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Povertà dimezzata in 15 anni ma ancora 767 milioni di persone vivono con meno di 1,90 dollari al giorno, la relazione all'Hlpf sul Goal 1
Le aree a rischio di disastri naturali sono anche le più esposte alla povertà e la protezione sociale non riesce a raggiungere i più bisognosi del Pianeta. Il rapporto sullo stato di avanzamento del Goal 1 infonde speranze ma pone questioni serie per i prossimi decenni.
Luglio-Agosto 2017
Eliminare la povertà in tutte le sue forme: non a caso quella che per studiosi e analisti molto esperti è la più grande sfida del nostro tempo sia anche il primo dei 17 Goal dell'Agenda 2030, siglata dai Paesi Onu nel 2015.
Nei sette Target che dettagliano il primo degli Obiettivi di sviluppo sostenibile si fissano orizzonti che coinvolgono tutti cittadini del Pianeta per l'eliminazione completa della povertà assoluta, ovvero quella che affligge coloro che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno, e per il dimezzamento dell'attuale numero “di uomini, donne e bambini di ogni età che vivono in povertà” entro il 2030, come si legge sul sito delle Nazioni Unite.
Sebbene il 2030 appaia una scadenza ravvicinata e 13 anni sembrino uno spazio temporale molto limitato per la complessità delle problematiche da affrontare, la relazione sul Goal 1 aggiornata al 2017 sui progressi avvenuti tra il 1999 e il 2016 e presentata in occasione dell'High Level Political Forum, mostra come ci sia più di un segnale a dare fiducia sul lavoro da svolgere. Il meeting, tenutosi a New York dal 10 al 19 luglio, ha avuto come tema “Eliminare la povertà e promuovere la ricchezza in un mondo in cambiamento”, concentrando l'attenzione in particolare sui Goal 1, 2, 3, 5, 9 e 14.
Il report del segretario generale António Guterres Progress towards the Sustainable Development Goals sull'avanzamento degli SDGs evidenzia come tra il 2000 e il 2016 la percentuale della povertà mondiale sia dimezzata, anche se situazioni critiche permangono specie nei Paesi dell'Africa Sub-sahariana e in quelle aree esposte alle calamità naturali. Queste ultime sono anche quelle tendenzialmente più a rischio povertà. In termini assoluti, nel 2013 è stato stimato che erano circa 767 milioni coloro al di sotto della linea convenzionale di appunto 1,90 dollari al giorno, una riduzione drastica rispetto agli 1,7 miliardi di cittadini in questa condizione nel 1990. I progressi più notevoli sono stati visti nell'Asia orientale e nel sud-est asiatico, dove il tasso è passato dal 35% del 1999 al 3% del 2013. All'opposto, le popolazioni dell'Africa sub-sahariana mantengono condizioni di estrema povertà e al 2013 registravano un dato del 43% del fenomeno.
Sistemi di welfare in grado di proteggere gli individui più vulnerabili in stato di necessità, quali bambini, madri single con figli piccoli, persone con disabilità e anziani, erano previsti nel 2016 per il 45% della popolazione mondiale, mentre il 68% dei cittadini in età pensionabile ha effettivamente ricevuto questa retribuzione, con evidenti variazioni a seconda della zona. Ad esempio, in Oceania, escludendo Australia e Nuova Zelanda, e nell'Africa sub-sahariana rispettivamente solo il 10% e il 22% degli aventi diritto ha potuto contare sull'assegno pensionistico. Altri soggetti vulnerabili che non hanno ricevuto l'appropriata protezione sociale sono state le persone con gravi disabilità: solo il 28% di loro ha ottenuto assistenza economica, così come appena il 22% dei disoccupati ha incassato un assegno di sostegno, e il 41% delle donne che hanno dato alla luce un bambino ha visto un contributo economico alla maternità.
Alla sessione dell'Hlpf avvenuta l'11 luglio, presieduta dal precedente presidente dello United Nations Economic and Social Council (Ecosoc) e rappresentante permanente dello Zimbabwe, Musiiwa Makamure Shava, diversi gli interventi di esponenti del mondo politico, economico, della cooperazione e del lavoro che si sono succeduti nell'analisi e nel commento della relazione del segretario generale.
Stefan Schweinfest, presidente del Dipartimento degli Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite (Desa) ha voluto sottolineare come, nonostante il progresso diffuso, ancora tre quarti di miliardo di abitanti del Pianeta viva in estrema povertà e la protezione sociale sia diffusa in maniera differenziata nel mondo, senza raggiungere molte delle popolazioni più vulnerabili.
Per Carolina Sanchez-Paramo del World Bank Group, coloro che rimangono più poveri sono anche quelli più difficili da raggiungere, concentrati in gran numero in aree fragili, in guerra o esposte maggiormente al rischio di disastri naturali.
