Approfondimenti
La gestione dei temi globali nella società internazionale post Covid 19
Dall’11 marzo, giorno della dichiarazione di pandemia dell’Oms, il sistema internazionale di risposta non è stato all’altezza della sfida. Prima analisi delle ripercussioni su prassi e prospettive per le relazioni multilaterali.
23 aprile 2020
“National health security is fundamentally weak around the world, and no country is fully prepared to handle an epidemic or pandemic,”. Washington, DC, October 24, 2019 [dall’Executive Summary del Global Health Security Index][1]
A partire dalla dichiarazione di pandemia dell’Oms dell’11 marzo scorso, il primo bilancio della risposta del sistema multilaterale al diffondersi del contagio di Covid-19 su scala mondiale non è stato certo all’altezza della sfida.[2] Il G7 e il G20 - discorso diverso vale per il sistema delle Nazioni unite - hanno prodotto tardivi e scarsi risultati, né sembrano lavorare al momento a progetti veramente ambiziosi.
Ma ancor prima ha mostrato seri limiti la capacità previsionale anche di ambienti qualificati dell’economia internazionale, nell’anticipare scenari di questa gravità. Il World economic forum (Wef) nel suo annuale Global risks report pubblicato il 15 gennaio 2020[3] escludeva il rischio di una pandemia, in termini di possibilità (likelihood), dai dieci maggiori eventi catastrofici, mentre le attribuiva solo l’ultimo posto in termini di gravità delle conseguenze (impact). La maggiore preoccupazione per il 2020 era costituita dal rischio ambientale.
La crisi determinatasi si ripercuote ora, attraverso più canali, sulle relazioni politiche e diplomatiche fra gli attori della comunità internazionale, un “ecosistema” dall’equilibrio già fragile, il cui ritardo sui temi della sostenibilità ostacola l’avanzamento del metodo multilaterale.
Il fenomeno, che, per sua stessa natura, continuerà ad evolvere, coinvolge innanzitutto quel vasto ambito di attività internazionale che più è cresciuto negli ultimi decenni, ovvero la governance dei temi globali e la prassi di lavoro sul piano multilaterale. Relativamente a questo consistente e variegato insieme di relazioni esterne quale sarà, una volta usciti dalla fase acuta della crisi, il mutato scenario?[4]. Se infatti l’intera società post - Covid 19 sarà diversa dall’attuale, quella internazionale non potrà fare eccezione e dovrà prendere atto della centralità se non della preminenza dello sviluppo sostenibile. Anticipare il tenore dell’agenda in ambito multilaterale e’ esercizio difficile ma può aiutare a prepararci a un nuovo contesto, come sempre competitivo, ma su nuove basi. Disponiamo a tale scopo di un margine di tempo, un po’ come quei Paesi che hanno potuto assistere allo scoppio della crisi sanitaria proveniente dall’Estremo Oriente prima di doverla fronteggiare al loro interno.
Prima risposta multilaterale alla pandemia. I vari profili del Corona virus disease 2019 hanno monopolizzato un’attività politica internazionale che, colpita nella sua logistica frenetica, si è dovuta riconvertire rapidamente alla ridotta mobilità e agli incontri ‘virtuali’. Per il G7, dopo il primo Summit ‘sanitario’ a distanza e l’analogo scambio fra i Ministri degli esteri di marzo scorso, la cancellazione del Leaders summit Usa di Camp David sembra indebolire ulteriormente l’efficacia di quel formato. Dal vertice straordinario del G20 del 26 Marzo[5]non sono stati assunti impegni realmente aggiuntivi a quelli dei singoli membri del Gruppo più rappresentativo della maggioranza delle economie mondiali. Il 25 Marzo Fmi e Banca mondiale hanno tuttavia chiesto ai leader del G20 di poter identificare i Paesi, il cui debito è divenuto non più sostenibile nelle attuali condizioni, ai fini di una sospensione dei pagamenti. La proposta è stata istruita ai primi Spring meetings ‘virtuali’ delle Ifi a Washington, il 16 e 17 aprile, e seguirà la trafila con il Club di Parigi. Lo stesso G20 nel frattempo è tornato a riunirsi in più formati: Ministri del Commercio (30 marzo), Ministri dell’energia (11 Aprile) e Ministri della salute (19 Aprile).
All’Onu l’impostazione di una strategia, lanciata il 28 Marzo da parte del Segretario generale Guterres, propone un percorso articolato in tre fasi: arrestare la trasmissione, contrastare gli impatti economici e sociali, lavorare a soluzioni sostenibili ampliando le forme di partenariato. La creazione di un United nations COVID-19 response and recovery fund, meccanismo finanziario interagenzia, ha immediatamente ricalibrato le priorità d’intervento. Ma le Nazioni unite non possono certo far fronte da sole all’enorme e protratto sforzo atteso, né il Consiglio di sicurezza è stato, finora, in grado di assumere le sue responsabilità adottando un proprio documento.
Discorso a sé vale per le varie iniziative in quadro Ue, che rivestono una specifica complessità e meriterebbero una trattazione distinta. Esse sono tuttora in corso e al momento rischiano - salvo nel caso della Bce - di non produrre effetti concreti con la tempestività necessaria, ampliando oltremisura il normale ritardo nell’uso della leva fiscale sugli strumenti monetari.
In sostanza i fori multilaterali inizialmente si sono concentrati sulla comunicazione pubblica, cercando di bilanciare l’effetto interno sulle popolazioni con l’impatto internazionale atteso, e, solo dopo, sull’azione di contrasto all’intero fenomeno con il coordinamento di strategie sanitarie da mettere in atto per superare la crisi e affrontarne le conseguenze sul piano economico e sociale.
