Approfondimenti
Povertà e disuguaglianze: da un’agricoltura che accoglie all’empowerment femminile come strumento di crescita
Lo sviluppo rurale che equilibra il tessuto sociale e voci di donne che guidano il cambiamento. Tra gli eventi del Festival su povertà e disuguaglianze il ritorno alla terra e la valorizzazione dei diritti femminili emergono come potenti vettori di sviluppo.
Maggio-Giugno 2017
Pur riguardando tutti gli SDGs, per loro natura strettamente interconnessi tra sinergie e trade-off, il tema della povertà e delle disuguaglianze è particolarmente legato agli Obiettivi 1, 2, 5 e 10: porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo (1); sconfiggere la fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile (2); raggiungere l'uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze (5); ridurre le diseguaglianze all’interno e fra le Nazioni (10).
Se da una parte non è possibile porre fine alla povertà senza garantire la sicurezza alimentare e migliorare la nutrizione per tutti, dall’altra per centrare i target legati a povertà e nutrizione è essenziale garantire i diritti e l’emancipazione delle donne in agricoltura e in famiglia, promuovendo la parità di genere sul lavoro e nella vita. Le disuguaglianze, poi, non sono soltanto di genere: per eliminare fame e povertà occorre anche potenziare e promuovere l’inclusione sociale, economica e politica di tutti, a prescindere da età, sesso, disabilità, razza, etnia, origine, religione o status economico, oltre che attuare politiche migratorie programmate e ben gestite.
Di fronte a una popolazione mondiale in crescita, aumentano anche i rischi legati a povertà e disuguaglianze. Ed è proprio del rapporto tra crescita demografica, sostenibilità dello sviluppo e migrazione che si è parlato il 24 maggio nell’ambito del convegno “Popolazione, sviluppo e sostenibilità”, organizzato dall’Università di Parma. “L’Italia è un Paese che nei prossimi decenni avrà bisogno dell’immigrazione ma c’è la necessità di un programma dettagliato per l’inserimento di queste persone nella nostra società”, ha dichiarato il professor Massimo Livi Bacci (Università di Firenze). E ancora: “Le popolazioni molto povere crescono molto rapidamente ma hanno difficoltà a rompere questo circolo negativo che parte da un incremento di popolazione troppo veloce che genera povertà; questo comporta malnutrizione, quindi fame e successivamente alta mortalità infantile e quindi scarso sviluppo dei giovani. Di conseguenza la riproduttività rimane alta e le popolazioni continuano a crescere ma la crescita genera nuova povertà”.
La povertà, insieme ai temi della sicurezza alimentare e del diritto al cibo per tutti, è stata anche al centro dell’iniziativa del 2 giugno a Parma, “Le vie del cibo: per un mondo a fame zero”, organizzata dal World Food Programme (WFP) Italia nell’ambito del “Gola Gola Festival Food & People” e frutto di una partnership tra WFP Italia, Unesco Parma City of Gastronomy e il Comitato Gola Gola Festival. Nel corso dell’evento Tiziana dell’Orto, Direttore Generale del WFP Italia, ha sottolineato il legame tra insicurezza alimentare, conflitti e migrazioni: “Ancora oggi circa 795 milioni di persone vanno a dormire a senza aver mangiato. Le catastrofi naturali come i terremoti, gli uragani, le carestie, come quella conclamata quest’anno in Sud Sudan (febbraio 2017), e i conflitti obbligano nei Paesi più poveri le persone ad abbandonare le loro case. Il recentissimo rapporto realizzato dal World Food Programme ‘At the roots of exodus: food security, conflict and international migration’ evidenzia le strette correlazioni tra l'insicurezza alimentare e le migrazioni. Sono 65,3 milioni le persone che sono state costrette a migrare nel 2015. Si tratta della cifra più alta dalla seconda guerra mondiale”. In questo contesto, il WFP lavora per ristabilire “le vie del cibo”, rispondendo in tempo reale alle emergenze umanitarie per combattere la fame su scala globale. Il tutto nell’ottica del raggiungimento dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. A questo contribuisce anche il programma WFP School Meals, che Tiziana Dell’Orto ha così spiegato: “il WFP è il più grande fornitore di Pasti Scolastici: nel 2016 ha fornito pasti in 76.500 scuole a 16,4 milioni di bambini nei 60 Paesi delle zone più povere di Asia, Africa e Sud America. Il programma coniuga diversi obiettivi dell'Agenda 2030: oltre a sconfiggere la fame, favorisce educazione di qualità, parità di genere e buona occupazione, essendo il cibo acquistato dai produttori locali. Tutto questo senza dimenticare la grave crisi umanitaria in corso in Nigeria, Somalia, Sud Sudan e Yemen, per le carestie effetto combinato di cambiamenti climatici e guerre, che sta interessando 20 milioni di persone, rimaste senza cibo”.
