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Nel mondo, su otto miliardi di persone almeno un miliardo vive in povertà, e nel 2022 sono previsti 263milioni di nuovi poveri. Nel 2021 le famiglie italiane povere erano 1.960mila, mentre la povertà minorile assoluta ha colpito 1.382mila bambini.

Approfondimenti

L’Italia e le policy verso gli SDGs: la sfida della valutazione

di Davide Ciferri, Segretariato ASviS

Un disegno appropriato di politiche rivolte allo sviluppo sostenibile si scontra necessariamente con la complessità dell’Agenda 2030 e i diversi gradi di interrelazione tra le dimensioni degli SDGs. Come evidenziato nel Rapporto ASviS 2017, lo sviluppo di modelli di valutazione è necessario per l’identificazione dei potenziali tradeoff e degli strumenti più efficaci per il raggiungimento degli SDGs.
Settembre-Ottobre 2017

Con la pubblicazione del Rapporto ASviS 2017 per la prima volta si è tentato di dare evidenza del grado di efficacia delle politiche rivolte allo sviluppo sostenibile in Italia. Utilizzando la modellistica sviluppata dalla Fondazione Eni Enrico Mattei (Feem) - opportunamente calibrata per tenere conto delle proposte di policy incluse nel Rapporto – le analisi evidenziano cosa accadrebbe all’Italia nel sentiero verso il raggiungimento degli SDGs al 2030 in uno scenario a politiche invariate (business as usual) rispetto a quello che si potrebbe ottenere con un mix dedicato di interventi specificatamente disegnato su alcuni Obiettivi dell’Agenda.

I risultati ottenuti sono di assoluto interesse in quanto confermano la posizione dell’Italia al di fuori di un “sentiero di sostenibilità”. Nello scenario business as usual, infatti, al 2030 l’Italia non raggiungerebbe gran parte degli SDGs, perdendo posizioni nel ranking internazionale calcolato sulla base della distanza dagli stessi Obiettivi. In particolare, sebbene un leggero miglioramento si potrebbe ottenere nelle dimensioni economiche e sociali, la moderata dinamica di crescita prevista – in assenza di interventi “compensativi” – comporterebbe un netto peggioramento della sfera ambientale. Le emissioni di gas serra e l’intensità energetica aumenterebbero, peggiorando la qualità dell’ambiente e allontanando l’Italia dagli Obiettivi sottoscritti a Parigi.

Se invece si decidesse di perseguire con più decisione politiche mirate al raggiungimento degli SDGs, i risultati sarebbero significativamente migliori. In particolare, nell’analisi si è deciso di simulare gli effetti di sette politiche relativamente indipendenti l’una dall’altra in una prospettiva di complementarità: piena realizzazione degli accordi di Parigi, Strategia Energetica Nazionale (Sen) rafforzata, Garanzia Giovani, Piano per occupazione femminile, Industria 4.0, Banda larga, e programma per istruzione di qualità. Per ognuna di queste politiche si sono stimati i costi in termini di finanza pubblica e valutati gli effetti endogeni sulle diverse dimensioni del modello. Nello scenario di previsione in cui tutte le politiche sono implementate simultaneamente i risultati sono nettamente più positivi rispetto a quanto si otterrebbe a “politiche invariate”. Gli effetti sulla dimensione economica (si registrerebbe ad esempio un miglioramento significativo nel Goal 8, +101,1% rispetto al 2016), infatti, sostenuti dagli interventi di stimolo alla produttività (in particolare Industria 4.0 e Banda larga), verrebbero accompagnati anche da miglioramenti negli ambiti energetici (grazie ai target di efficentamento previsti dallo schema della Sen) e allo sviluppo delle rinnovabili (determinato dal processo di avvicinamento dei Target degli Accordi di Parigi). Infine, anche nella dimensione sociale si riscontrerebbero effetti positivi, in particolare favoriti dai programmi occupazionali rivolti ai giovani e alle donne.

