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La corsa a ostacoli delle rinnovabili in Italia: tra ritardi e disuguaglianze regionali
Le Fonti energetiche rinnovabili non crescono abbastanza, al ritmo attuale non centreremo gli obiettivi nazionali ed europei. Occorre intervenire su iter autorizzativi, normative disomogenee e competenze Stato-regioni. 10/7/25
Nonostante la recente accelerazione delle installazioni da Fonti energetiche rinnovabili (Fer), l’Italia resta distante dal passo necessario per centrare gli obiettivi fissati a livello nazionale ed europeo. Il ritmo attuale non è sufficiente a garantire la decarbonizzazione del sistema energetico nei tempi previsti. Nel 2025, inoltre, le cose potrebbero peggiorare. Si tratta di un’analisi contenuta all’interno del “Renewable thinking 2025”, lo studio pubblicato da Cva – società impegnata nella produzione di energia pulita - e The European house Ambrosetti (Teha), che descrive lo stato dell’arte delle rinnovabili in Italia ricordando l’importanza delle Fer per il sistema Paese.
Da un punto di vista della sicurezza energetica, per esempio, tra il 2008 e il 2023 la crescita della capacità installata da Fer ha contribuito a ridurre la dipendenza energetica complessiva del Paese, passata dall’82,8% al 74,8%. Inoltre, sotto l’aspetto economico le rinnovabili riducono i prezzi dell’energia e aumentano la competitività delle aziende: i dati del 2024 mostrano che nelle ore in cui solare ed eolico hanno fissato il prezzo sul mercato, il Prezzo unico nazionale (Pun) è sceso da una media di 108,52 €/MWh (Megawattora) a 76,94 €/MWh.

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Rinnovabili in Italia: a che punto siamo
Lo scoro anno nel nostro Paese sono stati installati 6,6 GW (Gigawatt) di nuova capacità da fonti rinnovabili. Ulteriori 0,9 GW sono stati aggiunti da attività di revamping e repowering: la prima mira a ripristinare le prestazioni originali di un pianto (sostituendo componenti usurati o obsoleti); la seconda punta ad aumentare la potenza e l'efficienza dell'impianto (spesso tramite l'aggiunta di tecnologie più avanzate). Il totale è stato così di 7,5 GW, un +33% rispetto al 2023.
Sul tema va segnalata la prestazione del fotovoltaico che con 6 GW di installazioni ha rappresentato circa il 91% delle nuove Fer del 2024. Ciò ha influenzato in modo positivo anche la crescita degli impianti “utility scale”, cioè su larga scala e di taglia in genere superiore a 1 MW (Megawatt), passati dal 13,7% del 2023 al 30,1% del 2024. Continua, invece, ad arrancare l’eolico: nel 2024 ha potuto contare “solo” su 0,6 GW di nuova capacità (0,4 GW nel 2023).
Ma ciò non basta, siamo ancora lontani dal tasso di crescita necessario per conseguire gli obiettivi fissati al 2030. Obiettivi che ritroviamo nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) dove viene stabilito che il nostro Paese per soddisfare un fabbisogno complessivo di 131 GW di capacità rinnovabile dovrebbe installare 10,7 GW all’anno. Ritmo che consentirebbe di colmare un gap di oltre 54 GW (oggi la capacità di Fer si attesta intorno ai 76,6 GW).
A preoccupare, inoltre, ci sono gli ultimi dati a disposizione. Tra gennaio e maggio del 2025 sono state installate meno Fer dello scorso anno – 2,3 GW contro 2,6 GW -, un trend che, se confermato, potrebbe interrompere la crescita annuale delle rinnovabili fatta segnare in questo decennio.
Rinnovabili in Italia: profonde disuguaglianze e grossi margini di sviluppo
Per capire quanto l’Italia stia sfruttando le sue capacità rinnovabili nello studio troviamo i risultati del Renewable thninking indicator (Rti). L’indicatore costruito da Teha valuta il grado di sfruttamento del potenziale rinnovabile effettivo di ciascuna regione italiana (considerando le tecnologie solari, eoliche e idroelettriche), tenendo conto delle specificità morfologiche, infrastrutturali e normative che caratterizzano ogni territorio.