I temi dell’accesso al cibo, della sicurezza alimentare e della nutrizionesono stati trattati anche a Firenze il 30 maggio. Se nel 2030 la popolazione mondiale supererà gli 8 milioni, aumentando fino al 40% la domanda di cibo, come riusciranno i nostri sistemi alimentari a soddisfare l’istanza globale di accesso a cibo nutriente e di qualità? Questa la domanda che ha animato l’evento “La Questione Food in Agenda 2030: un approccio territoriale”, organizzato dalla Fondazione Simone Cesaretti e dall’Aiquav. La risposta data dal professor Cesaretti, presidente della Fondazione, si fonda sul “Paradigma di Sostenibilità Territoriale” come modello capace di sostenere nel tempo il benessere individuale e collettivo garantendo un posizionamento competitivo vincente nel processo di globalizzazione attraverso una “Strategia di non omologazione” e internalizzando i costi della scarsità con un “Approccio di Sistema alla Qualità”. Internalizzare i costi della scarsità, tra le altre cose, significa anche promuovere un’agricoltura “sociale” e “di prossimità” che favorisca l’inclusione nei processi produttivi e la non marginalizzazione delle aree periurbane, conservandone il carattere agricolo e promuovendo un rapporto di interazione tra gli agricoltori periurbani e il tessuto sociale delle città.
Attenzione al territorio e alle diseguaglianze anche nel contesto del “Forum dei Cittadini delle Aree Interne 2017”, organizzato dal Comitato Nazionale Aree Interne, dall’Anci e dalla Fondazione Basso e tenutosi ad Aliano (Basilicata) il 29 e 30 maggio. Nel corso delle due giornate si è discusso della distanza tra centri e periferie del Paese, tra città e campagna, come metafora di distanza culturale prima che politica. L’evento ha delineato un’Italia delle aree interne sospesa tra grandi rischi e grandi opportunità: aree interne ricche di risorse naturali e produzione agroalimentare, ma che vedono una forte caduta demografica, l’invecchiamento della popolazione e una riduzione della tutela e della manutenzione del suolo. Fabrizio Barca, consigliere della Fondazione Basso, ha ricordato che la frattura tra città e campagna può essere affrontata con un cambio di cultura e una nuova azione pubblica “rivolta alle persone nei luoghi”.
Il 5 giugno, a Milano, l’Italia è stata anche analizzata sotto il profilo delle nuove forme di povertà legate ai disagi economici e sociali che rendono difficile l’accesso a servizi di base convenienti, moderni e affidabili. Prendendo le mosse dal fatto che i poveri nel mondo sono 800 milioni, di cui 4,6 milioni in Italia, la giornata di studi promossa dalla Fondazione Aem e Utilitalia “Le nuove povertà – le risposte delle utility. Confronto tra esperienze nazionali e internazionali” ha posto l’accento sulle iniziative delle utility, che da tempo hanno lo scopo di sostenere chi si trova in condizioni di disagio. Giovanni Valotti, presidente di Utilitalia (federazione dei gestori di servizi idrici, energetici e ambientali) è così intervenuto: “Una percentuale molto elevata dei residenti vive grave deprivazione materiale. Le misure adottate a livello nazionale spesso non bastano. Il nostro impegno è in prima fila, nel ruolo di imprese che vivono a fianco dei cittadini nei territori in cui operiamo. Per noi la responsabilità sociale, l'attenzione alla produzione di valore condiviso con le comunità, è condizione di competitività di lungo termine, parte integrante della strategia delle migliori imprese”. E ancora: “Le utility non hanno l'illusione di sconfiggere da sole la povertà, ma senz'altro hanno l'ambizione di contaminare con buoni esempi altri soggetti operanti nei nostri territori, per contribuire insieme ad un mondo migliore e più sostenibile”.