Indipendentemente dai risultati quantitativi ottenuti in questo primo esercizio di valutazione, che dovrà in ogni caso essere raffinato e sottoposto ad analisi di robustezza, lo spunto che emerge dal Rapporto è quello relativo all’importanza dello sviluppo di una modellistica adeguata per lo studio degli scenari evoluti rispetto agli Obiettivi dell’Agenda 2030. Ciò risulta fondamentale almeno per tre ordini di motivi.

In primo luogo, i modelli di valutazione permettono ex-ante una pianificazione efficiente degli strumenti da mettere in campo. Come anche sottolineato dal Ministro Padoan nel suo intervento durante la presentazione del Rapporto, nelle attuali condizioni di vincoli stringenti di finanza pubblica, conoscere gli strumenti più idonei per il raggiungimento dei target prefissati è fondamentale per un disegno coerente di policy.

In secondo luogo, gli stessi modelli possono condurre all’identificazione dei tradeoff che necessariamente caratterizzano ambiti d’intervento così eterogenei come quelli descritti dagli SDGs. Come è noto, infatti, le politiche – e i loro effetti sul sistema economico e sociale – non sono semplicemente sommabili tra di loro, ma tendono ad influenzarsi a vicenda in funzione delle interconnessioni tra le diverse dimensioni dello sviluppo sostenibile. In contesti di questa complessità è quindi necessario mantenere una visione il più possibile olistica e considerare le politiche come “pacchetti” che devono integrarsi coerentemente in modo da aumentarne l’efficacia e l’efficienza.

Infine, i risultati ottenibili da un’appropriata modellistica di valutazione tendono ad aumentare l’accountability dei policy maker nella misura in cui quantificano gli effetti attesi restituendo un giudizio sul grado di coerenza tra obiettivi prefissati e gli strumenti implementati (o da implementare). In questa prospettiva, va letta anche la proposta fatta dall’ASviS sul confronto comparato delle diverse piattaforme programmatiche delle prossime elezioni nazionali. Un confronto adeguato sui diversi programmi, all’interno di uno schema di analisi rivolto agli SDGs, permetterebbe agli elettori di avere una maggiore consapevolezza degli effetti attesi degli interventi e al tempo stesso incentiverebbe i partiti e i movimenti a perfezionare la loro proposta politica in coerenza con una strategia rivolta allo sviluppo sostenibile.

Per permettere questo salto di qualità nel dibattito relativo all’Agenda 2030 occorrono tuttavia diversi sforzi congiunti. In primo luogo, un significativo investimento in ricerca sia nel settore pubblico che in quello privato per lo sviluppo di modelli sufficientemente robusti e complementari tra di loro. Compito del settore pubblico è infatti quello di dotarsi di uno schema di analisi che sappia restituire scenari di previsione non solo sulle variabili macroeconomiche e finanziarie, ma anche sulle altre dimensioni dello sviluppo di un Paese. Questa necessità è diventata quanto mai immanente anche alla luce dell’introduzione degli indicatori di Benessere Equo e Sostenibile nel ciclo di programmazione economico-finanziaria.

Al tempo stesso, il settore “privato” e della ricerca dovrebbe essere spronato a fare altrettanto al fine di creare un equilibrato dibattito e confronto sui risultati, garantendo prospettive complementari rispetto alle analisi “ufficiali” (così come accade per esempio nel campo delle previsioni macroeconomiche).

In secondo luogo, è altrettanto importante rafforzare la cultura della valutazione anche nel disegno delle politiche al fine di garantire ex-ante tutti quegli strumenti e i dati necessari per disegnare un appropriato schema di analisi. Nella cultura anglosassone, ad esempio, molti interventi legislativi prevedono espressamente la predisposizione di dati, informazioni e fasi di monitoraggio al fine di rendere il lavoro di valutazione più efficace.

Il tempo che abbiamo per dare piena attuazione all’Agenda 2030 non è moltissimo e non possiamo permetterci, quindi, di fare scelte di policy non opportunamente calibrate. Lo sviluppo di modelli previsionali specificatamente dedicati per valutare le traiettorie di avvicinamento (o allontanamento) agli SDGs è fondamentale per identificare le strategie più efficaci e per affrontare consapevolmente la complessità che ci attende nel percorso verso una maggiore sostenibilità del nostro modello di sviluppo. 

Aderenti

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