A livello territoriale, l'indicatore Rti evidenzia profonde disuguaglianze tra le regioni italiane. Alcuni territori, come Piemonte, Lombardia e Abruzzo, hanno già messo a frutto oltre il 70% del proprio potenziale rinnovabile. Altri, invece, restano sensibilmente indietro. È il caso di Sicilia e Sardegna, ferme rispettivamente al 32% e al 35%, nonostante siano tra le regioni con le migliori condizioni climatiche e geografiche per lo sviluppo delle rinnovabili. Anche Liguria (29%) e Molise (48%) registrano livelli contenuti, riflesso di criticità locali, vincoli territoriali o assenza di una pianificazione efficace.
Per approfondire l’analisi, Teha ha poi sviluppato un secondo indicatore, focalizzato sulle due tecnologie che guideranno l’espansione nei prossimi anni: solare ed eolico. Anche qui il quadro è chiaro: a livello nazionale è stato valorizzato appena il 46,4% del potenziale disponibile. Spiccano positivamente gli esempi di Puglia, Lazio, Campania e Basilicata, tutte sopra la soglia del 50%. Meno confortanti, invece, i dati di Toscana (28%), Liguria (25%), Sicilia (37%) e Sardegna (34%).
Infine, è stato stimato anche il potenziale contributo che ogni Regione può offrire al raggiungimento dell’obiettivo nazionale al 2030 grazie all’uso di solare ed eolico. Dall’analisi emerge che tre regioni, cioè Sicilia, Sardegna ed Emilia-Romagna, rappresentano aree strategiche: hanno sia un elevato contributo potenziale (rispettivamente 13,1%, 6,3% e 7,9% del totale nazionale), sia un basso livello di sfruttamento del proprio potenziale. In altre parole, il loro ruolo sarà decisivo per il successo della transizione energetica italiana.
Ostacoli e rinnovabili
Ma che cosa blocca l’espansione delle Fer nel nostro Paese? Secondo lo studio la disomogeneità tra Stato e Regioni, i ritardi e le incoerenze tra le misure e le politiche energetiche, e gli iter autorizzativi complessi, sono i tre principali ostacoli alla transizione.
Il primo caso sottolinea le storture presenti nella governance multilivello che interessa il mondo dell’energia italiano. Tale frammentazione istituzionale si traduce in una ripartizione delle competenze tra Stato e regioni dove, in alcuni casi - come la produzione, il trasporto e la distribuzione dell’energia -, lo Stato detta i principi fondamentali mentre spetta alle regioni occuparsi degli aspetti applicativi. “In assenza di un coordinamento efficace, tale assetto ha generato disomogeneità nell’attuazione delle politiche energetiche, rallentando i processi decisionali e minando la coerenza nazionale”, si legge nel Rapporto “L’attuazione del Decreto aree idonee rappresenta un esempio emblematico di questa frammentazione. Nonostante la scadenza del dicembre 2024 per l’adozione delle relative Leggi regionali, a maggio 2025 più della metà delle Regioni risultava inadempiente. Inoltre, là dove le normative sono state definite, si riscontra spesso un disallineamento sostanziale rispetto alle linee guida nazionali, con criteri e vincoli che limitano fortemente la disponibilità di aree effettivamente idonee all’installazione di impianti Fer”.
Altro aspetto critico è segnato dalla gestione delle concessioni per l’energia idroelettrica. L’assenza di regole omogenea tra regioni ha avuto effetti negativi sia sui criteri di assegnazione delle gare, e sia sulle tempistiche legate alle strategie su investimenti e produttività. Un elemento particolarmente allarmante, basti pensare che l'86% delle concessioni risulta già scaduto o in scadenza entro il 2029, con le sole Lombardia, Piemonte e Provincia autonoma di Trento che concentrano quasi il 35% delle concessioni prossime alla scadenza.
Su ritardi e iter autorizzativi il caso più emblematico, invece, è quello del decreto Fer 2 pubblicato con oltre cinque anni di ritardo. Ma anche il decreto sulle aree idonee, strumento chiave per orientare gli investimenti in modo sostenibile, è arrivato con oltre due anni di ritardo. Situazione analoga per il decreto sulle Comunità energetiche rinnovabili (Cer) e quello sull’Agrivoltaico, entrambi posticipati di quasi due anni. Infine, il testo unico sulle Rinnovabili, atteso per agosto 2023, è stato approvato soltanto nel dicembre 2024. Si tratta di ritardi che hanno alimentato un clima di incertezza e limitato l’accesso agli incentivi, frenato la programmazione industriale e minato la credibilità del quadro normativo complessivo, a cui nel tempo si sono aggiunte anche contestazioni di legittimità costituzionale.