A Torino, nella manifestazione promossa dalla Confederazione Italiana Agricoltori (Cia) “Percorsi sostenibili: Agricoltura – Cibo – Ambiente – Educazione – Economia”, è di nuovo il mondo rurale a emergere come equilibratore sociale e strumento di inclusione. Nel corso della rassegna, l’organizzazione agricola ha rivelato: “Abbiamo l’età media degli addetti nel settore più alta del mondo. Più del 50 per cento degli impegnati ha oggi 60 anni, con il ricambio generazione fermo sotto il 7 per cento, si profila una sofferenza della forza lavoro.” Dino Scanavino, presidente della Cia, ha poi spiegato: “Proiettando questa tendenza occupazionale nel settore fino al 2030, considerando uscite e nuovi ingressi, verrebbero a mancare circa 150 mila unità. Tra questi, occorreranno diversi profili professionali, perché l’agricoltura e l’agroalimentare si sono evoluti. Serviranno, ad esempio, informatici, esperti di marketing, oltre ad agrotecnici, agronomi e operai specializzati”. Da qui si può dedurre il potenziale del mondo rurale di riequilibrare il tessuto sociale e divenire luogo d’integrazione anche per gli stranieri. Perché, nelle parole di Scanavino, “l’agricoltura accoglie, lo fa da sempre”.
Per sviluppare a pieno il potenziale di inclusione del mondo rurale, tuttavia, occorre rinnovare i processi produttivi, tagliando gli sprechi e creando posti di lavoro per la riqualificazione energetica. È questo il concetto di “decrescita” sostenuto da Maurizio Pallante, presidente del Movimento per la Decrescita Felice, che a Fontanellato, in Provincia di Parma, è intervenuto nella conferenza dal titolo “Alimentazione sostenibile garanzia della salute e del futuro comune” organizzata dall’Università di Parma: “decrescita non significa recessione. Non vanno confusi i concetti. La decrescita è una riduzione selettiva delle merci senza utilità, degli sprechi, ad esempio quelli alimentari”. E ancora: “Se non rinnoviamo il processo produttivo che parte dalla dignità del mondo rurale la situazione diventerà presto ingovernabile. Nel mio Piemonte oggi al contadino che produce si pagano 7 centesimi un kg di carote, 30 centesimi un litro di latte e, pensate, 1 quintale di grano è tornato al prezzo di trent'anni fa. Chi di voi accetterebbe uno stipendio ai livelli di trent'anni fa?". E la risposta, per il fondatore di Slow Food Carlo Pertini, è semplice: "È giunto il momento di restringere la filiera produttore-consumatore, e lo si fa con i mercati contadini. Uno alla settimana non basta. In America stanno nascendo delle community di supporter, che invece di mettere i soldi in banca finanziano i contadini che poi restituiranno con i prodotti della terra".
Di spreco si è parlato anche il 30 maggio a Udine, nell’ambito della conferenza organizzata dall’Università degli Studi di Udine “Alleanze nel REDUCEre: come la ricerca aiuta a declinare la nuova legge sulla riduzione dello spreco alimentare”. Nel corso dell’evento sono stati discussi i vari elementi che caratterizzano la “legge Gadda” contro lo spreco alimentare (Legge del 19 agosto 2016, n. 166), enfatizzando che il miglior rimedio contro lo spreco, analogamente al miglior rimedio contro il rifiuto, è la prevenzione. Compito della ricerca è quindi diffondere informazione e responsabilità sul valore del cibo per il consumatore, per l’economia e per l’ambiente. Il Dott. Luca Falasconi, ricercatore del Dipartimento di scienze e tecnologie agro-alimentari dell’Università di Bologna, ha poi presentato il progetto “Ricerca, EDUcazione, ComunicazionE: un approccio integrato per la prevenzione degli sprechi alimentari (REDUCE)”, finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare: un’iniziativa che si propone di contribuire alla prevenzione e alla riduzione degli sprechi alimentari a livello nazionale in linea con gli obiettivi del Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti.
