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Il decreto sull’informazione non finanziaria è legge

di Luigi Ferrata, Segretariato ASviS

Un cammino iniziato nel 2014 con l’approvazione della direttiva europea che ora, a partire dall’esercizio 2017, obbligherà le aziende interessate dalla normativa a redigere la dichiarazione informativa.
Gennaio 2017

Il Consiglio dei Ministri del 23 dicembre 2016 ha approvato definitivamente il provvedimento che recepisce nell’ordinamento italiano la direttiva 2014/95/UE sull’informazione non finanziaria.

Si tratta della conclusione di un cammino iniziato nel 2014 con l’approvazione della direttiva europea, passato attraverso la legge comunitaria 114 del 2015, per il recepimento delle direttive europee, e culminato con le varie consultazioni svolte dal Ministero dell’Economia per predisporre lo schema di decreto legislativo di recepimento. Quest’ultimo è stato poi sottoposto al Parlamento per l’espressione del prescritto parere non vincolante da parte delle Commissioni Finanze e Giustizia di Camera e Senato, prima dell’approvazione definitiva di dicembre. Pertanto a partire dall’esercizio 2017, le aziende che rientrano nell’ambito di applicazione del decreto sono obbligate a redigere la dichiarazione informativa.

L’informazione non finanziaria si inserisce a pieno titolo tra gli SGD dell’ONU - Obiettivi di Sviluppo Sostenibile per il 2030 - con riferimento al Goal 12: “Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo” ed in particolare al target 12.8: “Incoraggiare le imprese, soprattutto le aziende di grandi dimensioni e transnazionali, ad adottare pratiche sostenibili e integrare le informazioni sulla sostenibilità nelle loro relazioni periodiche”.

Come l’ASviS ha più volte sottolineato, questo decreto legislativo presenta alcuni aspetti postivi, che sarebbe ingeneroso non sottolineare. Il primo è legato al metodo: il Governo, ed in particolare il Ministero dell’Economia, hanno svolto una consultazione ampia ed esaustiva tra tutti gli stakeholder, in modo da permettere la presentazione delle varie posizioni in maniera trasparente.  Si tratta di una modalità di interazione con gli interlocutori non scontata, da parte delle Istituzioni e che secondo ASviS dovrebbe diventare un modello a cui uniformarsi.

Un secondo elemento positivo è legato, invece, al fatto che il decreto rappresenta un buon punto di partenza per disciplinare in maniera generale il tema dell’obbligatorietà dell’informazione non finanziaria, verso cui prima o poi tutte le società con modalità e gradazioni differenti dovranno tendere. Il provvedimento in oggetto ha al momento valore su un numero limitato di aziende che, spesso, già da tempo redigono un report di sostenibilità. La portata innovativa si denota nel fatto che tutti gli stakeholder, nel “valutare” un’azienda, da ora in avanti saranno interessati, oltre che alle informazioni finanziare, anche a tutte quelle che finanziarie non sono. E per essere competitiva un’azienda non potrà non tenerne conto. Attraverso il report di sostenibilità, un'azienda in grado di esprimere delle buone performance, secondo i risultati di un sondaggio condotto da EY e il Center for Corporate Citizenship del Boston College, ottiene degli indubbi vantaggi competitivi, in termini di più facile accesso al capitale perché gli investitori sono ormai più propensi ad investire in sostenibilità, di reputazione, di maggior soddisfazione delle aspettative dei lavoratori e di maggior efficienza nella gestione delle risorse.

Il decreto, venendo incontro anche agli auspici della Commissione contenuti nella direttiva, non grava eccessivamente sulle PMI, che vengono esentate dall’obbligo di rendicontazione. È evidente che obbligare le PMI a predisporre un report sarebbe stato un onere molto gravoso, ancora di più in un sistema industriale come quello italiano, la cui ossatura è basata proprio sulle PMI. La strada scelta, a nostro avviso corretta, è stata di spingere le PMI verso percorsi di produzioni sostenibili in maniera indotta, dal momento che sono le aziende obbligate alla predisposizione del documento di informativa non finanziaria a dover dare indicazioni in merito anche alle catene di fornitura e subfornitura, coinvolgendo così anche le PMI.

Un ulteriore punto di forza del decreto, è l’inserimento di un articolo riguardante la rendicontazione volontaria per i soggetti non obbligati, che possono apporre sulle dichiarazioni una dicitura di conformità. Da questo punto di vista sarà interessante verificare quanti soggetti non obbligati si impegneranno a redigere un report. Forse in questo senso sarebbe stato più opportuno prevedere alcuni incentivi per i soggetti che autonomamente decidono di avviare un percorso di rendicontazione, come ad esempio la deducibilità fiscale del costo sostenuto per effettuare la rendicontazione.

Tra gli altri meriti, questo provvedimento stabilisce anche il concetto di sanzioni se la dichiarazione non finanziaria viene presentata in ritardo, non è conforme, contiene informazioni non veritiere, o se vengono omessi i controlli da parte degli organi preposti. La Consob viene investita del potere di accertare ed irrogare le multe. È evidente come l’aspetto relativo alle sanzioni, sia molto importante, dato che in sua mancanza tutto l’impianto del provvedimento sarebbe venuto a cadere.

Le questioni più critiche, anche queste più volte sottolineate, e su cui il Senato stesso in sede di espressione del parere aveva invitato il Governo ad avere più coraggio, sono relative all’ambito di applicazione del decreto legislativo e allo standard di rendicontazione. Riferirsi solo agli enti di interesse pubblico (EIP) come disciplinati dall’articolo 16, comma 1 del decreto legislativo 27 gennaio 2010 n.39 e cioè società quotate, banche, assicurazioni, riassicurazioni con determinate caratteristiche dimensionali legate a dipendenti e fatturato, limita, a nostro avviso, fortemente la carica dirompente e rivoluzionaria del decreto. D’altra parte, forse, davvero il Governo non poteva fare di più: è stata infatti la stessa direttiva 2014/95/UE a riferirsi agli EIP come soggetti demandati all’informativa. Sarebbe stata tuttavia preferibile un’azione più decisa da parte del Governo Italiano, volta ad includere le public utilities e il settore della Grande Distribuzione Organizzata, che tanto impatto possono avere sugli stakeholder, o ancora le filiere industriali o specifici distretti produttivi. Si sarebbe potuto considerare l’utilizzo di meccanismi tarati su orizzonti temporali scaglionati, in modo da lasciare ai soggetti non vincolati la possibilità di organizzarsi per tempo.

Per quanto riguarda, invece, lo standard di rendicontazione, sia la direttiva che il decreto legislativo di recepimento, lasciano la libertà di adottare genericamente “standard di rendicontazione” emanati da autorevoli organismi sovranazionali, internazionali o nazionali. Forse sarebbe forse stato più opportuno affermare il principio di prendere il modello della Global Reporting Initiative (GRI), che al momento si dimostra essere il più autorevole, come riferimento in modo da assicurare una maggiore omogeneità nelle redazione delle informative non finanziarie.

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