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Sicurezza alimentare, conflitti e migrazione: aiutare l’Africa per aiutare l’Europa
Presentato alla Farnesina, in collaborazione con l’ASviS, il nuovo Rapporto Wfp. Porre fine a fame e conflitti in Africa per risolvere i problemi in Europa. Giovannini: “non possiamo dire ‘ci penserò domani’”.
Il Rapporto del World Food Programme “At the root of exodus: food security, conflict and international migration” è stato presentato l’11 ottobre al ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci). Il documento esamina il legame tra sicurezza alimentare, conflitti e migrazioni internazionali, confermando che l’insicurezza alimentare rappresenta molto spesso il fattore decisivo che induce gli individui a lasciare le proprie case e i propri affetti.
L’evento, organizzato dal World Food Programme Italia (Wfp Italia) in collaborazione con l’ASviS, il Maeci e l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), si è aperto con il saluto del Ministro degli affari esteri Angelino Alfano, che ha ricordato che il fenomeno delle migrazioni cui assistiamo nel Mediterraneo rappresenta soltanto “la punta dell’iceberg di un esodo che rischia di essere di proporzioni bibliche”. Le migrazioni, ha aggiunto, coinvolgono 244 milioni di persone in base ai dati Onu del 2015, mentre la cifra di rifugiati, sfollati e richiedenti asilo ha raggiunto un picco di 65,3 milioni di persone. Secondo il ministro, sono due le parole chiave su cui la comunità internazionale deve confrontarsi e sulle cui basi deve agire: solidarietà e responsabilità. E queste parole descrivono anche l’approccio italiano: “Noi abbiamo dimostrato che non vi è alcun contrasto, non vi è alcuna guerra, tra rigore e umanità, tra regole e solidarietà, tra sicurezza e diritti umani”. Alfano ha poi ricordato che è necessario rafforzare la cooperazione internazionale: “Riconoscendo che l’Europa e l’Africa sono su un sentiero comune di sviluppo, capiremo che risolvendo i problemi in Africa risolveremo i problemi europei. Perché tanti dei nostri problemi sono il sintomo di qualcosa che nasce altrove”. In questo contesto, l’impegno italiano è sulla giusta strada: “Negli ultimi anni i governi italiani hanno rafforzato l’aiuto pubblico allo sviluppo, passando dallo 0,14% del reddito nazionale lordo del 2012 allo 0,27% nel 2016. Siamo quindi passati dai 2,1 miliardi del 2012 a 4,5 miliardi nel 2016. Sono cifre ancora lontane dall’impegno internazionale dello 0,7%, ma siamo determinati a rimanere su questa rotta positiva”.
A seguire è intervenuto David Beasley, direttore esecutivo del World Food Programme, spiegando che nel mondo ci sono attualmente 19 Paesi in stato di crisi protratta: “possiamo sederci e rigirarci i pollici secondo l’approccio tradizionale, oppure fare un passo indietro e cercare capire quali sono le cause alla radice del problema dei conflitti e della migrazione. E credo che l’Italia abbia un enorme ruolo da giocare, quello di essere la voce della realtà”. La fame, ha aggiunto Beasley, porta violenza, e la violenza induce alla migrazione. Il Direttore ha anche ricordato che, per la prima volta in dieci anni, la fame nel mondo ha ripreso ad aumentare: “se non andiamo alla radice del problema pagheremo conseguenze molto più grandi. Nutrire un siriano nel proprio Paese costa intorno ai 50 centesimi. Nutrirlo in Germania costa 50 euro”.
Il portavoce dell’ASviS, Enrico Giovannini, ha esordito ricordando alla platea il titolo di una canzone della fine degli anni ’70, che risulta molto rappresentativo dell’atteggiamento mondiale verso le grandi crisi: “Ci penserò domani”. Ha poi aggiunto: “Quello che mi sconvolge da economista che 40 anni fa decise di occuparsi di questi temi è che il nostro atteggiamento ci spinge a dire ‘ci penserò domani’, ma il domani è arrivato, e in modo drammatico”. Giovannini ha poi spiegato come tutte le sfide del presente siano interconnesse: “Oggi in Italia si discute della bassa crescita, dell’alto tasso di disoccupazione, delle disuguaglianze crescenti anche nei Paesi sviluppati, del cambiamento climatico che sappiamo colpirà l’Italia anche più gravemente di altri Paesi. Ma quello che non abbiamo ancora capito è che tutte le cose di cui parliamo sono tra loro collegate”. Per questo bisogna adottare un’ottica sistemica e comprendere che un investimento in Africa è un investimento per l’Italia.
