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SCONFIGGERE LA POVERTA'

Porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo

Nel mondo, su otto miliardi di persone almeno un miliardo vive in povertà, e nel 2022 sono previsti 263milioni di nuovi poveri. Nel 2021 le famiglie italiane povere erano 1.960mila, mentre la povertà minorile assoluta ha colpito 1.382mila bambini.

Approfondimenti

Prospettive per una nuova teoria sociale della sostenibilità

di Luca Corchia, université de corse “Pascal Paoli”

Scegliere la prospettiva della sostenibilità per interpretare e cercare di risolvere le sfide sistemiche del nostro tempo implica una serie di processi di apprendimento che generano un salto evolutivo cognitivo e morale nella storia del genere umano. Su questo piano trasformativo vanno valutati i contributi delle scienze sociali.

4 giugno 2021

Il libro collettaneo “Perspectives for a new social theory of sustainability" (2020), curato da Mariella Nocenzi e Alessandra Sannella per l’editore Springer, ha un obiettivo ambizioso che lo rende particolarmente interessante tanto per i confronti scientifici nel campo delle scienze sociali quanto per i dibattiti politici nella sfera pubblica. Come accade sovente in opere che mirano a rifondare un paradigma di pensiero che orienti nuove metodiche di ricerca e programmi di azione, esso tiene assieme una pars destruens e una pars construens. E questa dialettica interna di superamento, tra negazioni e proposte, è presente in tutti i saggi, tanto in quelli che focalizzano gli aspetti particolari quanto in quelli che elaborano un quadro sistematici di insieme. Qual è, dunque, l’oggetto di questa sfida conoscitiva e pratica?

In sintesi, il libro intende fornire una nuova prospettiva per descrivere e spiegare gli elementi costitutivi e i meccanismi di riproduzione delle società contemporanee.  Si tratta di una elaborazione complessa che integra aspetti teorici e metodologici e richiede un passo in avanti nella collaborazione interdisciplinare delle scienze sociali. L’obiettivo è quello generare una svolta paradigmatica che definisca in modo nuovo quali fenomeni devono essere studiati, quali domande devono essere poste, come svolgere i problemi e quali regole seguire nell’interpretazione delle risposte ottenute. L’urgenza della sfida è giustificata dalla crisi sistemica che segna il nostro tempo, una crisi che diviene chiara se assumiamo un punto di vista globale sulle concezioni ideologiche e sulle politiche di attuazione dei modelli di sviluppo dei sistemi sociali.

Negli ultimi decenni, lo sfruttamento delle risorse del pianeta e la compressione spazio-temporale delle relazioni sociali sono cresciuti esponenzialmente producendo effetti strutturali sempre meno governabili sulla natura, le comunità e la vita delle persone. Questa forza trainante della globalizzazione procede lungo i binari di un modello economico puramente consumeristico che è indifferente al principio di equilibrio tra uomo l’ambiente e al principio di redistribuzione della ricchezza. Per rimarcare il fattore umano, molti scienziati definiscono “Antropocene” questa era geologica caratterizzata dalla distruzione degli ecosistemi naturali e sociali e dalla impossibilità di far fronte a una serie di conseguenze disfunzionali – ben documentate dai dati sull’inquinamento e sulle diseguaglianze – senza un apprendimento evolutivo che metta al centro aspetti imprevisti della modernizzazione.

