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Riciclare la plastica alimenta l’economia circolare e tutela l’ecosistema marino

Il 30% della plastica viene gettata, il 95% del packaging finisce nell’ambiente. Per il Global Opportunity Report, che mette in mostra le buone pratiche sull’argomento, si perdono 120 miliardi di dollari l’anno. 22/10/2018

Gli oceani coprono il 70% dell’intero globo terrestre, offrono sostegno a tre miliardi di persone e svolgono un ruolo centrale per la regolazione climatica. Insieme al processo di acidificazione, esacerbato dal cambiamento climatico, sono minacciati dall’inquinamento e, in particolar modo, dai rifiuti di plastica. La plastica, infatti, rappresenta l’80% dei rifiuti che finiscono in mare e, continuando con questo trend, nel 2050 avremo più plastica che pesci.  

Un futuro che può essere scongiurato, nel pieno rispetto degli obiettivi di sviluppo sostenibile, grazie a una nuova visione basata sull’economia circolare. È quanto sostiene l’ultima edizione del Global Opportunity Report, studio condotto da Dnv-Gl, dal Global Compact delle Nazioni Unite (iniziativa lanciata nel 2000, si occupa di realizzare e divulgare le diverse pratiche incentrate su responsabilità e sostenibilità) e da Sustainia, che quest’anno ha focalizzato l’analisi sulle opportunità di business collegate agli SDGs 10, 12, 13 e 14.

Per quanto riguarda il Goal 14, che fa riferimento alla tutela dell’ecosistema marino, è stato stimato che il 30% della plastica prodotta non viene riutilizzata e che, solo parlando del packaging, il 95% del materiale si disperde nell’ambiente dopo il primo utilizzo. Cattiva gestione, capace di creare una grossa perdita per il sistema economico, quantificata tra 80 e 120 miliardi di dollari l’anno. Uno spreco per la filiera virtuosa dell’economia circolare da parte di un importante mercato che varrà, secondo lo studio, 650 miliardi di dollari entro il 2020.

Come invertire quindi la rotta e ridurre l’inquinamento da plastica? Lo studio mette in mostra diverse attività virtuose che potrebbero ridurre la pressione sui nostri oceani, generando pure valore aggiunto per l’economia.

Uno degli esempi virtuosi citati è quello portato avanti dall’azienda cilena “Algramo”, che ha deciso di vendere prodotti “a peso” dichiarando così la propria guerra all’usa e getta. L’azienda, che lavora direttamente con i produttori, promuove la diffusione di contenitori riutilizzabili e la commercializzazione di prodotti sfusi. Secondo le stime, in questo modo si possono far risparmiare fino al 50% dei costi attualmente sostenuti dal consumatore.

Interessante anche la soluzione di “Bee’s Wrap” per conservare i cibi e farli mantenere freschi. Combinando cotone biologico e la cera d’api, proveniente da alveari gestiti in modo sostenibile negli Stati Uniti, ha creato un involucro che, nel malaugurato caso dovesse finire in mare, risulta innocuo all’ambiente: è biodegradabile e può addirittura essere ingerito dalle specie marine.

La fondazione “Thread”, invece, impiega persone a raccogliere in Honduras e ad Haiti bottiglie di plastica che, una volta reinserite nel sistema produttivo, possono essere riutilizzate in diversi settori.

E infine una grossa mano arriva dall’innovazione tecnologica, perché la plastica può essere prodotta a partire da qualsiasi elemento che contenga idrogeno e carbonio. Fino a ora sono stati i combustibili fossili la materia prima maggiormente utilizzata per creare plastica, ma gli scienziati di “Econic” hanno sviluppato una tecnologia che permette di rendere la CO2 il principale elemento utilizzato (fino al 50% del totale dei materiali che compongono la plastica), recuperando così da una parte, il principale gas serra responsabile del cambiamento climatico, e facendo diminuire, dall’altra, l’uso di combustibili fossili.

 

di Ivan Manzo

martedì 23 ottobre 2018

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