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La crisi del costo della vita sta ridefinendo il lavoro in Europa
Il reddito non regge l’inflazione. Lo racconta l’indagine di LiveCareer, fotografando una situazione fatta di salari inadeguati e ansia economica diffusa. Cresce il sostegno a riforme come il reddito di base universale. 31/7/25
La crisi del costo della vita sta trasformando il rapporto tra le cittadine e i cittadini europei e il lavoro. Solo il 18% dei lavoratori dichiara che il proprio salario ha tenuto il passo con l’inflazione, mentre il 34% afferma che i propri guadagni sono rimasti indietro. Tagli alle spese, ansia finanziaria, rinunce e sfiducia nel valore del merito diventano esperienze comuni per milioni di persone.
Cresce, parallelamente, il sostegno a soluzioni collettive: il 64% delle intervistate e degli intervistati è favorevole all’introduzione di un reddito di base universale, mentre quasi il 70% non crede più che l’impegno lavorativo sia garanzia di sicurezza economica. Aumentano anche le preoccupazioni verso il futuro: il 44% teme un’ondata di licenziamenti nel 2025 e il 70% è preoccupato per una possibile recessione. A dominare la scena resta l’inflazione, indicata dal 59% come principale fonte di ansia economica.
L’indagine, La crisi del costo della vita sta cambiando il volto del lavoro in Europa, condotta a fine maggio e pubblicata a inizio luglio 2025 da LiveCareer – piattaforma specializzata nello sviluppo professionale – ha coinvolto un campione rappresentativo di 1.000 lavoratori in Germania, Francia, Spagna e Italia.
L’obiettivo era quello di comprendere il clima socioeconomico vissuto dalle cittadine e dai cittadini europei, misurare l’impatto dell’inflazione e dell’insicurezza sul lavoro, e analizzare le aspettative verso il futuro. Le risposte, raccolte tramite la piattaforma Pollfish, coprono un’ampia varietà di settori, fasce d’età e livelli di reddito.

Fonte: LiveCareer, le preoccupazioni economiche delle cittadine e dei cittadini europei
Salari fermi, inflazione alta: le conseguenze sulla vita quotidiana
Le difficoltà economiche si riflettono con forza sulla vita quotidiana, costringendo molte persone a cambiare abitudini e fare rinunce. Le conseguenze sono tangibili: il 59% ha ridotto le spese superflue come viaggi e ristoranti, il 34% ha rimandato acquisti importanti e uno su quattro (26%) ha tagliato anche beni primari come quelli alimentari e le bollette. L’11% ha iniziato un secondo lavoro per arrivare a fine mese, mentre l’8% ha dovuto chiedere prestiti o contrarre nuovi debiti. Quasi il 40% di intervistate e intervistati dichiara di provare ansia legata al denaro almeno una volta a settimana.
Fonte: elaborazione Dall•e su dati LiveCareer
A risentirne sono anche scelte più strutturali: il 14% vorrebbe riqualificarsi professionalmente, ma non può permetterselo, il 5% ha cambiato abitazione per risparmiare e il 4% ha rinviato l’idea di avere figli. Le decisioni fondamentali vengono sospese, dunque, e si rafforza un senso di precarietà diffusa e cronica.
Il lavoro non è più una garanzia
Il 69% di intervistate e intervistati dubita che il duro lavoro sia ancora sufficiente per garantirsi una vita sicura. Il 53% delle lavoratrici e dei lavoratori europei potrebbe sostenersi senza stipendio solo per tre mesi. Tuttavia, il 59% non sarebbe disposto a trasferirsi per ottenere un impiego migliore. Una forma di immobilità geografica e psicologica che sottolinea quanto i legami territoriali, familiari o sociali siano spesso più forti della razionalità economica.
Parallelamente, il 34% individua nell’instabilità politica e globale una delle principali fonti di ansia, segno che il malessere economico è percepito come parte di un quadro più ampio, dove fattori esterni minacciano la stabilità individuale.
Tecnologia e diseguaglianze: il doppio binario
Anche l’innovazione tecnologica, tradizionalmente associata al progresso, diventa oggi fonte di incertezza. Il 44% teme che l’intelligenza artificiale metterà a rischio il proprio lavoro nei prossimi anni, mentre solo una minoranza (12%) ha intrapreso percorsi di aggiornamento per farvi fronte. Ancora più allarmante è il fatto che per il 5% l’impatto negativo è già realtà.
di Monica Sozzi
Copertina: Unsplash