L’inadeguatezza del modello di sviluppo richiede di ripensare alcuni principi della teoria sociale condivisi dalle differenti tradizioni di pensiero fondate da Karl Marx, Emile Durkheim e Max Weber e dalle rielaborazioni del secolo passato. Un primo merito del libro curato da Nocenzi e Sannella è quello di ribadire quanto le categorie e gli strumenti di analisi dei ricercatori di oggi dipendano dall’eredità dei loro “padri” e di quanto vi sia bisogno invece di una forte discontinuità cognitiva. Il punto archimedico di questa svolta è rappresentato dal concetto di sostenibilità, indicato come l’obiettivo dell’umanità per l’equilibrio dell’ecosistema umano (omeostasi). Se infatti la questione dello sviluppo sostenibile è divenuta centrale nelle politiche degli Stati nazionali e delle organizzazioni internazionali – come attesta da ultimo il programma “Agenda 2030”, sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’Onu, per altro verso, la sostenibilità non è stata ancora assunta come un efficace paradigma conoscitivo per l’esplorazione di nuove strutture e processi sociali, al fine di una revisione degli strumenti di analisi delle scienze sociali. In modo conseguente, il libro ha l’ambizione di farlo a partire da una prospettiva epistemologica che introduce una doppia ermeneutica sulla dialettica tra agency umana e agency non-umana, e ridefinisce l’apparato concettuale, a cominciare dalle categorie fondamentali, quali il tempo, lo spazio e la relazione sociale: “Non è più possibile definire il tempo in modo lineare o circolare come l’assunto di Nietzsche (1964) per la modernità, quando era compresso all’ora, il molto presto”. Grazie alla rivoluzione digitale, la proiezione verso il futuro e la disintegrazione del presente hanno favorito un ripensamento di questa categoria sociologica, e anche una reinterpretazione dell’altro concetto costitutivo, lo spazio. In seguito alla globalizzazione e alla coesistenza di attori umani e non umani, la compressione e l’estensione del tempo hanno influenzato la dimensione spaziale dell’agency, la posizione e il ruolo degli attori non umani, la loro forma e la dinamica delle loro relazioni. È così efficace che, tenendo conto delle dimensioni temporali e spaziali, possiamo considerare le relazioni come un altro elemento essenziale della società, probabilmente il più strategico per il profilo di un nuovo paradigma sociale da adottare in una interpretazione della società attuale (Nocenzi e Sannella, 2020:10).

Per condurre il mondo su un percorso sostenibile, abbiamo bisogno di una riprogettazione della governance ma anzitutto di un cambiamento radicale nella mentalità dei singoli e dei collettivi. Senza un vero e proprio mutamento di paradigma nella percezione dei problemi e nell’elaborazione di quadri analitici e di tecniche di rilevazione non è immaginabile la scelta della sostenibilità come criterio-guida nelle politiche di sviluppo. Il secondo merito del libro è quello di proporre un approccio integrato che assume la sostenibilità come punto di riferimento permanente, sia evitando la consueta scissione tra la teoria e la ricerca sociale, cioè tra i quadri analitici e le tecniche di rilevazione, sia colmando la distanza tra le conoscenze delle scienze sociali e la programmazione strategica delle istituzioni pubbliche e private. Tutte le discipline sono coinvolte, per superare i confini ristretti delle classificazioni accademiche e lavorare secondo degli approcci transdisciplinari innovativi. Occorre considerare, infatti, la sostenibilità nelle dimensioni economica, sociale e ambientale attraverso un modello teorico e metodologico coerente. Ed è per tale ragione che Enrico Giovannini ricorda l’importanza delle organizzazioni internazionali, come l’Organization for economic cooperation and development (Oecd), come ambito in cui elaborare un “approccio olistico” allo sviluppo sostenibile. In tale compito un ruolo preminente viene assegnato alla sociologia che per sua stessa natura è una scienza “di confine” e ha gli strumenti per dialogo tra le discipline. Come avverte Franco Ferrarotti, nel capitolo Social research: on participation and critical detachment, ciò richiede un impegno riflessivo da parte dei sociologi, i quali devono rendersi conto che lo strumento di ricerca indispensabile e insostituibile è la loro esperienza di esseri sociali, totalmente coinvolti nella realtà indagata: “Questo è certo un segno di maturità e indica che la ricerca sociologica, almeno in certi campi, è andata oltre la fase puramente accademica. Lo scienziato sociale sa di non potersi nascondere e di non potersi tenere discretamente da parte. Il processo di ricerca richiede un lavoro sul campo, a diretto contatto con la realtà umana in esame; si basa sullo scambio di informazioni; è essenzialmente un dialogo che non può avvenire senza lasciare tracce. L’idea che lo scienziato sociale non si proponga di fare nulla, ma cerchi solo di capire e di analizzare, non può più essere considerata accettabile. Le domande che l’indagine pone al suo interlocutore-soggetto non si perdono nel vuoto, ma diventano parte di una situazione di cambiamento, e sono in qualche misura determinanti per determinarne l’andamento e l’ulteriore sviluppo” (2020:100).