Circa la prima componente, oltre alla lamentata lentezza nella reazione dell’Oms[6] e le polemiche più o meno fondate sul suo operato, si registra la scarsa efficacia di altri strumenti convenuti a livello multilaterale. Ad es. il Disaster risk reduction delle Nazioni unite (Unddr) non ha fornito tempestivi indirizzi sulla preparazione appropriata al tipo di crisi manifestatasi anche perché’ concepito in prevalenza per aree meno sviluppate, retaggio di una visione pre Agenda 2030. [7]
Quanto alla seconda e ben più duratura componente della crisi, il Fmi il 14 aprile ha fornito una stima della gravità delle previsioni di crescita e delle maggiori priorità d’intervento con il suo World economic outlook. I richiami alla cooperazione multilaterale confermano che sarebbe fuorviante, oltre che riduttivo, leggerlo unicamente in termini di crollo del Gdp della maggioranza dei singoli paesi e globale[8].
L’Ocse, il cui Interim economic outlook, di Marzo[9] è stato rapidamente superato in Aprile dagli eventi, ha rivisto la valutazione dell’impatto di Covid-19 sulla crescita globale e il Segretario generale Gurria riconosce che la stessa attività previsionale è sottoposta a sfide nuove (“The sheer magnitude of the current shock introduces an unprecedented complexity to economic forecasting”). L’organizzazione parigina[10] lancia dalla sua qualificata piattaforma vibranti appelli per il coordinamento delle azioni, innanzitutto fra i Paesi del G20, in campo economico, sociale e finanziario. La trasmissione dello shock dal lato dell’offerta si ripercuote in più forme dal lato della domanda. Sono appelli che, benche’ solidamente argomentati sotto il profilo dottrinario e tecnico, restano ovviamente subordinati alla volontà dei Governi membri.
Dalla ricerca dell’origine immediata del virus alle cause. Parte della reazione all'emergenza è la complessa indagine sulle origini di quanto accaduto. L’attenzione a tale riguardo si è concentrata prevalentemente sul periodo fra la fine del 2019 e l’inizio di questo anno, arco di tempo che potrebbe dover essere esteso ulteriormente a ritroso. Si giungerà a definire ipotesi attendibili e scientificamente fondate sull’insorgere e il diffondersi del virus, nonostante le già evidenti interferenze e i tentativi di strumentalizzazione politica. Ne discenderanno valutazioni sulle strategie adottate in termini di igiene, profilassi e sui servizi di protezione civile e sanitari nazionali con l’intento di trarre lezioni dall’accaduto innanzitutto in termini di informazione e cooperazione internazionale[11]. Ne potrebbe uscire paradossalmente ridimensionato anche il peso reale della componente nazionale di preparazione al rischio epidemico se non è preceduta e accompagnata da tempestivi e avanzati scambi informativi, coordinamento e collaborazione multilaterali.
Fra le tante conclusioni che verranno raggiunte quella della trasmissione all’uomo del virus proveniente da fauna selvatica (zoonosi) – per questa e/o in precedenti epidemie - evoca già ora un diretto risvolto multilaterale di sostenibilità ovvero l’attuazione della Convenzione sulla biodiversità del 1992 (Cbd) che, nata assieme alla prima Conferenza sullo sviluppo sostenibile di Rio, fra i suoi obiettivi, mira all’uso sostenibile delle risorse biologiche.[12]
Col tempo i risultati si affineranno, grazie al ricorso a più rilevazioni scientifiche, sulla base di dati statistici ancora non disponibili da incrociare con dati amministrativi. Essi si riveleranno tanto più rilevanti e utili quanto saranno riusciti a investigare l’accaduto con un approccio sufficientemente multidisciplinare. Solo la pluralità dei fattori in esame – come sempre accade per eventi catastrofici di queste dimensioni – fornirà un’eziologia adeguata che scopriremo probabilmente assai ampia e ben più articolata di quanto già ora comunque intuiamo in base a fonti aneddotiche. L’approccio convenzionale di un’autocompiaciuta governance internazionale per silos ne risulterà ulteriormente ridimensionato.
Un’analisi più avanzata di cause e conseguenze. Il più immediato seguito di questa serie di analisi sarà innanzitutto quello di fornire indicazioni e strumenti operativi agli addetti ai lavori per superare la crisi ed evitare, o comunque contenere, il ripetersi di analoghi eventi. Le pandemie, da tempo contemplate fra quelli catastrofici, venivano comunemente temute per aree regionali in Africa ed Asia, soprattutto da quando, a metà dello scorso decennio, la memoria di una serie di episodi si è affievolita o è stata percepita come localizzata al di fuori dei Paesi occidentali[13].
Grazie ad una pluralità di apporti, giungeranno all’attenzione della comunità internazionale una serie di “con-cause” e premesse sistemiche, non solo regionali, che, singolarmente prese e/o interagendo fra di loro, hanno contribuito all’insorgere della pandemia, al ridotto grado di resilienza, alla loro maggiore vulnerabilità, ma soprattutto alla dimensione globale delle conseguenze, oltre che sanitarie, economiche e sociali. Esse sono riconducibili ad es. ad aspetti relativi a ecosistemi terrestri, cambiamento climatico, modelli di produzione e consumo, mobilità, urbanizzazione, preparazione sistemi sanitari, diseguaglianze, trasparenza e credibilità delle istituzioni, partenariato e cooperazione internazionale, etc.
Il concorso di fattori assai eterogenei ma rilevanti costituisce la vera novità di questa crisi. Ciascuno di essi tocca inevitabilmente sfere d’azione e ambiti di governance sinora percepiti, sia a livello nazionale sia a livello internazionale, come apparentemente non determinanti. Al di là del vasto alveo dottrinario di discipline come l’epidemiologia, che pure si avvale di diverse specialità scientifiche[14], l’analisi e i meccanismi di causa effetto dovranno quindi essere ulteriormente estesi ad altre categorie di fattori, per un corretto esame della genesi, superando, inoltre, una troppo netta distinzione fra ottica di breve e di medio-lungo periodo.
Gli stessi formati politici intergovernativi, dopo l’esperienza comune della crisi, potrebbero considerare, nel quadro di una rivista divisione del lavoro multilaterale, un maggior ricorso al contributo di istituzioni e organismi internazionali con garanzie di qualità ed inclusività nella loro analisi. In particolare il G20, nato e sviluppatosi in risposta a passate crisi internazionali, potrebbe essere chiamato ad una nuova fase della sua evoluzione. Ad enti multilaterali sperimentati - non solo Oms ed Ocse ma anche altre Agenzie, Organizzazioni di Sviluppo e fra di loro molti degli enti internazionali ‘Custodian’ degli indicatori degli SDG di Agenda 2030 - potrebbe essere affidata (outsourced) un’analisi tecnicamente e scientificamente fondata dei temi su cui poi coordinarsi al livello politico. L’Italia potrebbe essere la prima a valutare questa ipotesi per la propria Presidenza del G20 nel 2021, che farà comunque perno sulla sostenibilità e sul rilancio del multilateralismo.
