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Lo spreco alimentare è una questione etica, sociale, economica e ambientale

Un’analisi di Openpolis basata sull’indagine del progetto Reduce dell'Università di Bologna, in collaborazione con il Mattm, approfondisce i dati dello spreco alimentare nelle famiglie, nelle mense scolastiche e nella grande distribuzione. 4/02/21

Il 5 febbraio ricorre la Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare. “Stop food waste. One health, one planet” è il tema dell’edizione 2021, che inaugura il nuovo decennio nel percorso di realizzazione dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile fissati nell’Agenda Onu 2030. Il target 12, nello specifico, promuove l’attuazione di un modello di consumo e di produzione sostenibile.

Il macro comparto alimentare è responsabile del 30% circa del consumo di energia globale e del 22% delle emissioni di gas serra (fonte: Fao). Diffondere modelli nutrizionali e di consumo sostenibili è dunque auspicabile non solo per la salute, un’alimentazione più equilibrata, ma anche per l’ambiente.

Ogni anno un terzo di cibo del mondo viene buttato. La Fao stima che, lungo la catena di produzione degli alimenti, dal raccolto sino alla vendita, venga perso il 14% del cibo prodotto. L’Ue ha stimato che in Europa vengano buttati via 88 milioni di tonnellate di cibo ogni anno, circa il 20% di tutto il cibo prodotto. In Italia, l'80% dello spreco è generato dai consumatori, il 20% da scarti del processo di produzione e trasporto. I dati Coldiretti attestano nel 2020 uno spreco alimentare pro capite di 36 kg, con picco nel periodo estivo.

Lo spreco alimentare è una questione etica, sociale, economica ed ambientale. Secondo la Wrap (The Waste and Resources Action Programme) ogni tonnellata di cibo sprecato è responsabile di 4,5 tonnellate di CO2.

Appurata l’importanza di poter quantificare lo spreco di cibo, il 17 ottobre 2019 è entrato in vigore il metodo armonizzato per misurare i rifiuti alimentari nell'Ue, introdotto per favorire l’applicazione della nuova direttiva europea 2018/851 sui rifiuti, che stabilisce l’obbligo di un metodo comune tra gli Stati membri per misurare i progressi compiuti nella riduzione degli sprechi alimentari. Avviata la raccolta dati a partire dal 2020, entro la metà del 2022 ci sarà un primo data base europeo.

Nel frattempo i dati nazionali e internazionali arrivano da indagini campionarie o da stime, come l'indagine condotta nell'ambito del progetto Reduce dell'Università di Bologna, finanziato dal Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare e sintetizzata da Openpolis in una dettagliata analisi pubblicata in gennaio. L'indagine ha monitorato lo spreco alimentare in tre diversi contesti: famiglie, mense scolastiche e grande distribuzione.

 

Il primo assunto è che la quantità di cibo buttato è la somma di uno spreco che si accumula lungo tutte le fasi della filiera alimentare: produzione primaria; trasformazione e fabbricazione; vendita al dettaglio e altre forme di distribuzione degli alimenti; ristoranti e servizi di ristorazione; famiglie.

Partendo proprio dalle famiglie, l’indagine rileva un’importante incidenza della dimensione del nucleo familiare sullo spreco pro-capite, con differenze significative tra single e famiglie di tre o più componenti (non rilevante la differenza con le famiglie di due componenti). Chi vive da solo, generalmente spreca di più. Lo spreco alimentare è più accentuato nel Centro e Sud Italia, rispetto al Nord.

I prodotti maggiormente sprecati sono le verdure (25%), seguiti da latte e latticini (17,6%) e frutta (15,6%). Circa la metà del cibo buttato è rappresentato da prodotti che non sono stati consumati in tempo, ammuffiti o scaduti.

Dai dati raccolti nelle mense scolastiche, emerge che quasi il 30% del cibo preparato non viene consumato. Di questo, l’8% può esser recuperato (porzioni intatte di pane e frutta) e lo spreco reale si attesta infine attorno al 22% del somministrato. Verdura e legumi rappresentano qui il cibo più soggetto allo spreco, seguiti da prodotti amidacei di base, pesce e derivati, uova e derivati e latte e derivati. Sovrastima del cibo da somministrare agli studenti e rifiuto di alcuni di loro a consumare determinati alimenti, sono le cause principali dello spreco.

Inserire nel programma didattico un corso di educazione alimentare, lotta allo spreco e sostenibilità dei sistemi agroalimentari, potrebbe costituire un ottimo stimolo per gli studenti a porre maggiore attenzione al sistema cibo.

Il terzo macrocontesto analizzato dall’indagine è la grande distribuzione alimentare, dove spesso ad essere buttati sono alimenti ancora adatti al consumo. Le principali cause dello spreco riguardano qui la presenza di rimanenze di magazzino e prodotti in scadenza, dovute alla difficoltà nel prevedere i flussi di vendita; danneggiamenti al packaging, rimanenze di promozioni, prodotti rovinati nel trasporto, nello stoccaggio o nella refrigerazione. Solo raramente il cibo non è più adatto al consumo umano. In linea con quanto abbiamo già visto in precedenza l’ortofrutta è il reparto che produce le maggiori perdite (34%), seguito dal settore dei liquidi (17%). Il reparto dei surgelati (1%) e quello della panetteria (0%), invece, sono quelli con le quote più basse di spreco.

Consulta l’indagine

di Monica Sozzi

giovedì 4 febbraio 2021

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