Per comprendere questa realtà così complessa, una mossa autoriflessiva concerne i quadri teorici fondamentali della sociologia tradizionale. I tre saggi della prima parte del libro – “Theoretical overview on social sciences and sustainability” – infatti, esamina le loro possibilità di adattamento al cambiamento della nuova realtà, considerando la riproduzione materiale e simbolica della società globale. In “Sustainability and the crisis of the theoretical functional model”, Paolo De Nardis si cimenta con l’approccio funzionalista nel tentativo di dimostrare che il paradigma della sostenibilità trova le proprie radici in quella tradizione sociologica.  Attraverso la revisione critica del modello teorico “Agil” di Talcott Parsons potremmo ridisegnare la logica di intervento nell’organizzazione dei sistemi sociali che consenta di perseguire gli SDGs e di fare appello a degli ideali comuni, garantendo così l’integrazione della struttura sociale nella transizione dell’Agenda 2030. In “Environmental sustainability and the evolution of capitalism”, Uliano Conti mette a confronto il capitalismo tradizionale e quello contemporaneo, cercando di attualizzare soprattutto la ricerca sociologica di Alan Touraine. Egli sostiene che, grazie al progresso tecnico e alla ricerca scientifica, sotto la pressione dei movimenti collettivi su scala globale, i sistemi sociali, potrebbero ridefinire l’idea di vita umana e le condizioni di esistenza degli esseri umani, mentre il sistema capitalista potrebbe co-evolvere dal punto di vista della consapevolezza ambientale. Il saggio “The thought of Zygmunt Bauman as a key for introducing a new social theory di Paolo Corvo approfondisce l’importanza dell’opera di Bauman per acquisire un immaginario sociologico critico che consenta di interpretare in maniera innovativa le trasformazioni sociali sui temi della libertà, della giustizia della sofferenza degli esseri umani. E ci aiuterebbe a comprendere quanto sia essenziale rendersi conto che la sostenibilità potrebbe trasformare tanto i sistemi sociali quanto gli stili di vita dei consumatori. La prima parte del libro propone approcci sociologici che potrebbero trovare una trasferibilità sociale dei risultati della ricerca, al fine di effettuare analisi non disgiunte dalla realtà sociale.

La seconda parte – “Methodological paths and perspectives for a new social theory of sustainable development” si propone di elaborare dei percorsi analitici per la ricerca sociale che possano promuovere la sostenibilità in tre importanti ambiti: la definizione di strumenti metodologici e statistici, la rilevazione dei fenomeni patologici nella riproduzione sociale e la programmazione di politiche pubbliche.