Una volta che i rischi globali si concretizzano, l’evento catastrofico produce i suoi impatti. Gli economisti parlano di shock, distinguendo, sia per i flussi finanziari sia per l’economia reale, fra quelli asimmetrici e quelli simmetrici. Ma anche nel caso di piena simmetria dello shock, la diversa vulnerabilità di ciascuno è determinata dalle condizioni iniziali e delle strutture economiche e sociali di ogni sistema. Gli ambiti nazionali, regionali e globali incidono sull’esito concreto e costituiranno pertanto oggetto del confronto internazionale.
Per le pandemie il rapporto Global health security index aveva stimato a fine 2019, con la misurazione di più parametri, il grado di preparazione di ciascun Paese stilando una graduatoria complessiva. E’ interessante osservare che, in molti casi, ai Paesi collocati fra i primi venti posti di questa graduatoria ha corrisposto sinora una gestione meno traumatica dell’epidemia, come nel caso della Germania (14ma) e della Corea del Sud (nona). Ma è anche vero che vi sono significative eccezioni come gli Stati Uniti che, primi nella graduatoria, sono il Paese con più vittime o la Gran Bretagna (che si collocava al secondo posto) o la Spagna (14ma): prova del fatto che disporre del migliore livello di preparazione è un vantaggio che può essere assorbito nella fase della gestione della crisi da scelte politiche inappropriate o anche dal cattivo funzionamento del sistema multilaterale. [15]
La sostenibilità globale come chiave di lettura e base di ripartenza. Mentre l’analisi disaggregata per Paesi mostrerà tutti i suoi limiti al profilarsi di rischi globali, emergerà ancor più nettamente la priorità costituita da una preparazione non solo regionale ma anche globale. Più fattori e le loro interazioni verranno considerati responsabili nell’aver compromesso la resilienza dei sistemi, accresciuto la loro vulnerabilità e aver preparato il terreno ad un evento non più arrestabile- e quindi non più gestibile con strumenti ordinari – e alle sue conseguenze.
Già ora emerge che le cause, potranno essere ricondotte a comportamenti antecedenti e reiterati di più attori - statuali e non. Detti comportamenti sono a vario titolo collegati alla nozione complessiva di sviluppo sostenibile, quale si è andata definendo nel corso dell’ultimo decennio. Se si adotta la nomenclatura di Agenda 2030, universalmente considerata la più completa e condivisa, è facile anticipare che saranno individuabili come collegate all'episodio molte delle sue componenti dei 17 SDGs e 169 Target.
Il documento “Shared responsibility, global solidarity” del Segretario generale Onu[16] pone in relazione gli SDG con il Covid-19 in quanto quest’ultimo è destinato a danneggiare o ritardare il loro conseguimento. La preoccupazione prevalente nell’ottica delle Nazioni unite è rivolta ai Developing countries che, come già anticipato da Unctad[17], e ribadito dal Fmi, si accingono ad entrare in una fase più critica di quella sperimentata nella crisi del 2008 per una pluralità di meccanismi di trasmissione, intrinsechi all’economia globalizzata (dissesto dei bilanci nazionali, commercio internazionale ridimensionato, flussi di capitale in uscita).
Tuttavia, la relazione pandemia - sviluppo sostenibile rileva anche nel senso inverso. Il mancato conseguimento di molti degli SDG, o il disinteresse nei loro confronti nei modelli di sviluppo, ha posto le basi per l’insorgere e il diffondersi non più coercibile del virus. In sostanza, mentre le prime riflessioni si limitano ad anticipare l’impatto del Covid-19 sul conseguimento degli SDGs, con l’avanzare del dibattito, il lavoro multilaterale dovrà considerare seriamente - soprattutto in una fase di ripresa, lunga e non lineare - quanto il mancato rispetto di un framework come Agenda 2030 abbia contribuito a creare le premesse della crisi e, in ultima analisi, come scongiurare il ripetersi dello stesso fallimento per questa o altre catastrofi globali. Su questo terreno dovrà spostarsi buona parte del confronto fra Governi circa la tematica della Recovery .
Evoluzione attesa dal mondo dell’economia verso una governance di sostenibilità. L’approccio previsionale, sotteso al rapporto del Wef (vedi nota 3), esprime la diligence delle migliori espressioni del settore privato nel definire le proprie strategie. Prevedere è elemento fondamentale del business e in taluni casi è addirittura sostanziale, come nel settore assicurativo. Si tratta di proiettare a livello globale e sistemico il rischio d’impresa. Ma il mondo del business non avverte solo gli effetti diretti, sanitari ed economici, di una pandemia. L’impatto sui comportamenti dell’intera popolazione, anche cioè su chi non è direttamente o indirettamente coinvolto, è tale da danneggiare le catene di approvvigionamento, l’impiego della forza lavoro, l’orientamento del consumatore e le sue intenzioni di spesa se non gli stessi modelli di consumo, con ritorni negativi tanto più pesanti quanto l’infezione biologica è accompagnata da una trasmissione informativa intensa. Il fenomeno è stato descritto in uno studio apparso ancora nel 2019 ad opera dell’Wef in collaborazione con l’Harvard global health institute, un anno prima quindi che il Direttore Generale dell’Oms, Ghebreyesus, impiegasse con la stampa il neologismo di Infodemia[18].
La pluralità dei maggiori rischi globali induce tuttavia una riflessione valida per gli attori economici operanti su mercati internazionali: qualsiasi misura precauzionale, anche laddove sia stata correttamente adottata, si limita a porre l’obiettivo di attrezzarsi meglio alle conseguenze del fenomeno non di evitarlo. Questa logica è ricorrente nella lotta ai cambiamenti climatici. Le politiche di adattamento, pur indispensabili e promosse nell’assunto di un peggioramento delle condizioni climatiche, compaiono nell’Accordo di Parigi[19] il doppio delle volte di quelle di concreta mitigazione delle cause del fenomeno.
