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FOCUS. Gli esseri umani saranno ancora al comando delle guerre del futuro?
Droni, robot e soldati potenziati: lo sviluppo di armi sempre più autonome trasforma gli scenari bellici e porta con sé una serie di preoccupazioni etiche. 26/1/22
Uno sciame di 130 droni si alza in volo nei cieli di Cambridge, in Massachusetts. L’operatore che li controlla non è alla scrivania con un joystick. Utilizza un’interfaccia di realtà virtuale che gli consente di sapere cosa stia guardando ogni drone. L’esercitazione è stata condotta con successo i primi di gennaio del 2022 e racconta di una dirompente tecnologia messa a punto dal Pentagono per operazioni militari. Dietro al progetto, si legge su The Byte, c’è la società Raytheon, che sta lavorando con la Defense advanced research project agency (Darpa) nel programma Offset. Secondo Shane Clark, il principale ricercatore di Raytheon, “il controllo di uno sciame cambia il modo in cui un operatore o un gruppo di operatori pensa ai droni. Puoi guardare dietro l'edificio per visionare le posizioni dei droni, ad esempio, e utilizzare l'ambiente di realtà virtuale per testare e vedere se la tua missione è fattibile”. Il team ha anche creato un'interfaccia che consente agli operatori di impartire comandi vocali allo sciame. Clark ha aggiunto che ciò consentirà all'operatore di “agire rapidamente mantenendo la consapevolezza della situazione".
L’esercitazione sul campo del programma Offset di Darpa
È difficile immaginare i campi di battaglia del futuro. L’esame delle tecnologie emergenti e delle dinamiche attuali consente però di trarre alcune conclusioni provvisorie. È probabile che le guerre dei prossimi decenni prevedano una quantità di fattori importanti: nuove tecnologie, nuove minacce, la fine degli armamenti pesanti fino alla sostituzione, in alcuni ambiti, degli umani con droni, robot e forse cyborg. Un recente rapporto redatto dalla National security commission on artificial intelligence degli Stati Uniti parla del potere dell’intelligenza artificiale nel trasformare il modo di combattere e invita il governo a destinare al comparto maggiori risorse. Una spinta necessaria a fronteggiare l’avanzata di Cina e Russia, che intendono sviluppare armi autonome e hanno investito risorse significative nella ricerca e sviluppo di quei sistemi. Tra i Paesi che dovrebbero crescere di più ci sono anche il Regno Unito, che nella sua strategia di difesa dichiara di puntare sulla robotica militare, e Israele, che è già leader nella produzione di armi autonome. Non sorprende dunque che a livello globale si parli di nuova corsa agli armamenti.
La guerra dei droni
Alla fine del 2020, Armenia e Azerbaigian hanno combattuto la seconda guerra per il possesso della regione caucasica del Nagorno Karabakh. Non appena è iniziato il conflitto, la guardia di frontiera dell’Azerbaigian ha diffuso questo video sul suo canale YouTube. Nel filmato si vedono i militari guardare i camion sullo sfondo, a malapena si intuisce cosa ci sia dentro. Prima che la registrazione si interrompa, le immagini permettono appena di identificarlo: è il drone Iai Heron, una loitering munition sviluppata dall’azienda statale Israel aerospace industries. Esistono in rete dei video dimostrativi che riprendono gli Heron mentre si lanciano contro il bersaglio per distruggerlo all’impatto. Ecco perché sono noti come droni kamikaze. Nell’ultima guerra del Nagorno-Karabakh non erano solo usati per fare propaganda ma hanno costituito uno degli aspetti chiave del conflitto. L’Azerbaigian ha speso nell’acquisto di queste armi sofisticate ingenti somme di denaro e disponeva di 200 unità di quattro modelli diversi; l’Armenia aveva solo un modello di produzione propria e di piccola portata. Con la vittoria dell’Azerbaigian, il conflitto del Nagorno Karabakh può essere considerato il primo vinto anche con l’aiuto di armi autonome.
Heron (da iai.co.il)
Robot da combattimento
Non solo i veicoli aerei a pilotaggio remoto (UCAVs), ma anche i carri armati come il russo Uran-9, le navi da guerra senza pilota come la Sea Hunter degli Stati Uniti e le armi robotiche stanno diventando alternative sempre più popolari nelle strategie militari. I robot da combattimento sono potenzialmente l’arma più rivoluzionaria, sebbene al momento rimangano in una fase sperimentale. I veicoli sono teleguidati dai soldati attraverso telecomandi e sensori ma l’obiettivo potrebbe essere quello di renderli sempre più autonomi dagli umani. Per la prima volta, nel settembre 2021 i soldati dell’esercito degli Stati Uniti hanno combattuto in addestramento contro un contingente “avversario” che includeva veicoli robotici durante un’esercitazione al Joint readiness training center di Fort Polk, nello Stato della Louisiana. Tra le fila del reggimento di fanteria vi erano infatti due veicoli robotici da combattimento a otto ruote, denominati Project Origin, progettati per esplorare e fare fuoco sulle posizioni nemiche in guerra. “Questo è il modo in cui evolverà il combattimento a terra nel tempo... scaricando il rischio tattico per gli umani sui robot”, ha affermato il maggiore Cory Wallace, il responsabile del team che controlla i veicoli robotici.
