goals dell’Agenda 2030 dell’Onu.
Le politiche urbane in Italia si sono storicamente caratterizzate per una costante, la frammentazione (tra attori diversi all’interno delle amministrazioni centrali dello Stato e tra livelli istituzionali diversi), e per una variabile, l’adattamento ai contesti in cambiamento (M. Allulli, Le politiche urbane in Italia. Tra adattamento e trasformazione, Roma, Paper Cittalia, 2010).
Non c’è mai stata una politica coordinata per le città. Dopo i tentativi del 1987, con l’istituzione del dipartimento della Presidenza del Consiglio per le aree urbane soppresso nel 1999, e del 2012, con l’istituzione del Coordinamento interministeriale per le politiche urbane (Cipu) riunito solo 3 volte, ora manca sia un referente di governo che una struttura amministrativa dedicata.
Ci sono diverse strutture della Presidenza del Consiglio dei Ministri con funzioni relative alle aree urbane (dipartimento per le Politiche di coesione; dipartimento per la Programmazione economica Dipe; dipartimento per gli Affari regionali e le autonomie) ma nessuna con funzioni di coordinamento.
Se in Italia non c’è mai stata una politica coordinata per le città, ci sono sempre state e ci sono tuttora politiche nelle città senza un quadro di riferimento unitario (manovre finanziarie, bandi periferie, smart cities, infrastrutture di trasporto, politiche abitative, ecc.). La riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, con il trasferimento di numerose competenze alle regioni, ha complicato il quadro e ha funzionato da ulteriore alibi.
Il modello italiano di politiche urbane, fondato sulla negazione del quadro unitario e sul primato delle prerogative settoriali (ministeri e agenzie centrali) e delle regioni, non è tuttavia frutto della semplice casualità. Esso è invece il risultato di una coalizione di interessi tra poteri per il mantenimento dello status quo: politico (ogni ministro mantiene il dialogo diretto con le città e il territorio, fonte di legittimazione e di consenso); burocratico (ogni amministrazione e ogni livello istituzionale mantengono intatte le proprie competenze); delle città (ognuna negozia direttamente con il governo senza doversi attenere ad un quadro di priorità nazionali).
Anche il non fare è una precisa scelta politica. Ne è la prova la legge urbanistica che, dopo i provvedimenti stralcio degli anni ‘60 e ’70, non è stata fatta così come, dopo la modifica del Titolo V del 2001, non si sono fatti i principi fondamentali del governo del territorio per le leggi regionali. E’ prevalsa l’idea che il settore immobiliare era trainante per la crescita economica del paese e che pertanto non andava ostacolato, né tantomeno andava regolamentato il regime dei suoli con una quota del plusvalore edilizio destinato alla città pubblica, come accadeva invece in numerosi paesi europei a partire da Germania e Spagna.
Vi sono però alcuni elementi che vanno in controtendenza e dai quali si può partire per avviare il percorso verso l’Agenda urbana nazionale che superi la frammentazione delle politiche urbane. La legge Delrio n 59 del 2014, che con il riconoscimento delle città metropolitane ha dato vita al Pon metro e alla cabina di regia del Fondo sviluppo e coesione 2014-2020. L’abolizione del patto di stabilità interno il quale ha consentito di liberare risorse per gli investimenti dei comuni, anche se la strada verso l’autonomia finanziaria delle città è ancora lunga. I Patti per le città che sono stati sottoscritti ormai in 12 aree urbane (Reggio Calabria, Catania, Palermo, Taranto, Bari, Milano, Torino, Genova, Messina, Napoli, Firenze, Cagliari), a cui altri ne seguiranno nei prossimi mesi, e che costituiscono l’embrione di un’Agenda urbana che parte dai territori.
Il Rapporto 2016 di ASviS L’Italia e gli obiettivi di sviluppo sostenibile propone di “…disegnare, come è stato fatto per le aree interne, una Strategia per lo sviluppo urbano sostenibile, sulla quale sia incardinata l’Agenda urbana nazionale citata anche dal Rapporto italiano preparato qualche mese fa per la Conferenza dell’Onu Habitat III” (p. 83). All’Assemblea annuale dell’Anci a Bari dello scorso ottobre il Presidente e Sindaco di Bari Antonio Decaro ha proposto “...un nuovo Patto tra Stato e comuni che costruisca una vera e propria Agenda urbana nazionale, analoga a quella europea, che individui nuovi capisaldi della politica di finanza locale e un ruolo maggiore dei comuni nella vita del Paese”.
Esistono perciò le condizioni necessarie perché si elabori l’Agenda urbana nazionale sulla base degli obiettivi della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, che il Governo sta elaborando secondo gli impegni sottoscritti in sede Onu, relativamente alle città. Va in questa direzione il contributo che si propone di fornire il gruppo di lavoro sul Goal 11 di ASviS con il documento L’Italia e gli obiettivi di sviluppo urbano sostenibile, articolando la dimensione urbana di tutti gli SDGs e non solo di quelli del goal 11. Si pensa di poter presentare il documento a febbraio 2017 con un’iniziativa congiunta di ASviS, Urban@it – Centro nazionale di studi per le politiche urbane e Anci.
Il Patto per l’Agenda urbana proposto dal Presidente dell’Anci Antonio Decaro potrebbe essere articolato in due parti. La prima potrebbe contenere gli impegni più urgenti che fanno da cornice ai Patti per le città, al Pon metro e agli interventi del Fondo sviluppo e coesione con l’obiettivo di farli confluire nel Documento di economia e finanza (Def) con il relativo Programma nazionale di riforme (Pnr) che il Governo deve presentare al Parlamento entro il prossimo 10 aprile. La seconda potrebbe invece indicare un quadro di riferimento e un percorso, con fasi e tempi ben definiti, per elaborare l’Agenda nazionale per lo sviluppo urbano sostenibile passando attraverso una consultazione pubblica che deve coinvolgere tutti gli attori della vita urbana (istituzioni, soggetti economici e sociali, comunità scientifica, ecc.) e i cittadini su un testo che deve esser proposto dal Governo, sentita l’Anci, entro un breve intervallo di tempo sessanta giorni dalla sottoscrizione del Patto.
Entrambe le parti del Patto per l’Agenda urbana si devono articolare in un numero limitato di aree tematiche contenenti al loro interno sub-aree in grado di comprendere, connettendoli fra di loro, sia i 12 temi prioritari dell’Agenda urbana per l’Unione europea che i 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile, con i relativi sotto obiettivi, relativi alle città dell’Agenda 2030 dell’Onu. Ogni area deve contenere: gli obiettivi che ci si propone di raggiungere, costruendo un data base urbano che consenta di misurare l’andamento nel tempo degli indicatori maggiormente significativi; il piano di azione per il loro conseguimento; l’indicazione delle risorse pubbliche e private; l’indicazione delle modifiche alla legislazione, sia nazionale che delle diverse regioni, che si rendono necessari.
Allo scopo di monitorare il processo di attuazione dell’Agenda urbana nazionale potrebbe risultare opportuno costituire partnership sull’esempio dell’Agenda urbana per l’Unione europea, formate da rappresentanti dei governi locali, delle Università e degli istituti di ricerca, del mondo economico, sociale e del lavoro e degli altri soggetti protagonisti della vita delle città, alle quali i soci di ASviS potrebbero fornire il loro attivo contributo.