Inoltre, il percorso per ottenere il via libera alla realizzazione di un impianto Fer prevede fino a 13 passaggi burocratici e coinvolge fino a cinque enti diversi, tra amministrazioni centrali, regioni, Soprintendenze e autorità locali. Tutto ciò fa dilatare ancor di più il tempo necessario a ottenere un’autorizzazione: per un impianto eolico si possono superare i 1.700 giorni, mentre per il fotovoltaico si sfiora quota 1.100. Numeri che pongono l’Italia ben al di sopra della media europea, dove le direttive comunitarie fissano un tetto massimo di 24 mesi per le autorizzazioni ordinarie e 12 mesi per quelle localizzate nelle cosiddette "zone di accelerazione".
Limiti da superare e opportunità da cogliere
Il Rapporto ha identificato i limiti che interessano il sistema elettrico italiano, in modo da determinare cosa cambiare per consentire il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dal pacchetto europeo “Fit for 55” e dal Pniec. Tra questi troviamo quelli strutturali. Lo scorso anno cinque zone di mercato - Calabria, Centro Nord, Sardegna, Sicilia e Sud – nelle ore in cui si è registrata una maggiore produzione di rinnovabili hanno fatto segnare una cessione netta di energia. Secondo le stime Teha, senza interventi sulla rete e sugli accumuli rallenteremo la transizione e non riusciremo a centrare il target del 63,4% di Fer nel mix elettrico entro il 2030 (al massimo arriveremo al 50%).
Inoltre, in base ai problemi fino a ora elencati, il Think tank renewable thinking ha individuato tre ambiti di policy strategici su cui è urgente intervenire per sbloccare il pieno potenziale delle fonti rinnovabili. Il primo nodo da sciogliere è dato dalla semplificazione delle procedure burocratiche: razionalizzare i procedimenti, uniformandoli a livello nazionale, consentirebbe di velocizzare le installazioni annue e aumentare significativamente la capacità produttiva rinnovabile. Il secondo ambito è l’incremento della produttività degli impianti: ciò può essere fatto attraverso il miglioramento delle infrastrutture e il potenziamento dei sistemi di accumulo, elemento sempre più cruciale in un sistema dominato da fonti non programmabili come il solare e l’eolico. Il terzo fronte riguarda il rafforzamento del quadro regolatorio: stabilità normativa, chiarezza delle regole e tutela degli investimenti sono condizioni indispensabili per attrarre capitali e garantire continuità agli operatori del settore.
La situazione globale (in breve)
La leadership globale sulla transizione energetica sta lentamente passando di mano. Mentre Europa e Stati Uniti rallentano, crescono infatti Cina e India: la prima nel 2023 ha raggiunto 1595 GW (Gigawatt) di Fer installate, e punta a 5280 GW al 2030, la seconda ha l’obiettivo di triplicare la propria capacità passando da 203 GW a oltre 660 GW.
In generale, dal 2010 al 2023 il consumo di energia nel mondo è aumentato del 19%, mentre l’intensità energetica – l’energia consumata per ogni unità di Pil prodotto – è calata del 18% grazie all’evoluzione tecnologica, alle rinnovabili e all’efficienza energetica. Su quest’ultimo punto, l’Unione europea è stata tra le aree più virtuose con una riduzione dell’intensità energetica del 33%. Per quanto riguarda l’intensità carbonica - emissioni di CO₂ per unità di energia consumata -, la situazione globale è leggermente migliorata, la riduzione è stata del 4%, con l’Italia, l’UE e gli Stati Uniti che hanno fatto segnare una riduzione del 7-8%.
Se dal totale dell’energia consumata scomputiamo la generazione elettrica, ci accorgiamo che le prestazioni sono nettamente migliori. Grazie all’uso delle energie rinnovabili e delle soluzioni di decarbonizzazione, l’intensità carbonica globale è infatti calata del 12%, con i risultati migliori nei Paesi avanzati: -42% in Ue, -28% negli Usa, e -35% in Italia. Un dato significativo riguarda la Cina che, pur rimanendo tra i Paesi con l’intensità più alta, ha ridotto questo indicatore del 24%, segno di un cambiamento in corso.
Infine, come si vede qui sotto, l’incidenza delle Fer nella produzione elettrica mondiale è passata dal 20% nel 2010 al 32%nel 2024, con incrementi ben più elevati in Italia e in Ue.
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Copertina: Unsplash