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Aumentano gli omicidi di attivisti per i diritti umani, giornalisti o sindacalisti: tra gennaio e ottobre 2018, in 41 Paesi ne sono stati uccisi 397. Peggiora sensibilmente la situazione italiana, dovuta soprattutto a un aumento del sovraffollamento delle carceri (114 detenuti per 100 posti disponibili nel 2017). A livello regionale, la maggior parte delle variazioni negative si registrano nel Nord e nel Centro Italia, mentre nel Sud questa tendenza è invertita.

Notizie

Investire nell’istruzione dei bambini rifugiati: un’opportunità da cogliere

A causa della mancanza di finanziamenti specifici, più della metà dei bambini rifugiati in età scolare non va a scuola. Solo il 24% di essi si iscrive alla scuola secondaria e il 3% a percorsi di istruzione superiore. 2/10/2019

3,7 milioni di bambini rifugiati in età scolare, su un totale di 7,1 milioni, non vanno a scuola. È il dato più eclatante che emerge dal Rapporto “Stepping Up: Refugee Education in Crisis” pubblicato dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, l’Unhcr.

“Dobbiamo investire nell’istruzione dei rifugiati o pagheremo il prezzo di una generazione di bambini incapaci di trovare lavoro, vivere in modo indipendente e contribuire alla vita di comunità” dichiara Filippo Grandi, alto Commissario della Nazioni Unite per i rifugiati. “Stiamo mancando l’opportunità di sviluppare le competenze e le conoscenze di cui hanno bisogno i rifugiati per investire nel loro futuro. Stiamo perdendo uno dei migliori investimenti che ci siano. Questa non è una spesa, ma un'opportunità d'oro” conclude.

Per molti l’istruzione è il cibo con cui nutrire la mente, scoprire le proprie passioni, imparare a prendersi cura di se stessi. Per i rifugiati è la strada più sicura per recuperare dignità, guadagnare il lavoro e l’autosufficienza economica. Infatti, lo sfollamento espone i bambini a numerosi pericoli legati alla difficoltà di raggiungere luoghi sicuri, accedere a servizi vitali di base, acquisire nuovi documenti d’identità. Spesso, continua il Rapporto, nei Paesi ospitanti non ci sono nemmeno scuole da frequentare o, se ci sono, sono sovraffollate, mancano gli insegnanti, il materiale didattico e i servizi idrici di base. 

Investire nell’istruzione dei bambini rifugiati, afferma il Rapporto, è molto più semplice rispetto a spendere migliaia di miliardi in conflitti o sfollamenti in massa. Nel 2018 il 63% dei bambini rifugiati sono stati iscritti alla scuola primaria, in leggera crescita rispetto all’anno precedente (+2%). I progressi registrati sono il risultato degli sforzi compiuti dagli Stati ospitanti, dai donatori, dall’Unhcr e dalle organizzazioni partner.

Uganda, Ciad, Kenya, Etiopia, Pakistan, Iran, Turchia e Messico sono i Paesi dove si registrano progressi importanti, Paesi che sono stati in grado di semplificare l’accesso dei rifugiati alle scuole attraverso orari scolastici flessibili, investendo nella formazione degli insegnanti, fornendo materiale educativo ai rifugiati e alle loro famiglie e migliorando la conoscenza linguistica.

In Ruanda, grazie ad una serie di politiche progressiste e finanziamenti mirati, 23mila studenti hanno avuto la possibilità di frequentare la scuola primaria. La Turchia, che ospita circa un milione di bambini in età scolare, per preparare i piccoli studenti alla scuola turca ha implementato un programma specifico per imparare la lingua, ha investito nel trasporto degli studenti e nella formazione specifica degli insegnanti. L'Ecuador ha approvato una legislazione che rende le iscrizioni molto più accessibili a bambini e giovani rifugiati venezuelani, anche nel caso in cui non dispongono della documentazione richiesta.