Nella letteratura scientifica internazionale e nei programmi delle organizzazioni mondiali, lo sviluppo sostenibile, infatti, è stato operazionalizzato a partire da tre dimensione principali: la sostenibilità ambientale, quella economica e quella sociale (per quanto la definizione del concetto di “soglia” e la relativa scelta dei criteri di misurazione per quest’ultima dimensione siano ancora molto dibattute). Nel capitolo “Sustainability and sustainable development Goals (SDGs): from moral imperatives to indicators and indexes. A methodology for validating and assessing SDGs” di Angela Delli Paoli, Felice Addeo e Emiliana Mangone, il presupposto che la sostenibilità sia un concetto multidimensionale ma non direttamente misurabile (a parte gli indicatori e gli indici), consente introdurre una metodologia più efficiente per valutare le diverse dimensioni morali della sostenibilità. Come precisano gli autori, ciò avviene attraverso tre passaggi: “In primo luogo, abbiamo voluto chiarire il quadro concettuale e normativo che sta alla base degli SDGs. In secondo luogo, volevamo suggerire una metodologia per la valutazione degli SDGs che fosse in grado di andare oltre i singoli indicatori, senza perdere le informazioni sui singoli imperativi morali e sulla loro compatibilità tra loro. In terzo luogo, abbiamo cercato di convalidare tale quadro di riferimento e, attraverso di esso, di valutare le prestazioni degli Stati membri dell'Unione europea (Ue) in relazione agli SDGs” (2020:49). Il capitolo successivo – “Toward an understanding of psychopathological syndromes related to social environments” – di Paolo Cianconi, Federica Tomasi, Manuela Morello, e Luigi Janiri fornisce un’analisi psicologica del mutamento sociale, guardando ad alcuni degli effetti e dei problemi più comuni, dal livello macro-sociale collettivo a quello micro-sociale individuale. In questo caso, il paradigma della sostenibilità offre una nuova forma di critica delle patologie sociali, fornendo utili prospettive e strumenti metodologici e mostrando come le psicopatologie reagiscano e si espandano attraverso ambiti tecnologici, politici, comunicativi ed economici. Da ultimo, il capitolo “Sustainability as a key imperative in project cycle management: sociological considerations” di Maurizio Esposito analizza i risultati dell’implementazione delle strategie di “Project cycle management” nelle politiche delle società occidentali, con particolare attenzione ai programmi di “welfare sostenibile”. In tal modo, le scienze sociali possono anche consigliare un percorso metodologico per una fase di applicazione esecutiva.

In definitiva, il libro può essere interpretato come un tentativo di rinnovare i compiti delle scienze sociali, riguardo: a) la chiarificazione dei modelli cognitivi, valoriali ed espressivi nella sfera pubblica, al fine di generare un cambiamento culturale; b) alla razionalizzazione dell’azione strumentale e strategica nella riproduzione dei sistemi sociali, laddove si mettono le conoscenze al servizio di coloro che prendono decisioni nelle organizzazioni economiche e amministrative (tecnologia sociale); c) all’elaborazione di una teoria della società in grado di ricostruire le componenti strutturali e i meccanismi di mutamento delle formazioni sociali e valutare i fenomeni patologici nei processi di riproduzione materiale e simbolica.

Il paradigma della sostenibilità restituisce in modo innovativo questi compiti alle scienze sociali, in particolare alla sociologia. E tuttavia, non da ultimo, una dimensione riflessiva riguarda la consapevolezza dei limiti di ogni forma di sapere. Per tale ragione è un bene che il libro contenga il saggio “Sustainability through unsustainability? Unintended consequences and emancipatory catastrophism” di Carmelo Lombardo e Lorenzo Sabetta. I due autori, infatti, utilizzano le analisi di Robert K. Merton sugli effetti indesiderati e imprevisti delle azioni umane nel quadro della sociologia del rischio di Ulrich Beck, per porci davanti a un avvertimento. Se è vero che la riforma “positiva” dei modi di pensare, degli stili di vita, del diritto, dell’economia, della scienza e della politica è stata anche innescata da una cosa negativa come il cambiamento climatico globale (“catastrofismo emancipatorio”), per altro verso, non è detto che il paradigma della sostenibilità non nasconda delle insidie. L’insegnamento da trarre è piuttosto quello di abituarsi alle ambivalenze.

 


Nella sezione “approfondimenti” offriamo ai lettori analisi di esperti su argomenti specifici, spunti di riflessione, testimonianze, racconti di nuove iniziative inerenti agli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Gli articoli riflettono le opinioni degli autori e non impegnano l’Alleanza. Per proporre articoli scrivere a redazioneweb@asvis.it. I testi, tra le 4mila e le 10mila battute circa più grafici e tabelle (salvo eccezioni concordate preventivamente), devono essere inediti. 

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