Ma di fronte ad una pluralità di rischi globali –– una trentina per il Wef – è impensabile, e comunque fallimentare, ridurre la risposta ad una serie di misure di contenimento. Ad esse bisogna affiancare un disegno non solo di reazione ma anche di graduale costruzione di un ambiente che prevenga il verificarsi delle condizioni che concorrono a determinare il o gli eventi catastrofici.
In questa prospettiva se inizialmente il mantenimento dei livelli di consumo, il ripristino della capacità di spesa, il ritorno all’occupazione di decine di milioni di lavoratori nonché’ la grave congiuntura finanziaria e di bilancio sono percepiti presso i fori internazionali come necessità impellenti, ben presto balzeranno all’attenzione anche i modelli di produzione gli schemi di scambio e consumo sottostanti quali fattori concorrenti all’efficacia dell’azione e alla sua tenuta nel tempo e nello spazio. Per la loro trasformazione il sistema multilaterale dispone delle caratteristiche e della rappresentatività commisurate alla sfida. Potenzialmente è in grado di esercitare un’influenza importante indicando esempi virtuosi, percorsi condivisi o fissando regole comuni e standard per ambiti decisionali circoscritti oggetto dell’azione di organismi del sistema onusiano o ad esso collegati. In sostanza il dialogo internazionale potrebbe abbracciare, più esplicitamente che in passato, le politiche di trasformazione. La sua rappresentatività inoltre può dare sostanza al principio di inclusività: ad esempio in ambito europeo, per il settore energetico, applicando il concetto di just transition all’interno del Green new deal proposto dalla Commissione.
Sarà necessaria maggiore accettazione, presso un crescente numero di attori della comunità internazionale, di tutte le conseguenze dell’interconnessione globale. In sostanza nello scenario che si prospetta fra gli esiti dell’episodio pandemico, potrebbe esservi una minore resistenza a compenetrarsi nella dimensione di complessità che la sostenibilità comporta. L’avversione alla complessità - ancor prima dell’esigenza di modificare i comportamenti individuali e rinunciare a interessi immediati - ha di fatto costituito il maggiore ostacolo ad un’adeguata affermazione della priorità dei principi dello sviluppo sostenibile e della loro promozione da parte dei Governi. Tale messaggio è stato infatti di difficile comunicazione alle opinioni pubbliche, a vasti settori produttivi e agli stessi consumatori nonché’ alla loro mobilitazione e aggregazione politica. Ha concorso anche il non disporre di un impianto dottrinario e una modellistica affermatisi al pari del mainstream in ambito accademico e scientifico.[20] Tuttavia oggi è proprio il sistema multilaterale, superata l’ortodossia di decenni passati, ad elaborare e proporre concezioni più avanzate circa le proprie materie in termini di sostenibilità’.
Pertanto, oltre all’esigenza più pressante di contrastare una recessione su scala globale, senza molti precedenti, è presumibile che verranno sollecitate esplicitamente non solo misure finanziarie ma anche parametri e criteri di sostenibilità come riferimento per iniziative per la ripresa economica, un ambito sul quale puntare da parte nostra anche valorizzando il lavoro di specialisti italiani presso numerosi organismi internazionali.
Nonostante la forte attesa di una veloce ripresa economica, tali elementi non verranno più accantonati come d’altronde già avviene nella pianificazione strategica dei maggiori attori del settore privato operanti su base multinazionale. Lo conferma la reazione della società di consulenza McKinsey[21] che già ora abbozza articolate strategie di resilienza e di rilancio del business basate su scenari alternativi della durata attesa delle fasi della crisi. Tali strategie sono diversificate fra settori produttivi diversamente impattati da quanto accade. Ciascun settore è comunque chiamato a rivedere il proprio modello di business a conferma della risposta trasformativa alla crisi dell’attività d’impresa. E’ significativo che ai fini dell’entità e delle caratteristiche della ripresa McKinsey inviti a monitorare attentamente come l’orientamento regolatorio di ogni settore evolverà, dando per scontato un mutato framework normativo – regolamentare e in qualche modo auspicando che ciò accada.
Analoga attesa di forme di disciplina generale proviene anche dal mondo della Finanza che oggi investe ca. 40mila miliardi di dollari in investimenti Esg (conformi a criteri di sostenibilità’ Environment, social e governance) escludendo ad es. armi e big oils companies. Un’autodisciplina del settore finanziario europeo non è ritenuta infatti sufficiente. L’iniziativa regolatoria della tassonomia della Finanza sostenibile da parte dell’Ue, varata lo scorso anno nel più vasto quadro della Capital market union[22], era fortemente attesa da tutti gli operatori privati.
Non vanno infine trascurati i vari formati di coordinamento internazionale del settore privato e degli atri attori non statuali che regolarmente dialogano con il mondo multilaterale (Icc,Wbscd, Gri, Ungc, etc.). L’Un global compact (Ungc), massima iniziativa di sostenibilità corporate di taglia mondiale, con i suoi 10.000 aderenti nel mondo e ca. 70 network a livello nazionale vedrà consolidarsi il suo ruolo di cinghia di trasmissione al settore privato della riforma del sistema di sviluppo delle Nazioni Unite. In un incontro recente[23] ha ribadito le linee guida di un approccio all’emergenza globale saldamente ancorato ai principi dell’etica dell’economia e dello sviluppo sostenibile, principi che, assieme agli SDGs, sono al centro della sua attività, in questo 2020, anno della celebrazione dei venti anni dell’iniziativa lanciata da Kofi Annan.
Infine le voci di molti imprenditori si levano da tempo per un ritorno del pubblico in ambiti che si rivelano non solo a fallimento di mercato ma anche talvolta monopoli naturali. C’è anche chi si spinge oltre come nel caso di Bill Gates quando invoca il ruolo dei Governi per il sostegno alla ricerca alla preparazione e alla produzione e somministrazione di vaccini come nel caso del Cepi (the Coalition for epidemic preparedness innovation).
