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Onu: peso povertà rallenta il percorso verso gli SDGs, trionfalismi fuori luogo
Negli anni sono emersi tutti i limiti degli indici tradizionali usati per misurare la povertà estrema: non tengono conto delle necessità reali delle persone e ignorano gli effetti sociali ed economici di un un fenomeno complesso. 27/7/20
“Negli ultimi due secoli sono stati compiuti enormi progressi nel migliorare la qualità della vita di miliardi di persone. Tuttavia, questo non ha conciso con l’eliminazione reale della povertà estrema”. Al contrario, ha messo in evidenza tutte le limitazioni di cui soffrono gli indici tradizionali che misurano il livello della povertà reale. Nel suo rapporto Philip Alston, già relatore speciale delle Nazioni unite sulla povertà estrema e i diritti umani (incarico che ha ricoperto tra il 2014 e il 2020), ha spiegato come l’indice della international poverty line che viene pubblicato dalla Banca Mondiale per misurare la povertà estrema non tenga conto delle necessità reali delle persone e del loro effettivo livello di deprivazione. Un problema che rischia di disorientare la politica.
Lo studio, che è stato presentato al consiglio delle Nazioni unite sui diritti umani lo scorso 7 luglio, ha contestato i toni trionfalistici di alcuni leader mondiali. Il Rapporto sostiene che il valore minimo dell’indicatore, al di sotto del quale scatta la categoria di povertà estrema, e che al momento corrisponde all’equivalente di 1,90 dollari al giorno in valuta locale, sia esageratamente basso, ben lontano dal soddisfare le esigenze fondamentali delle persone, come quella di seguire una dieta giornaliera di 2100 calorie e di vivere in uno spazio dignitoso. Secondo il Rapporto la cifra minima sarebbe di 2,63 dollari nei Paesi in via di sviluppo e 3,96 dollari in quelli ad altro reddito.
Comunque, “sono circa 700 milioni le persone che vivono sotto la soglia di 1,90 dollari al giorno, un dato che è ancora tremendo” e su cui non si è riusciti ancora ad intervenire efficacemente, ha sottolineato Alston: se da un lato la percentuale di chi viveva con meno di 1,90 dollari al giorno è scesa fino al 10% della popolazione mondiale, dall’altro però, tra il 1990 e il 2015 la popolazione che vive con meno di 5,50 dollari è rimasto pressoché stabile, pari al 46% della popolazione mondiale.
Una questione che è stata affrontata anche dalla Oxford poverty and human development initiative presso l'Università di Oxford e dal Development programme delle Nazioni unite in uno specifico rapporto che analizza lo sviluppo umano in un contesto a più dimensioni, dal titolo “Charting pathways out of multidimensional poverty: Achieving the SDG”. L’occasione è fornita dai dieci anni dalla prima definizione dell'indice globale della povertà multidimensionale (Mpi), un indicatore che sintetizza 10 indicatori relativi a tre dimensioni ugualmente ponderate: salute, istruzione e standard di vita. Lo studio ha esaminato la situazione in 107 Paesi in via di sviluppo, cercando di identificare sia i soggetti poveri che le tendenze nella povertà e mostrando “la natura e l'entità delle privazioni sovrapposte per ogni persona” in un’ottica che tenga conto degli Obiettivi di sviluppo sostenibile.
Tra tutti i Paesi presi in esame, circa il 22% della popolazione (pari a 1,3 miliardi di persone) appartiene alla categoria dei poveri multidimensionali. Un problema che incide negativamente anche su molti altri indicatori: 803 milioni di persone multidimensionalmente povere vivono in una famiglia in cui qualcuno è denutrito, circa 476 milioni hanno un bambino che non riceve un’istruzione adeguata, mentre ancora 1,2 miliardi di persone non hanno accesso a un combustibile pulito per cucinare, 687 milioni mancano di elettricità e 1,03 miliardi vivono in abitazioni fatiscenti.
Tra le fasce più compite dalla povertà multidimensionale ci sono i bambini e gli adolescenti di età inferiore ai 18 anni, statisticamente più poveri degli adulti, e gli over 60, che sono anche i più esposti al contagio della pandemia da Coronavirus.
Un altro aspetto esaminato dallo studio riguarda come la povertà multidimensionale abbia inciso anche sul raggiungimento degli SDGs fissati dall’Agenda 2030. Per esempio, esiste una correlazione negativa, moderata ma statisticamente significativa, tra la povertà multidimensionale e la copertura di tre dosi di vaccino contro la difterite, il tetano e la pertosse (DTP3). Alcuni dei Paesi più colpiti dalla povertà multidimensionale (Repubblica Centrafricana, Ciad, Guinea, Sud Sudan) vaccinano meno della metà dei loro neonati con il DTP3. In Nigeria, dove si registra una copertura delle vaccinazioni contro difterite, tetano e pertosse tra i più bassi al mondo, la percentuale della povertà multidimensionale è molto più alta che in altri Paesi simili. Ciò suggerisce che la mortalità dei bambini possa essere prevenuta e la povertà multidimensionale ridotta seguendo programmi di immunizzazione diffusi.
di William Valentini