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Rapporto Oil-Oim: nel mondo 50 milioni di persone vivono in schiavitù
Dal 2016 al 2021 dieci milioni di persone in più sono state costrette a lavorare o sposarsi. Donne, minori e migranti i gruppi più vulnerabili. Cresce lo sfruttamento sessuale a fini commerciali. 21/9/22
Nel 2021, in tutto il mondo, 50 milioni di persone vivevano in condizioni di schiavitù moderna. Una persona ogni 150. Lo denuncia il rapporto “Global estimates of modern slavery” realizzato dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e l’ong Walk free. Il documento, pubblicato il 12 settembre, mette a confronto i dati raccolti l’anno passato con quelli del 2016, rilevando una significativa crescita del numero di “nuovi schiavi”. Dal 2016 al 2021 il totale di persone in stato di schiavitù è passato da 40,3 a 49,6 milioni.
I due grandi gruppi. Il documento identifica la schiavitù moderna sotto due macro categorie. La prima è il lavoro forzato, cioè la prestazione lavorativa concessa “sotto minaccia di punizione”, che nel 2021 gravava su 27,6 milioni di persone. È importante rimarcare che questo gruppo comprende tutti i tipi di lavoro, incluso quello domestico, e lo sfruttamento sessuale di adulti e minori. Il lavoro forzato è connesso sovente con il ricatto economico e il traffico di esseri umani. La seconda è il matrimonio forzato, una pratica “strettamente legata ad attitudini patriarcali durature”, sottolinea il Rapporto, che fa riferimento a una situazione dove una persona deve contrarre un matrimonio senza il suo consenso. Nel 2021 ha interessato 22 milioni di persone, di cui tre terzi erano donne o bambine. Entrambi i gruppi sono cresciuti dal 2016, anche se i matrimoni forzati hanno avuto un incremento maggiore, pari a 6,6 milioni di individui.
Le regioni più colpite. La schiavitù esiste in tutto il mondo, nessuna regione esclusa, sottolinea il Rapporto, ma la sua distribuzione nel pianeta non è omogenea. La regione dove il numero di persone in schiavitù è più alto è l’Asia-Pacifico, con 29,3 milioni di persone che non godono delle libertà più basilari. Un dato da mettere però in relazione con l’insieme della popolazione di riferimento per comprendere l’incidenza del fenomeno. Infatti, è negli Stati arabi che il totale delle persone schiavizzate rispetto al totale della popolazione si impenna drasticamente, con un rapporto di 10,1 persone su mille. Un valore superiore di quasi quattro punti rispetto alla media mondiale, in una zona del pianeta che conta il numero più basso di schiavi moderni (1,8 milioni).
Migrazioni. Chi lascia il proprio Paese di origine ha una probabilità tre volte maggiore di finire in schiavitù rispetto a chi non lo fa. “I lavoratori migranti non protetti dalla legge o impossibilitati a far valere i propri diritti sono più vulnerabili al lavoro forzato”, si legge nel Rapporto. Allo stesso tempo, migrare può essere l’unica soluzione per scappare a un matrimonio forzato, anche se il documento denuncia il fatto che molte donne sono obbligate a contrarre matrimoni nel Paese di adozione per sopravvivere o per sostenere la propria famiglia.
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Sfruttamento sessuale e lavoro minorile. Il documento riporta anche il dato relativo alle persone costrette a prestare il proprio corpo a fini commerciali, nel 2021 pari a 6,3 milioni. Di queste, tre quarti sono donne, mentre i minori sono all’incirca un milione e mezzo (3,3 milioni). “La tragedia dei bambini assoggettati al lavoro forzato richiede un’urgenza speciale”, sottolinea il Rapporto.
Le proposte. L’ultima parte del documento è dedicata alle politiche che possono essere attuate per combattere la schiavitù. Ricordato che il fenomeno è affrontato dall’Agenda 2030 dell’Onu, nello specifico ai Target 8.7, 5.2 e 16.2, il Rapporto richiama la necessità di costruire meccanismi di prevenzione per contrastare sia il lavoro forzato che il matrimonio forzato, partendo dal rispetto della libertà di associazione dei lavoratori e dall’adozione di politiche, leggi e programmi che siano il più possibile inclusivi e declinati sotto una prospettiva di genere. “Nulla può giustificare la persistenza ai giorni nostri di questo abuso dei diritti umani fondamentali”, si legge nelle conclusioni del Rapporto, “possiamo e dobbiamo fare di più”.
Di Milos Skakal