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Notizie

L’8% delle microplastiche europee negli oceani proviene da tessuti sintetici

L’allarme in un brief dell’Eea: ogni anno tra le 200 e le 500mila tonnellate di microplastiche tessili entrano nell'ambiente marino. Approcci circolari nell’utilizzo dei capi, progettazione e produzione sostenibile possono mitigare il rischio.  27/3/23

I tessuti sono una delle principali fonti di inquinamento da microplastiche. Secondo l’Unep, il Programma delle Nazioni unite per l’ambiente, circa il 16% delle microplastiche rilasciate negli oceani a livello globale proviene dal lavaggio di tessuti sintetici. Per l'Europa, dove la maggior parte delle famiglie è collegata a un sistema di trattamento delle acque reflue, si stima che ogni anno vengano rilasciate nelle acque di superficie 13mila tonnellate di microfibre tessili, ovvero 25 grammi per persona, pari all'8% del totale delle emissioni di microplastica in acqua. Partendo da questo dato, l’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) ha pubblicato di recente il brief “Microplastic pollution from textile consumption” dedicato ad individuare soluzioni di economia circolare per il settore tessile in Europa.


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Numeri allarmanti

Ogni anno, evidenzia il documento, una quantità di rifiuti plastici tra i 6 e i 15 milioni di tonnellate finisce nell’ambiente. Sotto l'influenza della luce del sole, del vento, delle onde e di altri fattori, la plastica si degrada in piccoli frammenti di dimensioni, comprese tra 0,001 e 5 mm, noti come microplastiche. Si stima che negli oceani di tutto il mondo ci siano almeno 14 milioni di tonnellate di microplastiche e che ogni anno se ne aggiungano circa 1,5 milioni di tonnellate.

Le microplastiche provenienti dai tessuti hanno tipicamente una forma di fibra e sono quindi spesso indicate come microfibre. Anche i tessuti realizzati con fibre di origine naturale rilasciano microfibre. Inoltre, i tessuti possono essere la fonte di altre forme di microplastiche, originate dai vari tipi di materiali o accessori utilizzati nei vestiti e nei prodotti tessili. I tessuti sintetici sono responsabili di una quantità di microplastiche negli oceani tra 200.000 e 500.000 tonnellate ogni anno.

Da dove arrivano?

La maggior parte delle microplastiche dai tessuti viene rilasciata durante i primi lavaggi e questo rende le acque reflue il canale principale attraverso cui le microfibre si disperdono nei corpi acquatici. Tuttavia, le microfibre vengono emesse anche durante la produzione, l'uso degli indumenti e lo smaltimento a fine vita e vengono disperse nell'acqua, nell'aria e nel suolo.

Gli effetti sull’ambiente e sulla salute

Negli ultimi anni, la preoccupazione per gli impatti ambientali e sulla salute derivanti dall'inquinamento da microplastiche è aumentata esponenzialmente. C'è molta incertezza su questi impatti, ma l’esposizione cronica alle microplastiche è parte integrante della nostra vita. Le microplastiche vengono ingerite da tutti i tipi di organismi viventi, dal plancton, ai pesci, ai grandi mammiferi negli ambienti marini, agli animali terrestri e agli esseri umani. Oltre all'ingestione di microplastiche dall'acqua e dal suolo, vengono inalate particelle sospese nell'aria sia in ambienti indoor che outdoor. Le microplastiche sono state segnalate in una vasta gamma di cibi e bevande umani, inclusi frutti di mare, acqua potabile, birra, sale e zucchero.

Percorsi circolari per il settore tessile

In linea con le politiche dell'Ue in materia di plastica e tessili, il brief evidenzia tre percorsi per prevenire il rilascio di microfibre dai tessuti.

  1. Progettazione e produzione sostenibili. Una delle soluzioni proposte per evitare la dispersione di microfibre è l’utilizzo di fibre naturali. Tuttavia una serie di dubbi non favoriscono questo passaggio. Secondi alcuni esperti, questa sostituzione non porterebbe necessariamente a una riduzione della formazione di microfibre, poiché le fibre naturali possono anche liberarsi di microfibre a causa dell'usura. Inoltre, la rapida biodegradazione delle fibre naturali potrebbe portare al rilascio di additivi chimici come i coloranti. Infine, non tutte le microfibre ricavate da risorse naturali sono biodegradabili.
    Anche i processi di produzione possono essere responsabili del rilascio di microfibre. Utilizzare processi di produzione alternativi e mantenere gli impianti in buono stato può allora migliorarne l’efficienza, diminuendo la dispersione involontaria delle microplastiche.
  2. Utilizzo e cura degli indumenti. Per quanto riguarda la produzione di lavatrici, un’opzione potrebbe essere quella di includere filtri particolari per impedire il rilascio di microfibra, come accaduto in Francia. Si tratta di una miglioria che potrebbe ridurre fino all’80% il rilascio di microfibre. Anche l'uso di detersivo e ammorbidente influisce sul rilascio della microfibra. I produttori di detersivi possono contribuire a ridurne la perdita sviluppando detergenti liquidi non aggressivi, efficaci a basse temperature.
    D’altronde il settore del fast fashion, con capi usati per poco tempo e sostituiti spesso, rappresenta uno dei settori con il più alto impatto per il rilascio di microfibra. Sono necessari cambiamenti nel comportamento di acquisto dei consumatori, modelli di business più circolari, che promuovono un consumo ridotto e un uso più prolungato. Ciò potrebbe ridurre sia il numero di nuovi acquisti che la produzione di rifiuti.
  3. Smaltimento e trattamento a fine vita. Un'ampia quota di rifiuti tessili viene esportata dall'Europa per essere riutilizzata o riciclata, ma molti dei Paesi destinatari non dispongono di adeguati sistemi di gestione dei rifiuti. Implementare la raccolta dei rifiuti tessili assieme ad un corretto trattamento di fine vita può prevenire l'abbandono dei rifiuti, la cattiva gestione ed evitare che i tessuti vengano abbandonati in discariche a cielo aperto, riducendo la contaminazione da microplastiche da rifiuti secondari. Anche il trattamento delle acque reflue è un passaggio importante nella cattura delle microplastiche rilasciate durante il lavaggio dei tessuti. Sebbene gli impianti di trattamento delle acque reflue convenzionali non siano attrezzati per rimuovere completamente le microplastiche, sono disponibili tecnologie e tecniche che potrebbero rimuovere fino al 98% delle microplastiche dagli effluenti, una percentuale molto più alta rispetto ai target attuali. È importante notare che la maggior parte delle microplastiche rimosse dalle acque reflue finisce nei fanghi di depurazione. Questi fanghi, spesso utilizzati come fertilizzante agricolo in tutta l'Ue, rappresentano un'importante via per l'ingresso delle microplastiche negli ecosistemi acquatici e terrestri. Servono conoscenze e normative sul trattamento e utilizzo dei fanghi, per recuperare i nutrienti e allo stesso tempo impedire la diffusione delle microplastiche.

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di Tommaso Tautonico

 

 

Fonte copertina: alexeyzatevahin, 123rf.com

lunedì 27 marzo 2023

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