Tale attesa generale della revisione delle regole del gioco, in maturazione da tempo nei fori del settore privato, potrebbe affermarsi più velocemente di quanto finora parzialmente sperimentato per le public policies in alcuni ambiti multilaterali più strutturati come Ue e Ocse.
La stessa governance nazionale, espressione di sovranità statuale, è anch’essa tema del confronto internazionale. E’ indicativo l’affermarsi di principi di governance come quello della Policy coherence for sustainable development (Pcsd), codificato in ambito Ocse lo scorso anno e fondato su pilastri e criteri di funzionamento[24] che soppianta l’antecedente concetto della Policy coherence for development (Pcd), a sua volta sorto per un mondo nettamente diviso fra Paesi sviluppati e in via di sviluppo. Proprio la Pcsd ispira all’Ocse, in congiunzione con Undp, l’iniziativa di un Hub per la Governance degli SDGs destinato a fornire supporto e consulenza a Stati membri e partner dell’organizzazione, secondo standard e procedure che potrebbero trasformarsi in qualcosa di vicino a soft law. Il meccanismo in quadro Ocse di scambi di prassi e architetture organizzative attorno a standard condivisi ha una sua indubbia efficacia. In passato il meccanismo della definizione di Linee guida Ocse (Linee guida imprese multinazionali, Linee guida catene di fornitura, Linee guida settore estrattivo, etc) ha dimostrato di essere la fonte a cui si ispira poi la stessa normativa europea con il maggiore grado di cogenza consentito dal suo assetto istituzionale e giuridico.
Ritorno ad una leadership normativa e a politiche di traino. Ci si può attendere che, fra le principali differenze nel dibattito internazionale fra la situazione precedente e quella successiva alla pandemia, vi sarà una sensibile accelerazione nella metabolizzazione dei concetti di interdipendenza e interconnessione (interdipendence and interconnectdness[25]). Ciò dovrebbe aprire ad una percezione più matura della loro ripercussione su principi generali di funzionamento dei meccanismi multilaterali e delle modalità di conseguimento del consenso al loro interno. La stessa definizione degli ambiti di competenza e rilevanza per ogni organizzazione potrebbe rivelarsi meno rigida che in passato secondo una tendenza già ora in atto. Peraltro l’evidenza scientifica, anch’essa sempre più multidisciplinare e suffragata dall’esperienza diretta in prospettiva internazionale, mostrerà che governance, o anche solo coordinamento, affinché’ abbiano successo dovranno essere sempre più multidimensionali (verticale, orizzontale, abbandono della c.d. silos mentality, whole of government approach, etc.).
Una rinnovata domanda di regolamentazione, emersa quale necessità inderogabile, dovrebbe contribuire ad un multilateralismo che, benche’ sia entrato in crisi essenzialmente nel suo ambito tradizionale del commercio internazionale, non vede reali alternative per le tante altre aree che solo a quel metodo possono fare riferimento (ambiente, clima, flussi finanziari, standard lavoro e sociali, trasporti, comunicazioni, legalità, partenariato e cooperazione, etc.) e che compongono la dimensione internazionale dello sviluppo sostenibile.[26]
I Governi nazionali dovrebbero poter riaccedere a spazi erosi nei decenni passati per un rilancio del loro ruolo di attori fondamentali del confronto internazionale in virtu’ delle loro prerogative normative. Essi dovrebbero al contempo anche essere più credibili in quanto responsabilizzati (resi accountable) all’interno di un modificato clima del dialogo internazionale. Aspetti reputazionali, già oggi decisivi nel confronto competitivo fra attori privati (per ricorso al finanziamento, accesso ai mercati, orientamento del consumatore, etc.), potranno estendersi, mutatis mutandis, al dialogo che i Governi intrattengono in sede multilaterale.
Di conseguenza rappresentanti e delegati governativi saranno chiamati a giungere attrezzati in ogni sede di confronto e negoziato internazionale. Nel bagaglio argomentativo, opportunamente strutturato e organico, dovranno trovare posto maggiori richiami all’evidenza scientifico–tecnica e a riferimenti statistici e quantitativi. Le posizioni andranno inoltre adeguatamente articolate su una pluralità di temi anche al di là delle formali competenze delle sedi multilaterali adite e di ogni singola occasione di confronto. La proposta politica in queste sedi potrebbe articolarsi non più lungo i tradizionali pilastri economico, sociale e ambientale (a loro volta ricadenti fra le competenze di più dicasteri della nomenclatura dei Governi nazionali) ma - come sostiene Enrico Giovannini[27] - in politiche che prevengono, preparano, proteggono e promuovono in chiave di sostenibilità.
Mentre il settore privato e l’economia stanno rivedendo il gigantismo di molti eventi settoriali, espositivi, fieristici e promozionali, anche le grandi conferenze internazionali a carattere tematico - evoluzione del multilateralismo che abbiamo conosciuto soprattutto dagli anni ’80 in poi[28] - potrebbero rivelarsi meno praticabili se non obsolete. Prosegue una ricalendarizzazione di molti appuntamenti internazionali del 2019 conservando solo ciò che di multilaterale può essere svolto da remoto e quindi con una partecipazione necessariamente selezionata e forse più sinceramente motivata. Gli eventi di maggiore dimensione[29], appaiono non più in linea con il contesto multilaterale non solo in quanto confliggono con un uso ragionevole delle risorse e perché’ sempre più gravati da oneri organizzativi non più accettabili sotto il profilo della sostenibilità, ma anche perché ispirati ad un’eccessiva compartimentazione delle tematiche in discussione incongrua con l’approccio di interconnessione con le materie ad esse collegate.
Rilievo delle Strategie nazionali di sostenibilità. In sostanza questo rinnovato clima delle relazioni fra Governi dovrebbe favorire un più efficace confronto internazionale su temi percepiti come più urgenti e rilevanti sul piano globale[30]. La governance di quelli a prevalente contenuto economico, sociale e ambientale, privilegerà - ancor più che in passato - quegli attori che saranno in grado di costruire e proiettare una propria organica piattaforma progettuale e un’immagine complessiva ispirata ai valori della sostenibilità. Essa dovrebbe essere suffragata da un armamentario di dati innanzitutto di fonte statistica o comunque quantitativa affidabile e sperimentata ma anche ove opportuno integrata con il ricorso a big data ovvero a quell’insieme di informazioni generate da dispositivi elettronici, social media e motori di ricerca applicazioni di geolocalizzazione e immagini satellitari.
