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Rendicontazione non finanziaria delle imprese europee: mancano dati concreti
Esperti di finanza e società civile chiedono una revisione della Direttiva europea sull’informazione non finanziaria: le rendicontazioni di sostenibilità aziendale sono aumentate, ma risultano incomplete, non trasparenti e non comparabili. 17/3/20
Si rende necessario il processo di revisione della Direttiva 2014/95 dell’Unione europea sulle informazioni non finanziarie (Nfrd), poiché la rendicontazione annuale della sostenibilità delle aziende europee dimostra “l’incapacità di affrontare questioni concrete, obiettivi e rischi principali”, indispensabili per la pianificazione strategica del settore privato nell’Ue.
La scarsità di informazioni trasparenti, di qualità e comparabili sui rischi finanziari di sostenibilità, in particolare sui cambiamenti climatici, infatti, ostacola gli investimenti di aziende e attori finanziari.
A sostenerlo il dossier “2019 Research Report: An analysis of the sustainability reports of 1000 companies pursuant to the EU Non-Financial Reporting Directive”, redatto da The Alliance for Corporate Transparency, un’iniziativa di trasparenza aziendale lanciata nel 2018 dallo studio legale internazionale di Frank Bold, che unisce le principali organizzazioni della società civile ed esperti di finanza, per dare supporto allo sviluppo della legislazione di reporting non finanziario in Europa.
Al suo secondo anno di pubblicazione, il dossier ha analizzato le rendicontazioni non finanziarie di 1000 aziende europee provenienti dai principali settori industriali, tenute per legge dal 2018 a divulgare le informazioni in merito alla governance, ai rischi e all’impatto socio-ambientale delle loro attività.
Ciò che emerge dal dossier è che il 90% delle imprese ha redatto rapporti annuali non finanziari, registrando quindi un trend positivo, ma senza specificare i risultati e gli obiettivi concreti delle politiche attuate (divulgate soltanto dal 20% delle imprese).
Per quanto riguarda l’ambiente, che rappresenta il più grande test per stabilire se la Direttiva europea è in grado di affrontare le sfide attuali, i risultati della ricerca mostrano il marcato divario tra ciò che le aziende dicono sul cambiamento climatico e le loro pratiche di segnalazione: complessivamente, infatti, meno del 32% di tutte le aziende analizzate riferisce la strategia e soltanto il 23% affronta specifici rischi climatici. Quanto alle emissioni di gas serra, poi, soltanto i due terzi delle imprese analizzate rendicontano il proprio scope 1 (emissioni dirette), meno della metà lo scope 2 e poco più di un terzo lo scope 3 (emissioni indirette).
Per ciò che concerne i diritti umani, la massima attenzione delle aziende è rivolta alla lotta contro il lavoro dei minori e il lavoro forzato, tuttavia meno del 4% descrive una politica specifica per affrontare l’impatto sugli indigeni e sulle comunità locali e meno del 6% riferisce di azioni a sostegno di agricoltori e fornitori locali.
In conclusione, l’intento della Direttiva europea di collegare “politiche, rischi e risultati” non è soddisfatta dalle rendicontazioni analizzate, che risultano incomplete, non affidabili, non trasparenti e non comparabili. Alla luce di questi risultati, il dossier raccomanda la modifica tempestiva della Direttiva, per migliorare la pertinenza, la coerenza e la comparabilità dei dati di sostenibilità aziendale, in modo da favorire gli investimenti nella finanza sostenibile, come richiesto dall’Unione Europea.
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di Viola Brancatella