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Jacques Delors institute: la ripresa green rischia di diventare uno slogan

Le riforme per uscire dalla crisi devono creare posti di lavoro, un futuro pulito e resiliente e agire in modo rapido. L’Istituto stabilisce le linee guida per valutare gli investimenti in grado di trasformare realmente i modelli di produzione. 20/5/20

Il Jacques Delors institute, think tank indipendente che studia le politiche comuni europee, ha recentemente pubblicato il rapporto "Greener after: a green recovery stimulus for a post Covid-19 Europe", presentato in un webinar dal Commissario europeo Paolo Gentiloni e l'eurodeputato Pascal Canfin. “Mentre valutare il pieno impatto della Pandemia sarebbe prematuro, è già chiaro che questo è il peggiore shock economico per l’Europa dalla Seconda guerra mondiale” avverte il documento. “La strada per la ripresa sarà probabilmente lunga e accidentata”. Le analisi della Commissione europea per la primavera 2020 prevedono infatti che l'economia dell'Ue si contrarrà del 7,4%, mentre il tasso di disoccupazione in tutta l'Unione dovrebbe aumentare dal 6,7% del 2019 al 9% del 2020, interessando in particolare gli Stati meridionali.

Le soluzioni per uscire da questa crisi sono spesso associate a una ripresa green, ma il Jacques Delors institute avverte che “il termine rischia di diventare uno slogan impreciso, distraendo dal fatto che solo stimoli economici mirati possono promuovere la trasformazione dei nostri modelli di produzione e consumo verso sostenibilità e resilienza”. Per questa ragione l’Istituto ha elaborato alcuni criteri per identificare investimenti sostenibili che dovrebbero andare di pari passo con il Green deal. “Uno stimolo verde europeo dovrebbe anzitutto raggiungere due obiettivi generali: stimolare l'economia e creare posti di lavoro, proteggendo le persone a rischio disoccupazione; sostenere la trasformazione dell'economia europea verso un futuro pulito e resiliente”.

Ma come raggiungere questi due obiettivi?


La prima parte del documento presenta i criteri che i policy makers dovrebbero utilizzare per valutare gli investimenti in grado di entrare a far parte di un programma di stimolo economico green. Innanzitutto, questi investimenti dovrebbero essere “tempestivi, temporanei e mirati”, in modo da stimolare l'economia rapidamente. In secondo luogo, dovrebbero essere in grado di accelerare la trasformazione strutturale dell'economia verso un futuro caratterizzato da zero inquinamento, ripristino della biodiversità e neutralità climatica entro il 2050.


La seconda parte del Rapporto utilizza questi criteri per fornire raccomandazioni di investimento in cinque settori – edilizia, mobilità stradale, innovazione, economia circolare e turismo costiero – essenziali per un'autentica ripresa verde. “Solo in questi cinque settori, l'Ue e i suoi Stati membri potrebbero investire in sicurezza almeno 800 miliardi di euro nei prossimi cinque anni, nell'ambito di piani di risanamento verde”, si legge nel documento. Il testo raccomanda inoltre alla Commissione e ai governi nazionali di valutare il contributo di altri settori chiave, non affrontati dall’Istituto, come le energie rinnovabili, le interconnessioni elettriche, le reti intelligenti, i trasporti pubblici, le ferrovie, la navigazione, l’agricoltura, la silvicoltura, la decarbonizzazione delle industrie e dell'aviazione europea.

Di investimenti appropriati per un recupero ecologico si è parlato anche al Petersberg climate dialogue di fine aprile, dove 30 ministri dell’Ambiente di tutto il mondo si sono impegnati per una ripresa sostenibile. Alok Sharma, presidente della futura Cop26, ha inoltre dichiarato, al Placencia ambition forum delle nazioni insulari a rischio climatico di fine aprile, che “dobbiamo sostenere collettivamente un'economia resiliente, per mantenere i nostri impegni esistenti”.

L'Ue ha già messo i cambiamenti climatici al centro della sua pianificazione per la ripresa. I membri del Parlamento europeo hanno infatti ribadito che il Green deal sarà al centro dei futuri sforzi economici. Inoltre, è stata recentemente formata una Green recovery alliance, alleanza multi-settore tra stakeholder, ministri, amministratori delegati, ong ambientali e leader sindacali per costruire una ripresa verde nel minor tempo possibile.

Gli annunci non sono però sufficienti. Per evitare che il denaro pubblico fluisca verso le società di combustibili fossili, come è accaduto dopo la crisi finanziaria del 2008-2009, è necessario riflettere chiaramente sugli strumenti per creare nuovi posti di lavoro e orientarsi verso un'economia rispettosa del clima. Nel Regno Unito, ad esempio, la Commissione per i cambiamenti climatici, organo consultivo indipendente del governo, sostiene l’esistenza di sei principi che dovrebbero guidare una ripresa verde: sostegno all'occupazione; incoraggiamento di comportamenti virtuosi; sviluppo della resilienza; miglioramento dell’equità; attenzione che la ripresa non faccia risalire il livello di CO2; rafforzamento degli incentivi per ridurre le emissioni.

“Pochissimi Paesi avanzano impegni nuovi o riveduti ai sensi dell'accordo di Parigi” ricorda però l’International institute for sustainable development. “L’insieme di impegni presentati tramite contributi volontari (Ndcs) porta a un mondo di 2,7° C o superiore. Uno sforzo globale per orientare la spesa futura per la ripresa in stimoli green è una vittoria che il mondo non può permettersi di trascurare. Il futuro non sembrerà il passato pre-pandemico. In un certo senso, potrebbe essere migliore”.

 

di Flavio Natale

mercoledì 20 maggio 2020

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