Preoccupa la situazione dell’istruzione secondaria. Nel 2018 le iscrizioni dei bambini rifugiati alla scuola secondaria sono aumentate di un solo punto percentuale, arrivando al 24%, rispetto all’84% a livello globale. Una parte del problema è la totale mancanza di scuole in molte aree di accoglienza. L’ostacolo più grande, dichiara il Rapporto, è rappresentato dai costi dell’istruzione secondaria, ben più alti rispetto alla primaria. L’istruzione secondaria richiede strutture e materiali migliori e insegnanti più qualificati. Spesso insegnanti e strutture scadenti possono essere demotivanti, contribuendo a tassi elevati di abbandono scolastico.


Inoltre, evidenzia il Rapporto, man mano che gli adolescenti crescono, ricevono sempre più pressioni affinché sostengano le loro famiglie. I contributi domestici ed economici sono considerati più importanti rispetto all’istruzione; una condizione ancora più marcata per le ragazze, su cui ricadano compiti come la raccolta di acqua e legna, prendersi cura dei fratelli più piccoli o dei parenti più anziani, svolgere le faccende domestiche. Eppure, per le ragazze la scelta dell’istruzione può essere un vantaggio enorme: riduce lo sfruttamento, la violenza sessuale, il matrimonio infantile e la gravidanza adolescenziale. Secondo l’Unesco, se tutte le ragazze completassero la scuola elementare, il matrimonio infantile diminuirebbe del 14%. Se finissero la scuola secondaria, precipiterebbe del 64%.


L’istruzione secondaria ha bisogno delle giuste risorse economiche, continua il Rapporto. Finanziamenti affidabili e pluriennali in grado di coprire i costi educativi dei rifugiati e delle popolazioni locali. Sono necessari finanziamenti in favore delle famiglie dei rifugiati che coprano il costo delle tasse, delle divise, del materiale didattico e dei trasporti; tutti fattori deterrenti per l’accesso all’istruzione.


Nonostante l’istruzione secondaria sia praticamente ferma, nel 2018 c’è stato un incremento di rifugiati che frequentano l’istruzione superiore, passando dall’1% al 3%. Un risultato che fa ben sperare per il futuro ma, sottolinea il Report, lontano dall’obiettivo dell’Unhcr di vedere il 15% dei rifugiati ammessi a percorsi di istruzione post diploma entro il 2030.

Le maggiori difficoltà di accesso ai percorsi di istruzione superiore sono legate ai costi elevati, all’apprendimento della lingua dei Paesi ospitanti e al riconoscimento dei titoli d’istruzione secondaria dei Paesi di provenienza. Inoltre, nel 2018, circa il 50% dei Paesi che ospitano rifugiati non ha permesso loro di lavorare, creando una situazione di stallo in cui i rifugiati sono incapaci di esprimere al massimo il proprio potenziale e mettere a frutto le proprie competenze. Per superare il problema, il Pakistan sta sperimentando il progetto pilota Dafi +, che ha permesso a decine di rifugiati di partecipare a stage in azienda dopo il percorso di studi.


Per favorire l’aumento degli iscritti ai percorsi di istruzione superiore, i Paesi ospitanti dovrebbero garantire ai rifugiati le stesse condizioni riservate agli studenti locali. Inoltre, sottolinea il Rapporto, i rifugiati hanno bisogno di ulteriore sostegno per fronteggiare i costi dell'istruzione. Le università e le altre istituzioni che offrono borse di studio e servizi dedicati a studenti provenienti da contesti emarginati dovrebbero estenderli anche ai rifugiati.


L’educazione dei bambini rifugiati, conclude il Rapporto, è una questione urgente. Alla fine del 2018, c’erano quasi 26 milioni di rifugiati in tutto il mondo, circa la metà aveva meno di 18 anni con poche speranze di tornare a casa nel prossimo futuro. L’Unhcr chiede che i rifugiati vengano inclusi nei sistemi di istruzione nazionali e che seguano un programma di studi formalmente riconosciuto fin dalla scuola materna, che sia in grado di fornire le qualifiche necessarie per essere il trampolino di lancio per l’università o per il mondo del lavoro.

 

di Tommaso Tautonico

 

 

mercoledì 2 ottobre 2019

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