Le science based decisions esprimono un orientamento che lo sviluppo sostenibile rivendica da tempo e che ha avuto lo scorso anno una realizzazione concreta mediante la pubblicazione del Global sustainable development report (Gsdr) frutto del lavoro di un gruppo di scienziati e specialisti e e predisposto a beneficio dell’intera comunità internazionale per indirizzare verso priorità e strumenti condivisi.[31]
In conclusione, nonostante segnali contrastanti bisogna attendersi un’evoluzione verso un nuovo approccio multilaterale che resterà tuttavia competitivo, al di là dei rinnovati metodi di raggiungimento del consenso. Le argomentazioni in ogni sede negoziale dovranno pertanto essere presentate in forma più articolata e non più incentrate su pochi elementi identitari. Caratterizzazioni nazionali o di linea politica contingente, legate alla collocazione geografica, alle caratteristiche della composizione sociale, alla condizione economica del Paese e quindi aspetti come il sistema produttivo, la stratificazione sociale e gli schemi di consumo tradizionali rischiano di perdere peso ed essere argomenti meno efficaci che in passato.
Nell’imbastire una narrazione più ampia e inclusiva degli elementi della propria strategia di sviluppo sostenibile, l’afflato globale potrà essere compatibile con l’interesse nazionale conservando una caratterizzazione a sfondo culturale (nel senso più ampio del termine), ovvero facendo di essa un elemento trasversale. Tale operazione, volta a costituire una narrativa coerente ed efficace, è tanto più importante in quanto l’esito della crisi legittimerà Paesi, come quelli asiatici (Cina, Corea, Singapore, etc.), a rivendicare i propri modelli alla luce del successo conseguito. Nell’articolare un modello ‘originale’ sarà solo una visione di sviluppo sostenibile realmente onnicomprensiva a garantire prestigio e riconoscimento internazionale alle nostre proposte.
Ad esempio puntare sulla centralità della dimensione umana, sulla qualità e il benessere, optando per un approccio sicuramente in linea con le migliori espressioni del Paese, potrebbe costituire la cifra della proposta italiana coerente con la lesson learned della pandemia.
Essa oltre ad essere in linea con una tradizione culturale plurisecolare, ha in nuce tutte le caratteristiche per costituire un’alternativa a modelli di sviluppo sostenibile che nell’ultimo mezzo secolo si sono affermati sulla base di premesse diverse. E’ il caso di un progresso competitivo improntato unicamente ai criteri dell’economia lineare o, all’opposto, di un ambientalismo talvolta avulso dalla sostenibilità sociale e dalla legittima aspirazione ad una vita progredita.
[1] Il rapporto del 2019 è stato coordinato dalla Johns Hopkins University finanziato dalla fondazione Robertson e dalla Melinda e Bill Gates foundation ed è imperniato sulla preparazione al rischio da agenti biologici according to the first comprehensive assessment and benchmarking of health security and related capabilities across 195 countries [https://www.ghsindex.org/ ]
[2]In Italia vedi Iai [ https://www.affarinternazionali.it/2020/04/covid-19-e-istituzioni-internazionali/]. Fra gli osservatori internazionali il Council of foreign relations evidenzia gli scarsi risultati di G7 e G20 anche per l’assenza di leadership al loro interno a confronto con le equivalenti reazioni registrate per crisi globali precedenti nel 2008 e ancor prima nel 2001[ https://www.cfr.org/blog/multilateral-system-still-cannot-get-its-act-together-covid-19 ]
[3] I rischi contemplati dal Rapporto, fondato su basi percettive, pubblicato dal Wef a partire dal 2007, sono in tutto trenta e vengono ricondotti a cinque categorie: rischi economici, ambientali, geopolitici, sociali (societal fra cui le pandemie) e tecnologici. Il rischio pandemia, pur definito il blind spot dell’analisi durante la sua presentazione, era scomparso da entrambe le graduatorie del WEF dal 2009 al dissolversi della memoria di Hiv, Sars, etc. e al ridursi del numero dei Paesi in cui le epidemie si propagavano. Vedi anche https://www.weforum.org/whitepapers/outbreak-readiness-and-business-impact-protecting-lives-and-livelihoods-across-the-global-economy.
Nell’introduzione al Global risk perception report del gennaio 2020 [ https://www.weforum.org/reports/the-global-risks-report-2020 ] si legge che l’indagine viene condotta annualmente intervistando un campione di 800 membri e 200 imprenditori emergenti: “The foundation of the report is our annual Global risks perception survey,completed by approximately 800 members of the Forum’s diverse communities. I am particularly proud that for the first time we are also featuring the results from more than 200 members of our Global shapers community—a generation of emerging global social entrepreneurs and leaders. This younger generation is increasingly using its digital savviness—and its feet—to spotlight issues, particularly relating to climate change, that it sees as existential risks not only to its generation but to the wider global community.
[4] Vedi l’articolo di K.Kampbell e R.Doshi su Foreign affairs ‘The coronavirus could reshape global order’[ https://www.foreignaffairs.com/articles/china/2020-03-18/coronavirus-could-reshape-global-order ].
[5] Il programma del G20, la cui funzione è complementare e non alternativa a quella delle istituzioni multilaterali, ivi incluse quelle che al G20 sono tradizionalmente associate [ https://g20.org/en/g20/Pages/events.aspx ], al momento non lascia presumere eventi di particolare rilevo ai fini della crisi prima dell’autunno.