Il portavoce ha poi parlato dell’Europa, ricordando come nonostante l’Ue abbia scelto gli SDGs come quadro per le sue attività verso i Paesi terzi, non ha ancora adottato lo stesso approccio per le sue politiche interne. Inoltre, “il piano Juncker 2.0 ha deciso di dedicare il 40% dei 500 miliardi di euro immaginati per questa seconda fase allo sviluppo sostenibile. Come se il 60% potesse andare allo sviluppo insostenibile. Capite che abbiamo un enorme problema concettuale, a comprendere che solo con la coerenza degli interventi riusciremo a fare il salto di qualità necessario”. Giovannini ha infine ricordato le proposte avanzate nel Rapporto ASviS 2017 in merito alla cooperazione internazionale, come quella di investire sul ruolo delle donne, di convertire l’agricoltura a modelli sostenibili, e di indicare governance, diritti, equità e uguaglianza come priorità rispetto a qualsiasi programma.
L’incontro è proseguito con una tavola rotonda moderata dal giornalista Rai Riccardo Chartroux. Il primo a intervenire è stato Arif Husain, Capo economista del Wfp e autore del Rapporto, che ha illustrato le principali conclusioni dello studio, tra cui il fatto che un aumento dell’1% dell’indice di insicurezza alimentare si traduce in un amento del 2% nelle migrazioni transfrontaliere. Inoltre, l’insicurezza alimentare è al contempo causa ed effetto della migrazione: “un giovane che abbandona il proprio luogo di origine esaspera il problema dell’insicurezza alimentare, sia per se stesso, in quanto soffrirà la fame lungo il tragitto, sia per le persone che lascia a casa, perché migrando toglie forza lavoro all’agricoltura”. Dato interessante, poi, quello sul ruolo della tecnologia e dei social media nell’influenzare le decisioni dei migranti: “Oggi i migranti non girano con i soldi in tasca, usano la tecnologia mobile. Le persone sanno bene qual è la rotta migliore da scegliere, gli ostacoli che incontreranno, i criteri di accoglienza e trattamento nei vari Paesi, perché usano internet”. È per questo, ha sottolineato Husain, che in Europa bisogna uniformare i criteri con cui si gestisce il flusso di migranti, “altrimenti vedremo le persone concentrarsi più da una parte che dall’altra perché con internet sanno in quali Paesi saranno trattati meglio”.
Khalida Bouzar, Direttore Medio Oriente, Africa settentrionale, Europa del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad), ha posto l’accento sull’importanza della gestione e della conservazione delle risorse idriche e il valore dell’empowerment delle comunità locali e dello sviluppo rurale sostenibile come forze stabilizzatrici. Ha sottolineato che gli interventi di breve e lungo termine nei Paesi più fragili devono andare mano nella mano, citando anche le parole del portavoce dell’ASviS: “Non va bene dire ‘ci penserò domani’”. Julius Jackson, Tecnico responsabile per le crisi prolungate, dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), ha ricordato come spesso ci si concentri sulle persone che migrano e non su quelli che restano indietro: “dobbiamo rivolgerci anche alle popolazioni che i migranti si lasciano alle spalle. Non hanno il capitale economico e sociale per spostarsi, e i piccoli proprietari terrieri non vogliono lasciare le proprie terre”.
Federico Soda, Direttore dell’ufficio di Roma dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha affermato che rispetto alla migrazione internazionale quello dell’”invasione” è un mito: “Sono 180mila persone che entrano in Europa dall’Africa. Si tratta di una cifra insignificante nel contesto africano”. Stephane Jaquemet, Rappresentante regionale per il Sud Europa dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), ha spiegato come, nonostante non vi siano dati specifici a riguardo, spesso si osservi che la stessa volatilità dei fondi del Wfp incide sulle migrazioni: “quando si annuncia ai rifugiati che perderanno il 30-40% della loro razione di cibo, vi assicuro che non si dorme la notte, perché immaginate cosa vuol dire per un rifugiato essere privato del cibo. Il cibo è vita, è cultura. La volatilità dei fondi del Wfp crea incertezza, e dall’incertezza nasce il bisogno di spostarsi”.
L’evento è stato portato a conclusione da Vincenzo Sanasi d’Arpe, Presidente del Wfp Italia, che ha dichiarato: “Il Wfp Italia ha il ruolo di divulgare e valorizzare in Italia il lavoro che il Wfp fa nel mondo portando cibo, assistenza e sviluppo in più di 80 Paesi nel mondo. Per questo abbiamo fortemente voluto questa presentazione che, attraverso i dati esposti nel Rapporto, sottolinea l’importanza e la necessità di supportare ogni giorno il lavoro del World Food Programme”.
Leggi anche:
Il programma dell’evento
Il comunicato stampa
Il Rapporto “At the root of exodus: food security, conflict and international migration”
Le slide di Giovannini
di Lucilla Persichetti