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La denuncia della scienza: sul clima evidente divario tra dichiarazioni e realtà
A questo ritmo difficile attuare l’Accordo di Parigi, dice il rapporto di sintesi del mondo scientifico pubblicato per il Climate Summit: il tempo stringe, bisogna agire subito per bloccare gli effetti peggiori. 26/9/2019
Sui cambiamenti climatici c’è un evidente e crescente divario tra gli obiettivi concordati in sede internazionale e la realtà, il tempo stringe e forse siamo già in ritardo per centrare gli obiettivi.
È il duro monito che emerge dal documento portato al tavolo del Climate summit di New York, in svolgimento fino a venerdì e voluto dal Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres (in concomitanza con l’Assemblea Generale dell’Onu che quest’anno tirerà le prime somme sull’Agenda 2030), dalle principali organizzazioni mondiali che si occupano di scienze climatiche, quali l’Ipcc, il World meteorological organization, Un environment, Global carbon project, Future earth, Earth league e Global framework for climate services. Nel rapporto “United in science” viene fornita una valutazione accurata e aggiornata dello stato di salute in cui versa il nostro Pianeta e si sottolinea “l'urgente necessità di sviluppare azioni concrete che fermino i peggiori effetti dei cambiamenti climatici”.
La media segnata dalla temperatura nel periodo 2015-2019 è la più elevata mai registrate e, al momento, siamo già di 1,1°C (gradi centigradi) al di sopra della media delle temperatura pre-industriale (1850-1900). Un fattore che mette a rischio il buono stato degli ecosistemi e il raggiungimento dell’Accordo di Parigi che, ricordiamo, spinge i Paesi a mantenere questo aumento entro i 2°C, facendo il possibile per restare nel range di 1,5°C.
Di pari passo, l’estensione del ghiaccio artico nei mesi d’estate è diminuita di circa il 12% per ogni decennio compreso tra il 1979 e il 2018, con un evidente peggioramento della situazione negli ultimi quattro anni; mentre cresce l’acidità degli oceani, è ora il 26% più elevata rispetto all’epoca pre-industriale, e sale rapidamente il livello del mare, basti pensare che è passato dall’aumentare di 3,04 millimetri annui nel periodo 1997-2006 ai circa 4 millimetri nel decennio seguente.
Per quanto riguarda la concentrazione di gas climalteranti in atmosfera, l'anidride carbonica (CO2), il metano e il protossido di azoto hanno toccato nuovi record. “L'ultima volta che l'atmosfera terrestre conteneva 400 parti per milione (ppm) di CO2 è stato tra 3 e 5 milioni di anni fa, quando le temperature superficiali medie globali erano più calde di 2-3°C rispetto a oggi, e la fusione delle calotte in Groenlandia e Antartide occidentale aveva causato un aumento del livello del mare di 10-20 metri in più rispetto alla media odierna”, si legge infatti nel documento che certifica il tasso di crescita della CO2: passata da una crescita annua nel 2005-2015 pari a 1,42 ppm, ai 2,06 ppm attuali.
In generale, la quantità di anidride carbonica emessa annualmente tocca ora (nel 2018) le 37 miliardi di tonnellate e non c’è nulla che fa pensare a un picco globale. Anzi, le attuali tendenze economiche ed energetiche in giro per il mondo fanno pensare che il 2019 segnerà un nuovo record, anche perché nonostante la crescita delle rinnovabili, i combustibili fossili la fanno ancora da padrona nel mondo dell’energia: “l'aumento annuale del consumo globale di energia è superiore all'aumento delle energie rinnovabili, il che significa che l'uso di combustibili fossili continua a crescere invece che arrestarsi immediatamente come dovrebbe”. A tutto questo va poi aggiunto il fatto che i meccanismi naturali di assorbimento della CO2 (rappresentati per esempio dalle foreste di mangrovie e dagli oceani), che rimuovono dall’atmosfera circa la metà delle emissioni gas serra prodotte dall’uomo ogni anno, stanno diventando sempre meno efficienti nell’attività di stoccaggio.
Serve dunque un chiaro cambio di rotta nelle politiche a sostegno dell’azione climatica, peccato che gli attuali Ndc, i “contributi nazionali” nel ridurre le emissioni che i singoli Paesi hanno presentato a Parigi, se rispettati, ci porteranno a un mondo più caldo di almeno 3°C (ma devono essere rivisti al rialzo, come previsto dall’Accordo di Parigi) entro fine secolo.
“Si stima che gli attuali Ndc ridurranno le emissioni globali fino a sei gigatonnellate di CO2 nel 2030, rispetto a una continuazione delle politiche attuali. Questo livello di ambizione deve essere almeno triplicato per allinearsi al limite di 2°C e deve essere aumentato di circa cinque volte per rispettare il target 1,5°C”, viene scritto nel rapporto che poi specifica chiaramente: “se le ambizioni degli Ndc non vengono immediatamente aumentate e supportate dall'azione, non sarà più possibile evitare il superamento dell'obiettivo di 1,5° C. Inoltre se il divario delle emissioni non sarà chiuso entro il 2030 – si fa riferimento al gap tra le intenzioni dei Paesi e la realtà -, è molto probabile che l'obiettivo di un aumento della temperatura ben al di sotto di 2 ° C sia anch’esso irraggiungibile”.
Senza un cambio di paradigma immediato da parte dei decisori politici di tutto il mondo, sembra dunque che non si riuscirà a centrare gli obiettivi in materia climatica, ma non solo. Il documento specifica che se non dovessimo restare entro il limite di 1,5°C metteremo a rischio anche altri importanti Obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Sarà, per esempio, da una parte impossibile eliminare la povertà e dall’altra garantire salute e benessere per tutti, “solo un'azione immediata e onnicomprensiva di una profonda decarbonizzazione integrata da misure politiche ambiziose” può dunque incidere in modo positivo sulla qualità della biodiversità e la sicurezza dell’intera popolazione mondiale.
di Ivan Manzo