[6] Al di là delle polemiche contingenti sulla sua guida attuale, pochi organismi multilaterali come l’Oms hanno visto la propria funzione evolvere così strettamente con i fenomeni di globalizzazione. “L’Organizzazione mondiale della sanità, nata nel 1946, è l’incarnazione di una lezione storica. L’Oms sostituì una varietà di piccole organizzazioni internazionali tra cui il ramo sanitario della Società delle nazioni, l’istituzione diplomatica internazionale crollata all’inizio della seconda guerra mondiale. Il ramo sanitario, creato all’inizio degli anni venti del novecento, era una risposta all’epidemia d’influenza che si era manifestata tra il 1918 e il 1921, in cui morirono cinquanta milioni di persone, e alle epidemie di tubercolosi e tifo che avevano martoriato l’Europa nel dopoguerra”[ La geopolitica delle epidemie Laura Spinney, New Statesman, Regno Unito 2 marzo 2020.
[7] Il Sendai framework for disaster risk reduction, documento Onu adottato nel marzo 2015 poco prima di Agenda 2030 menziona solo un paio di volte epidemie e pandemie, cosi’ annoveandole fra i fattori di rischio: (par. 6):… underlying disaster risk drivers, such as the consequences of poverty and inequality, climate change and variability, unplanned and rapid urbanization, poor land management and compounding factors such as demographic change, weak institutional arrangements, non-risk-informed policies, lack of regulation and incentives for private disaster risk reduction investment, complex supply chains, limited availability of technology, unsustainable uses of natural resources, declining ecosystems, pandemics and epidemics”. Nella parte prescrittiva il documento poi cosi’ si esprime al (par. 26) nell’elencare le azioni prioritarie a livello globale e regionale:” (d) To promote transboundary cooperation to enable policy and planning for the implementation of ecosystem-based approaches with regard to shared resources, such as within river basins and along coastlines, to build resilience and reduce disaster risk, including epidemic and displacement risk.”
[8] “ Strong multilateral cooperation. The recovery will also require strong multilateral cooperation to complement national policy efforts. This means reducing tariff and nontariff barriers that impede cross-border trade and global supply chains as well as scaling back capital flow measures as global financial sentiment recovers” vedi: Imf, World economic outlook April 2020.
[9] “Oecd interim economic assessment coronavirus: The world economy at risk” 2 March 2020
[10] L’attenzione dell’Ocse alle politiche settoriali e alla loro governance dimostra il superamento della visione dell’organizzazione incentrata sulle sole politiche macroeconomiche [ https://www.oecd.org/coronavirus/en/ ]. Il G20 per l’opposizione di alcuni suoi membri non ha mai attribuito all’Ocse quel ruolo di Segretariato permanente che avrebbe dato continuità all’azione del Gruppo.
[11] Alcune conclusioni vengono già tratte come nel caso dell’economista Jeffrey Sachs di Sdsn (Sustainable development solutions network) in un articolo apparso ad opera dell’Earth Institute. in cui azzarda un primo raffronto sul diverso stato di preparazione di Europa, Stati Uniti e Asia in cui l’occidente mostra minore preparazione e maggiore vulnerabilità. “Europe and the Us did not have effective public health systems in place at the start of the pandemic. In contrast, some countries in East Asia, such as Singapore, Hong Kong, and Taiwan, have highly effective public health systems, with experience after the 2003 Sars outbreak. By taking a proactive approach to testing and tracking the infection, and by promoting personal hygiene (such as hand washing) and widespread temperature monitoring, they by and large succeeded in isolating a significant share of infections. As a result, they have so far kept the confirmed cases per 1 million population far below the levels of the Us and Western Europe.” Jeffrey D. Sachs, How us can keep death toll far below the 100,000 projection, 3 Aprile 2020.
[12] L’attuale responsabile della Convenzione sulla biodiversità ha invocato un divieto globale sui mercati della fauna selvatica per prevenire future pandemie: “Preservare ecosistemi e biodiversità ci aiuterà a ridurre la prevalenza di alcune di queste malattie Il modo in cui coltiviamo e utilizziamo il suolo, in cui proteggiamo gli ecosistemi costieri e in cui trattiamo le nostre foreste rovineranno il futuro o ci aiuteranno a vivere più a lungo”. Anche in Ocse i legami fra biodiversità, inquinamento e malattie emergenti è una realtà acclarata con implicazioni ulteriori di natura economica.
[13] Oltre al Sendai framework di cui alla nota precedente, l’adozione da parte delle Nazioni unite dopo lungo negoziato della Risoluzione dell’Assemblea generale sulla Copertura universale sanitaria analizza i caratteri auspicati dei sistemi sanitari. Approvata durante l’Assemblea generale dello scorso luglio, ha tuttavia affrontato il tema in un’ottica diversa con attenzione alle malattie non trasmissibili oltre a quelle trasmissibili. Per entrambe le categorie di malattie Agenda 2030 pone dei target specifici. Anche qui l’unico riferimento alle pandemie è in chiave di preparazione per i più vulnerabili: 72. Promote strong and resilient health systems, reaching those who are vulnerable or in vulnerable situations, and capable of effectively implementing the International health regulations (2005),11 ensuring pandemic preparedness and the prevention and detection of and response to any outbreak;
[14] L’epidemiologia si avvale di altre discipline come la medicina preventiva e clinica, la demografia, la sociologia e la modellistica economica.
[15] Il rapporto, imperniato sulla stima della preparazione al rischio da agenti biologici, e’ stato coordinato dalla Johns Hopkins University e finanziato dalla fondazione Robertson e dalla Melinda e Bill Gates foundation [https://www.ghsindex.org/ ]. L’Italia vi figura al 31mo posto complessivo ma occupa il 16mo posto per la capacità di tempestivo reporting di epidemie di potenziale rilievo internazionale. DE
[16] Il documento distingue tre stadi della crisi innescatasi. Innanzitutto, il blocco della trasmissione, quindi il contrasto della serie di impatti sociali, economici e multidimensionali, e infine l’esigenza di individuare soluzioni sostenibili per far fronte alla situazione ma non per ripristinare lo status quo ante. [ https://unsdg.un.org/sites/default/files/2020-03/SG-Report-Socio-Economic-Impact-of-Covid19.pdf ].