Spreco e scarti alimentari sono stati anche al centro delle manifestazioni del 26 e 27 maggio, organizzate a San Zeno (Arezzo) da Oxfam Italia e Aisa Impianti. L’iniziativa “Zero spreco” ha compreso laboratori creativi, corsi di cucina e convegni per sensibilizzare i giovani sul diritto al cibo e sulla riduzione dei rifiuti, orientandoli verso modelli di consumo più responsabili e verso uno sviluppo sostenibile. Per Giacomo Cherici, presidente di Aisa Impianti, polo di riciclaggio di Arezzo, “La riduzione totale dei rifiuti significa lavorare su un bacino di persone molto più ampio e di conseguenza costare molto meno come costo industriale per singola tonnellata”.
Il tema della riduzione di perdite e sprechi alimentari rientra poi in un contesto globale in cui nonostante il mondo produca cibo a sufficienza per tutti, la fame rimane una delle sfide più drammatiche dello sviluppo. Per questo sono importanti gli investimenti, anche attraverso la cooperazione internazionale, nelle infrastrutture rurali e nella ricerca per aumentare la produttività agricola dei Paesi in via di sviluppo. Da un’agricoltura inclusiva e sostenibile e modelli di consumo alimentare responsabili ci spostiamo quindi a Siena, dove il 22 maggio si è discusso di cooperazione internazionale per lo sviluppo nel campo agro-alimentare, e in particolare di ricerca e innovazione euro-mediterranea sui temi alimentari e idrici. Il “PRIMA Stakeholder event”, organizzato dall’Università di Siena, ha posto l’accento sulla necessità di innovare il settore agri-food nell’area mediterranea attraverso una cooperazione che risponda agli effettivi fabbisogni delle piccole e medie imprese del territorio, che necessitano di importanti trasferimenti tecnologici e di “know how” per rafforzare il proprio business in situazioni geopolitiche spesso insidiose. In questo contesto, PRIMA costruisce ponti tra aziende, ricerca, imprenditori e agricoltori per implementare efficacemente l’innovazione in risposta alle sfide che il Mediterraneo dovrà affrontare.
Anche nel convegno organizzato a Roma il 29 maggio da Link 2007, “L’ultimo miglio: cambiamento e diritti per il presente e il futuro”, si è discusso di cooperazione per lo sviluppo rurale e sociale. Per celebrare il decennale della loro rete, gli organizzatori hanno chiamato sul palco del Teatro Argentina due giovani donne: l’albanese Irma Tako e la siriana Eva Ziedan, che hanno testimoniato i profondi cambiamenti innescati dalla cooperazione con le Ong Cesvi e Cosv, rispettivamente per progetti di sviluppo rurale e per costruire ponti tra comunità contrapposte. Nel corso dell’evento è intervenuta, tra gli altri, Emma Bonino, del Partito Radicale: “servono più diritti e serve più Europa, oltre gli egoismi e le tendenze ‘sovraniste’ degli stati membri, sottrarre all’invisibilità e alla marginalità migliaia di cittadini stranieri”. Forte anche il messaggio di Paolo Dieci, presidente di Link 2007, che ha evidenziato la centralità dell’“ultimo miglio” nelle aree più depresse e povere del mondo, oltre che l’importanza della concretizzazione dell’Agenda 2030 in Italia, perché le diseguaglianze vanno ridotte dovunque, e dovunque vanno affermati i diritti negati.
Le disuguaglianze e i diritti sono stati affrontati anche in termini di genere. A Roma, il 27 maggio, la Rete per la Parità ha dedicato una intera giornata al tema della parità che, “proprio come un drone, sorvola e intercetta anche gli altri obiettivi della sostenibilità”. L'evento “Il drone della Parità” è stato corredato da interventi di esperte, mostre, proiezioni video, un seminario sul cyber bullismo, l’esposizione dei lavori sulla discriminazione di genere nello sport svolti dalle alunne del “Liceo dello Sport”, un laboratorio di coding e molto altro. Toccante il messaggio di Emma Bonino, che è intervenuta in una video intervista: “Mi spiace constatare che le ragazze di questi tempi non si impegnano moltissimo sui diritti, dandoli per acquisiti e intoccabili, invece i diritti si possono perdere, vanno curati, salvaguardati, spinti, protetti… la discriminazione contro le donne è uno sport mondiale che attraversa tutti i continenti, in alcuni in maniera più violenta. Ma questo non deve rassicurarci tanto da metterci sedute: noi possiamo conquistare e mantenere una parità effettiva solo se ci impegniamo. Sprecare l’energia, l’ingegno e la passione di metà della popolazione mondiale è veramente uno spreco di energie in un mondo che ne ha assolutamente bisogno. Occuparsi di temi al femminile non è un dato marginale, non siamo una specie in via di estinzione: siamo metà della popolazione che vuole contribuire in parità a uno sviluppo umano e sostenibile del pianeta”.
