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Approfondimenti

Moda, piccole e medie imprese e sostenibilità: quale futuro nel Piano nazionale di ripresa e resilienza?

di Sara Cavagnero, Francesca Magnolo e Rebecca Ravalli

Il settore della moda, pur essendo motore economico del Paese, non è nominato nel Pnrr. Si avverte il bisogno di chiarire cosa si intende per “sostenibilità” nel fashion, ecco alcune raccomandazioni.

15 aprile 2021

Sono volte al termine le audizioni tenutesi presso il Senato della Repubblica, riguardo al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

L’ASviS vi ha preso parte sia direttamente che indirettamente, grazie a due Alumne della Siena advanced school on sustainable development, la scuola organizzata proprio da ASviS e dal centro Santa Chiara lab dell’ateneo senese in collaborazione con fondazione Enel, Leonardo, la Rete delle Università per lo sviluppo sostenibile (Rus), Sustainable development solutions network Italia e Sustainable development solutions network mediterraneo.

La terza edizione della Siena advanced school on sustainable development ha visto la partecipazione di 45 discenti, rappresentanti del mondo della ricerca, della pubblica amministrazione e del settore privato. Due di loro, Sara Cavagnero e Francesca Magnolo, dottorande di ricerca presso la Northumbria University e la Gent University, hanno preso parte alle audizioni presso la Commissione Ambiente, rappresentando le istanze delle piccole e medie imprese italiane con riferimento al settore moda sostenibile per conto della Ong rén collective.

Il settore tessile-abbigliamento-moda, forza trainante del Pil del Paese e vanto del made in Italy, sorprendentemente non è mai menzionato nel Pnrr. Si tratta di piccole manifatture, designer, imprenditori, chiamati a rivestire un ruolo tanto inedito quanto cruciale nel rilancio di un sistema che non può non fondarsi su qualità, manualità, creatività e sostenibilità. Parole chiave che hanno riscosso una popolarità crescente in quest’ultimo periodo ma che sono frutto richieste di cambiamento e criticità che hanno radici profonde.

L’avv. Cavagnero e la dott.ssa Magnolo, insieme alla dott.ssa Rebecca Ravalli, anch’essa dottoranda di ricerca presso l’European university institute di Fiesole, hanno redatto una serie di raccomandazioni, che partono dal presupposto che le azioni istituzionali non possano limitarsi a iniziative emergenziali, bensì occorre mettere in atto strategie più pervasive e a medio-lungo termine, anticipando la verosimile evoluzione del contesto attuale.

Poiché la sostenibilità cesserà di essere “di moda” e diverrà la “normalità” nel fare business, occorre chiarire in modo univoco cosa si intende per “sostenibilità” nel fashion e definire strumenti premiali per dare forma a un settore moda rinnovato, realmente tarato sugli obiettivi definiti dall’Agenda 2030 e dal Green deal europeo.

Le azioni proposte da rén collective ruotano intorno a sette punti cruciali. In primis, la governance, con un sistema improntato alla valorizzazione delle Pmi e del sistema distrettuale, sfruttando il ruolo di catalizzatore delle aziende leader che si fanno portavoce e collettore di iniziative facilmente emulabili. Inoltre, la valorizzazione dell’heritage materiale e immateriale delle imprese italiane, anche alla luce del fenomeno del reshoring, ossia il ritorno ritorno delle produzioni in Italia.

Ancora, la formazione tecnico-professionale, associata alla digitalizzazione, alla luce dei dati che indicano che solo il 17% delle Pmi ha integrato con successo tecnologie digitali nelle proprie attività.

Il potenziamento dei meccanismi esistenti, quali la segnalazione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nonché l’implementazione di un meccanismo di etichettatura semplice e corretto, che tenga conto dell’impatto dell’intera catena di valore sono invece le soluzioni prospettate per combattere il diffuso fenomeno del greenwashing. Ciò consentirebbe anche di superare la logica del “Made in”, giacché l’etichetta relativa al Paese di origine non rende un prodotto più o meno sostenibile.

In ottica di economia circolare, si propone invece la mappatura delle giacenze di produzione (c.d. deadstock) e l’introduzione di agevolazioni fiscali per le riparazioni, come già avviene in paesi quali la Svezia. L’implementazione di sistemi di riciclo efficienti va a incrociare anche un altro punto, ossia quello dei milioni di articoli moda contraffatti, il cui attuale destino va dalla combustione, alla triturazione, alla frantumazione, all'interramento in discarica.

Da ultimo, si sono prospettate le opportunità della bioeconomia, con la proposta di mappare la tipologia e quantità di scarti utilizzabili, agevolare relazioni intersettoriali e creare infrastrutture accessibili per lo scaling-up dei processi, insieme a programmi di formazione per le aziende agricole e incentivi fiscali.

 

a cura di:
Sara Cavagnero, Ip lawyer | Phd researcher, Ip & sustainable fashion, Northumbria university
Francesca Magnolo, Phd researcher, Bioeconomy and agricultural economics in ghent university | Researcher in H2020-Msca-Itn Agrefine
Rebecca Ravalli, Phd Researcher european university institute

 


Nella sezione “approfondimenti” offriamo ai lettori analisi di esperti su argomenti specifici, spunti di riflessione, testimonianze, racconti di nuove iniziative inerenti agli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Gli articoli riflettono le opinioni degli autori e non impegnano l’Alleanza. Per proporre articoli scrivere a redazioneweb@asvis.it. I testi, tra le 4mila e le 10mila battute circa più grafici e tabelle (salvo eccezioni concordate preventivamente), devono essere inediti. 

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