[17] Unctad, 30 marzo 2020, “The Covid-19 shock to developing countries: towards a “whatever it takes” programme for the two-thirds of the world’s population being left behind”[ https://reliefweb.int/report/world/covid-19-shock-developing-countries-towards-whatever-it-takes-programme-two-thirds ]
[18] Outbreak readiness and business impact protecting lives and livelihoods across the global economy, [ https://www.weforum.org/whitepapers/outbreak-readiness-and-business-impact-protecting-lives-and-livelihoods-across-the-global-economy ]
- 19. Il termine mitigation compare ben 47 volte nell’Accordo di Parigi mentre adapatation solo 23 [ https://unfccc.int/files/essential_background/convention/application/pdf/english_paris_agreement.pdf
[20] Scriveva nel 1999 Giovanni Berlinguer: “Al modello sanitario che assegnava la priorità all’assistenza di base per tutti si è sostituita, in molti Paesi al tendenza a smantellare i meccanismi di intervento pubblico e a diffondere anche dove le risorse sono minime, la priorità di tecnologie costose riservate ai privilegiati. La riduzione e il calo di qualità dei servizi comunitari ha aperto gli spazi alle assicurazioni private (le quali negli Stati Unirti si sono rivelate il sistema più costoso e meno equo di assistenza sanitaria) e si è riaffacciata la tendenza a riservare allo Stato soltanto la cura dei poveri: esattamente come accadeva in Europa alla fine del XIX secolo. All’idea che la salute del mondo è indivisibile si è sostituita la convinzione, molto diffusa in Europa e negli Stati Uniti, che alcuni popoli possano godere del massimo di salute isolati dalle sofferenze degli altri. La medesima illusione si è; diffusa all’interno di ogni nazione fra i gruppi sociali sani e ricchi di fronte ai problemi e alle tragedie degli altri. La realtà ci chiama però ad un impegno globale, attraverso rischi crescenti per la salute e l’integrità individuale e collettiva, tra i quali esiste anche la recrudescenza di vecchie infezioni e la comparsa di nuove [ il Sole 24 ore inserto duemila pag III, 1.12 .1999]]
[21] McKinsey &Co. Briefing material covid 19 global health and crisis response implications for business (3.4. 2020)
[22] https://www.consilium.europa.eu/en/policies/capital-markets-union/
[23] Ha avuto luogo in formato Academy, a sostegno delle aziende di tutto il mondo nella gestione della crisi provocata dalla pandemia di Covid-19, ha raccolto i contributi di Amina J Mohammed, Un deputy secretary-general; Lise Kingo, Ceo e Executive director del Global compact e Alan Jope, Ceo di Unilever.
[24]Per Ocse la Pcsd identifica otto pilastri: Building a strong, inclusive political commitment and leadership, Defining, implementing and communicating a strategic long-term vision that supports policy coherence, Improving Policy Integration, Ensuring whole-of-government coordination, Engaging appropriately sub-national levels of government in areas where they have a role in policy coordination, Engaging stakeholders effectively to sustain broader support for Pcsd and its implementation, Analysing and assessing policy and financing impacts, Strengthening monitoring, reporting and evaluation systems to collect qualitative and quantitative evidence on the impact of policies and financing, and report progress on Pcsd.
[25] Benché i due termini non compaiano nella Risoluzione di Agenda 2030, le letture che sono state date di quel documento dal 2015 in avanti insistono sui c.d. interlinkages fra i singoli Target (ad es. Trade offs, Co benefit e Spill over effects) e danno la massima rilevanza ad entrambi i concetti ai fini della corretta interpretazione dell’attuazione dello sviluppo sostenibile.
[26] Henry M. Paulson, già Segretario al Tesoro Usa nella parte finale della Presidenza Bush funestata dalla crisi finanziaria del 2008, ha recentemente scritto: “When the G20 meets in Saudi Arabia this November, leaders should commit to market principles and complementary action to support economic growth. But that is not nearly enough. A sustainable economic future demands an effective set of global rules for trade, investment, intellectual property and technology standards. Multilateral institutions must also play a larger role helping vulnerable nations avoid human suffering and political instability. The leading economies in the G20 must also confront risk across a broader range of threats. The fact they were not ready for a very predictable pandemic should be a wake-up call. They must prepare for other obvious risks such as terrorism, cyber warfare, climate change and nuclear proliferation. Now is the time to start developing a framework for global co-ordination. The world will be a very dangerous place if we do not fix the global institutions and establish the treaties and protocols needed to prevent and mitigate future tragedies.The forces that advocate for closure will resist strengthening multilateral organizations. But that only increases the risks to our citizens. While the near-term prospects of reform seem dim, I am more optimistic that this crisis will ultimately spur co-operation among major nations to begin the hard work of building a more peaceful, sustainable future”. [ https://www.ft.com/content/da1f38dc-7fbc-11ea-b0fb-13524ae1056b \
[27] Vedi E. Giovannini L’Utopia sostenibile, Laterza 2018
[28] Fra le tante: Stoccolma (1975),Rio (1992),Vienna (93), Cairo (94), Pechino (95), Monterrey (2002), Copenaghen (2005), Rio (2012),Parigi (2015).
[29] E’ il caso della stessa Cop sul clima o l’Expo universale di Dubai per menzionare quelli a maggiore partecipazione.
[30] Il dibattito sul multilateralismo efficace fu avviato quindici anni fa prevalentemente su temi politici e di sicurezza per poi arenarsi di fronte al regresso sul piano del multilateralismo commerciale e climatico (Doha development round, Unfccc) insuccessi indubbiamente gravi che non costituiscono prova dell’inadeguatezza del metodo multilaterale in altri ambiti ove invece esso è comunque avanzato come scelta obbligata.
[31]Global sustainable development report 2019, “The future is now: science for achieving sustainable development “ [ https://sustainabledevelopment.un.org/gsdr2019 ]
Nella sezione “approfondimenti” offriamo ai lettori analisi di esperti su argomenti specifici, spunti di riflessione, testimonianze, racconti di nuove iniziative inerenti agli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Gli articoli riflettono le opinioni degli autori e non impegnano l’Alleanza. Per proporre articoli scrivere a redazioneweb@asvis.it. I testi, tra le 4mila e le 10mila battute circa più grafici e tabelle (salvo eccezioni concordate preventivamente), devono essere inediti.