Il veicolo Project Origin utilizzato al Joint training center di Fort Polk (Dan Heaton/US Army)
Negli ultimi anni, il dibattito su come gestire i sistemi di intelligenza artificiale potenzialmente mortali ha assunto centralità. L’uso dei robot in guerra è una questione particolarmente spinosa che chiama in causa dilemmi etici e morali. In estrema sintesi, i sostenitori affermano che tali macchine semiautonome o autonome consentono agli eserciti di proteggere i loro soldati riducendo la perdita di vite umane. I critici temono che ciò segni un altro passo pericoloso verso l’affidamento ai robot della capacità di decidere sulla vita e la morte. Il segretario generale delle Nazioni unite António Guterres ha dichiarato: “La prospettiva di macchine con la discrezione e il potere di togliere la vita umana è moralmente ripugnante”.
Tra i problemi da non sottovalutare, vi sono anche l’incapacità delle macchine di spiegare le loro decisioni, gli errori nel compiere gli attacchi (incapacità di distinguere tra militari e civili) e il rischio di ignorare le convenzioni di guerra. Un’idea condivisa da molti è che l’uso di soldati robot abbasserà la soglia di ingresso in guerra degli Stati, rendendo più probabili conflitti futuri. A richiamare l’attenzione sull’argomento è stato l’ex generale americano Stanley McChrystal, che ha guidato per due anni la coalizione internazionale in Afghanistan. In una recente intervista a Yahoo news, il veterano ha affermato che l’intelligenza artificiale arriverà inevitabilmente a prendere decisioni letali sul campo di battaglia. Tuttavia, ha riconosciuto i rischi “spaventosi” di potenziali malfunzionamenti o errori: “La gente dice: ‘Non daremo mai il controllo sugli attacchi letali all'intelligenza artificiale’. È sbagliato. Lo faremo assolutamente”. L’avvertimento di McChristal prosegue così: “Hai creato la tecnologia, hai messo in atto processi per farla funzionare, ma poi, per operare alla velocità della guerra, essenzialmente la stai accendendo e ti fidi di essa. Un missile iperveloce, un missile ipersonico in arrivo sulla portaerei degli Stati Uniti, non hai tempo per tracciarlo, non ha il tempo il comandante di essere nel ciclo decisionale. A un certo punto, non puoi rispondere abbastanza velocemente”.
La prospettiva dei super soldati
Tra i cambiamenti potenzialmente più sorprendenti derivanti dagli sviluppi tecnologici, vi è il miglioramento delle capacità dei singoli soldati per la raccolta di informazioni, la mobilità e la resilienza nei conflitti. La realizzazione del cosiddetto “soldato potenziato”, letteralmente enhanced soldier, è tra le principali tendenze future a medio termine menzionate dall’Agenzia europea della difesa (Eda) nel rapporto “Exploring Europe’s capability requirements for 2035 and beyond”. Il documento porta alcuni esempi di tecnologie abilitanti (biologiche, cibernetiche) che potrebbero condurre a questo obiettivo, tra cui l’uso di esoscheletri per aumentare la forza fisica, processi di alterazione genetica e nanotecnologie per migliorare le capacità cognitive nonché farmaci per potenziare la resistenza. “Sebbene l'uso di queste tecnologie sarà limitato dai vincoli etici e legali”, scrive l’Eda, “potrebbero aumentare la capacità degli individui di raccogliere ed elaborare informazioni, resistere agli effetti dei patogeni e alle minacce chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari, e beneficiare di una migliore cognizione, forza, velocità e altre capacità”.
Il miglioramento di queste caratteristiche “potrebbe essere necessario non solo a causa della diffusione di malattie attraverso maggiori spostamenti di popolazione e potenziali effetti del cambiamento climatico, ma anche per la possibilità che la proliferazione tecnologica possa portare ad attori ostili in possesso di armi”. Altre tecnologie che, secondo l’agenzia, potrebbero consentire alle forze degli Stati europei di operare nel futuro ambiente strategico sono le armi a energia diretta (Dew), progettate per danneggiare bersagli a lunga distanza, come le armi laser a radiofrequenza, che potrebbero rivelarsi efficaci “per contrastare sciami di aerei a pilotaggio autonomo”; satelliti e pseudo-satelliti, ossia aerei estremamente leggeri alimentati da energia solare, in grado di restare in volo per mesi e fornire una copertura prolungata e ad alta definizione di specifiche regioni della Terra; realtà virtuale aumentata e nuove tecnologie di lancio per garantire l'accesso europeo allo spazio.
di Andrea De Tommasi