Migliori politiche contro la povertà, complementari alla crescita economica, sono state richiamate da Martin Ravallion, docente alla Georgetown University, secondo cui mentre grandi passi in avanti sono stati effettuati nella lotta alla povertà assoluta, le sfide nella riduzione di quella relativa sono ancora aperte. Il sindaco di Jingzhou, in Cina, Yang Zhi ha ricordato come l'obiettivo di far uscire dalla povertà 70 milioni di cinesi entro il 2020 sia a portata di mano e come il Paese abbia già mobilizzato tutti i settori della società a questo fine e previsto investimenti in infrastrutture, rafforzato il sistema di protezione sociale e avviato la creazione un network di commercio online tra i villaggi.
Sebbene il 60% delle terre coltivabili si trovi in Africa, ha sottolineato Yaw Ansu, dell'African Center for Economic Transformation, per dare una svolta al loro sfruttamento è necessario migliorare l'accesso a questi terreni, aumentare la produttività di tenute e fattorie e rendere il settore agricolo attraente dal punto di vista economico. Nel suo intervento Janet Gornick, della City University of New York, ha ribadito come i fattori chiave della profonda povertà siano spesso alte disparità salariali e una redistribuzione della ricchezza insufficiente da parte dello Stato.
Anche un lavoro dignitoso e una protezione sociale efficiente sono cruciali per la riduzione delle iniquità, ha voluto aggiungere Deborah Greenfield, dell'International Labour Organization, così come l'importanza della creazione di posti di lavoro equi, l'accesso a un sistema democratico sulle decisioni pubbliche e un welfare accurato sono stati invocati da Wellington Chibebe, rappresentante dell'International Trade Union Confederation.
Nella discussione, l'Indonesia ha individuato degli ambiti per la cooperazione internazionale, tra cui una più esaustiva raccolta ed elaborazione dei dati, un focus sulla povertà che riguardi i bambini e un potenziamento dei governi locali per la realizzazione di politiche per la riduzione del fenomeno. Mentre per l'Arzebaijan realizzare il Goal 8, Lavoro dignitoso e crescita economica, è necessario e fondamentale per accelerare i progressi previsti nel Goal 1, le Maldive hanno rilanciato il tema degli aiuti alle piccole isole in via di sviluppo (Sids), a causa della loro particolare vulnerabilità e ammesso che la strada nel solco degli SDGs richiederà un'inversione di tendenza rispetto all'attuale sfruttamento dell'ambiente.
Partendo dal presupposto che l'80% dei poveri vive in aree rurali, la Food and Agriculture Organization dell'Onu (Fao) ha stabilito la centralità di un approccio olistico al problema mentre la Cina ha altresì ricordato il dato per cui oltre 55 milioni di persone sono uscite dalla povertà delle aree rurali del Paese dal 2013 al 2016. La Svizzera ha invece osservato che una persona su otto entro i suoi confini è a rischio povertà e, insieme al Kenia, ha ribadito l'importanza dell'istruzione come un catalizzatore per l'eliminazione del problema.
A concludere gli interventi, Ansu ha riaffermato il bisogno di una maggiore produttività agricola nel continente africano mantenendo come capo saldo la tutela dell'ambiente, Ravallion ha invocato policy redistributive in grado di raggiungere gli abitanti del globo maggiormente in difficoltà, Yang ha esortato allo studio di soluzioni per alleviare le sofferenze dei più poveri, mentre Gornick ha insistito sull'urgenza di connettere i Paesi del mondo affinché possano condividere e sfruttare al meglio le informazioni in possesso.
La relazione del segretario si chiude con tre raccomandazioni, ricordando innanzitutto come non esistano panacee o soluzioni semplici e le strategie per raggiungere i meno abbienti vadano pianificate su misura per ogni Paese, utilizzando dati e analisi e monitorando i bisogni delle persone. Il fatto che siano avvenuti significativi progressi nella riduzione della povertà mondiale indica quali sono state le esperienze che meglio hanno funzionato in questo senso. In particolare:
- Una crescita economica inclusiva che garantisca pienamente il diritto al lavoro e condizioni lavorative dignitose, che consenta alle persone di uscire dalla povertà e rimanerne fuori;
- investire sulle persone, in particolare su donne e bambini, e impegnarsi nel fornire livelli minimi essenziali di cure mediche, servizio igienico-sanitari, di istruzione, di contesti sociali e abitativi di qualità, incluse le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, per superare il digital divide della crescente economia digitale, privilegiando coloro che sono esclusi da questi servizi di base;
- fornire protezione sociale per i più poveri e vulnerabili, assicurandosi per questi ultimi di seguirli affinché non incorrano in situazioni che potrebbero condurli alla povertà, come malattie gravi, epidemie, volatilità dei prezzi alimentari e crisi economiche.