E ancora di diritti delle donne e delle bambine si è discusso a Torino e Palermo, rispettivamente il 23 e il 30 maggio, dove WeWorld onlus ha presentato la terza edizione del WeWorld Index in eventi dal titolo “WeWorld Index 2017. Bambine/i adolescenti e donne tra inclusione ed esclusione”. A Torino è stato approfondito il tema della condizione delle donne nel mercato del lavoro. Il presidente di WeWorld ha anche sottolineato il rapporto tra la condizione delle donne e il livello di benessere dei loro figli e figlie: “Le risorse economiche sufficienti, le competenze culturali adeguate e acquisite attraverso l’educazione e il potere decisionale influiscono nell’insieme anche sulla capacità di una donna di nutrire se stessa e, se li ha, i propri figli”. A Palermo si è parlato di povertà educativa come causa di povertà economica e sociale, oltre che di sfruttamento. La giornata ha posto l’accento sulla realtà della città, dove WeWorld collabora nella realizzazione di progetti contro la dispersione scolastica e a sostegno delle donne a rischio di esclusione in alcuni quartieri.
C’è poi stato il “Convegno sul contrasto alle Mutilazioni Genitali Femminili (Mgf), diritti delle bambine e sviluppo sostenibile”, organizzato da Plan International Italia e Aidos (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo Onlus) il 6 giugno a Milano, che ha posto attenzione sulle Mgf come forme di oppressione di genere. Citando dal comunicato conclusivo: “Parità di genere, affermazione dei diritti delle donne, e quindi delle bambine, e loro empowerment nella società costituiscono fattori fondamentali di uno sviluppo sostenibile inteso come processo di crescita economica e sociale che non contenga in sé le ragioni del suo arresto o di una sua involuzione con gravi conseguenze sulla sicurezza, sul clima e sulla sopravvivenza delle popolazioni”. In questo contesto si colloca il contrasto alle mutilazioni genitali femminili: tema difficile la cui discussione può però essere facilitata dal “ponte culturale” che si crea a seguito dell’incontro tra chi emigra e chi rimane nei Paesi di origine. Toccante l’intervento di Fatoumata Ibrahima Samake, giovane donna del Mali che fin da bambina convive con le Mgf e adesso lavora per contrastarle.
Il 23 maggio, a Roma, le donne sono state protagoniste dell’evento “Salute globale: donne e diritti in movimento”, organizzato dall’Aidos (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo) e dall’Osservatorio Aids Diritti Salute. A conclusione di una serata di dibattiti, Maria Grazia Panunzi, dell’Aidos, ha dichiarato: "Lavorare da decenni per la salute di donne e ragazze, attraverso la creazione di centri per la salute delle donne in molti Paesi del mondo, ci permette di evidenziare l'importanza di un'Agenda di sviluppo sostenibile che sia universale e che prevede tra i suoi obiettivi la salute per tutte e tutti e la parità di genere come obiettivo specifico e trasversale agli altri. La salute di donne e ragazze deve essere considerata una priorità ovunque e, dove sono presenti donne migranti, si deve garantire loro l'acceso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva. In questo senso vanno quindi potenziati i consultori italiani affinché recuperino tutte le loro funzioni con un'ottica interculturale al servizio delle donne e ragazze presenti sul territorio”. Donne, quindi, al centro di riflessioni e percorsi diversi ma che possono riassumersi in una massima di Amartya Sen che afferma che “se le donne stanno bene, tutto il mondo sta meglio”.