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Pandemia e inflazione acuiscono le disparità all’interno del Paese: dal 2019 al 2021 è peggiorato l’indice di disuguaglianza del reddito disponibile e permangono elevate differenze territoriali e di genere. Anche nel resto del mondo si amplia il divario tra ricchi e poveri: il 10% di popolazione più abbiente possiede il 76% della ricchezza globale.

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Accoglienza migranti in Italia: nessuna emergenza, ma sistema da ripensare

Assenza di strategia, poca trasparenza e dati parziali: servono maggiore pianificazione, criteri chiari, una redistribuzione più equa sul territorio nazionale. Questo il quadro offerto dal rapporto ActionAid-Openpolis.   22/2/23

Nonostante l’anno appena trascorso abbia fatto registrare un aumento degli sbarchi di migranti sulle coste italiane rispetto all’anno precedente, al 31 dicembre del 2021 i richiedenti asilo e rifugiati ospitati nei centri rappresentavano appena lo 0,13% della popolazione italiana e c’erano ancora più di 20mila posti liberi per l’accoglienza. È quanto riportato dal rapporto 2022 “Centri d’Italia”, elaborato da ActionAid e Openpolis per offrire una panoramica del sistema di accoglienza dei migranti in Italia.

Dati parziali ma salienti. Quando si parla di arrivi, ci si riferisce sostanzialmente agli sbarchi via mare perché da anni è assente un monitoraggio pubblico degli ingressi via terra, come quelli attraverso la cosiddetta “rotta balcanica”. Nonostante la parzialità di questi dati, una fotografia degli arrivi nel 2022 mostra numeri molto lontani da quelli del 2014-2017, gli anni della cosiddetta “crisi europea dei migranti”. In particolare, se confrontati con il 2016, anno del picco di migranti arrivati, il 2022 presenta un calo di quasi 80mila persone.

Numero delle persone sbarcate via mare sulle coste italiane ogni anno, dal 1997 al 2022

Fonte: elaborazione ActionAid e openpolis su dati ministero dell'interno, Unhcr e Ismu

Il modello di accoglienza. Il sistema pubblico di accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati in Italia opera su due livelli: la prima accoglienza (Cpa, ovvero centri prima accoglienza/hotspot) di competenza prefettizia e la seconda accoglienza detta “Sai” (Sistema accoglienza e integrazione), la cui gestione è affidata ai comuni. Un’ulteriore tipologia, quella dei centri di accoglienza straordinaria - i cosiddetti “Cas” - afferenti al circuito prefettizio, dovrebbe servire invece a soddisfare le esigenze di elasticità del sistema, in base agli arrivi. Tuttavia il documento evidenzia come nonostante il dimezzamento degli sbarchi, nel 2021 sei centri su dieci erano ancora “straordinari”, a riprova del sistema di gestione quasi esclusivamente di carattere emergenziale del fenomeno.


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I territori interessati. Nel 2021 meno di un comune su quattro (il 23,2%) in Italia è stato interessato dall’insediamento di un centro di accoglienza (di qualsiasi tipo) contro il 42,9% del 2018. Una maggiore diffusione e capillarità dei comuni coinvolti, si sottolinea nello studio, avrebbe rappresentato un vantaggio per l’inclusione sociale dei migranti e la crescita complessiva delle comunità ospitanti. Al contrario, a un crollo dei comuni interessati dall’insediamento dei Cas non è coincisa una crescita di quelli che hanno aderito al Sai. Anzi, dal 2018 al 2021 i comuni all’interno dei quali sorgeva almeno un progetto Sai sono persino diminuiti, passando da 690 a 669. Per il 2021 Reggio Emilia è stata la provincia italiana ad avere più territori interessati da centri di accoglienza, 39 comuni sui 42 (92,9%), ma in termini assoluti è la Città metropolitana di Roma il territorio dove si riscontra maggiore capienza dei centri (3.796 posti), seguita da Torino (3.637), Milano (3.524), Bologna (2.579), Napoli (2.578) e Firenze (1.934). L’impatto dei posti sulla popolazione in questi territori è però molto relativa: a Roma addirittura solo lo 0,12%.

Numero dei comuni interessati da Cas o da almeno un progetto Sai, dal 2018 al 2021

Fonte: elaborazione ActionAid e openpolis su dati centriditalia.it

Criticità del sistema. L’attuale impianto pubblico di accoglienza (Sai), pur rappresentando un modello innovativo diffuso e integrato, conserva alcuni tratti critici che avevano caratterizzato in precedenza anche i modelli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e Siproimi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati). Il primo riguarda la presenza di un impianto ambiguo, che non permette una chiara identificazione della catena di gestione e dei relativi ruoli e responsabilità, a discapito della terzietà nel monitoraggio qualitativo a garanzia delle persone accolte. La legge 189/2002 (nota come “Bossi–Fini”) prevede infatti da parte del ministero dell’Interno l’istituzione del servizio centrale il cui ruolo è quello di assistere, coordinare e monitorare i progetti di accoglienza. La gestione del servizio centrale viene affidata, tramite convenzione, dal ministero stesso all’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) che, a sua volta, si avvale del supporto operativo della Fondazione Cittalia, un ente dunque di natura privata.


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Il secondo nodo è rappresentato dalla volontarietà dell’adesione al sistema da parte dei comuni al Sai che ha prodotto una crescita estremamente lenta, disomogenea e inadeguata, sancendo di fatto la subalternità del circuito pubblico a quello emergenziale e governativo. Inoltre non è chiaro come avvenga la scelta di ospitare un richiedente asilo all’interno di un Sai o di un Cas, quando la legge prevede comunque il riferirsi al circuito emergenziale solo in assenza di posti disponibili in quello ordinario. Manca quindi una programmazione. Senza contare la serie di ostacoli burocratici per l’accesso all’accoglienza: dai ritardi cronici fino a prassi illegittime come la paradossale richiesta di un’abitazione per poter formalizzare la richiesta di protezione internazionale.

Ripensare il sistema. La riforma Lamorgese, quella attualmente in vigore, prevede la possibilità di accedere all’accoglienza ordinaria (il Sai) anche per i richiedenti asilo, e non solo per i titolari di protezione, superando così il passaggio obbligato nei Cas per i primi. Tuttavia, lo stesso Sai è stato suddiviso in due livelli di servizi, dedicati rispettivamente ai richiedenti asilo e a chi l’asilo l’ha già ottenuto. Così facendo si preclude ai primi quel percorso maggiormente orientato all’inclusione sociale e all’orientamento nel mondo del lavoro caratteristico del sistema a titolarità pubblica. Inoltre, permane un’assenza di trasparenza nelle informazioni essenziali e situazioni di sostanziale monopolio nella gestione dei centri come ad esempio nel caso della città metropolitana di Roma. Le migliaia di posti liberi testimoniamo altresì un sistema tutt’altro che al collasso, benché l’effetto ottico dei numeri degli arrivi su una piccolissima isola, favorisca una narrazione distorta ed emergenziale del fenomeno.


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Il caso ucraino. Per le persone in fuga dall’Ucraina è stato giudicato inidoneo il sistema di accoglienza straordinario che avrebbe dovuto accoglierli e quindi proposto un aumento del Sai con posti loro dedicati. Solo il 10% delle persone però sono state ospitate nel sistema di accoglienza istituzionale, ratificando nei fatti l’introduzione di un nuovo circuito di accoglienza e sostegno dedicato, in capo alla Protezione Civile. Queste eccezioni hanno aperto la via (almeno in teoria) a innovazioni positive come la possibilità di scegliere il luogo di dimora/accoglienza. Misure che dovrebbero essere estese ai richiedenti asilo di ogni nazionalità.

 

di Elita Viola

 

 

Fonte copertina: photootohp, da 123rf.com

mercoledì 22 febbraio 2023

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