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Nel 2021, la quota di energia primaria da fonti rinnovabili a livello mondiale è arrivata al 13,5%, mentre la quota di produzione mondiale di energia elettrica rinnovabile al 25%. In Italia, al 2020, la media nazionale delle fonti rinnovabili sui consumi lordi finali ha raggiunto il 19%. La produzione elettrica rinnovabile registrata nel 2021 si è attestata al 36% (ma dovrà superare l'80% entro il 2030).

Approfondimenti

Dossier sul nucleare: la posizione italiana, quella europea, le basi scientifiche

di Toni Federico, Comitato scientifico della Fondazione per lo sviluppo sostenibile

Storia e prospettive dell’energia nucleare da fissione e da fusione. In Italia ancora non si è individuato il sito dove costruire il Deposito nazionale delle scorie radioattive.

2 gennaio 2024

*Riportiamo di seguito il testo preparato da Toni Federico che è stato utilizzato come base per una riflessione interna organizzata dall'Alleanza sul tema dell'energia nucleare.

 

Dopo il referendum del 2017 il Paese ha di fatto liquidato tutta la struttura industriale e di ricerca nucleare e con essa una generazione intera di ricercatori, tecnici e ingegneri che per qualche anno avevano portato l’Italia all’avanguardia nel mondo e alla costruzione delle centrali nucleari civili più potenti.

Oggi non esistono più le specializzazioni nucleari nelle Università e negli istituti tecnici e quindi non ci sono figure tecniche disponibili sul mercato per riprendere un qualche tipo di ripresa di un settore industriale nazionale nucleare. Nei tempi della transizione i reattori nucleari, piccoli o grandi, dovremo necessariamente comprarli da altri paesi europei e li dovremo far gestire ad ingegneri di importazione. Una centrale nucleare civile non è infatti una lavatrice e gestirla comporta responsabilità di livello altissimo. La mia esperienza e la mia età mi consentono di testimoniarvi che, pur in un momento in cui la tecnologia nucleare in Italia era al massimo storico, l’Enel preferì affidare la direzione della nuova centrale nucleare bollente di Caorso a un giovane della General Electric californiana.

 

La presa di posizione italiana sul nucleare e la transizione energetica

Il Sole 24 ore riferisce che a Cernobbio, in chiusura del Forum Ambrosetti, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin ha annunciato la convocazione di istituzioni e imprese per la prima riunione della “Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile”.

Si tratterebbe della scelta di rendere palese quello che deve essere un impegno dello Stato sulla ricerca, la sperimentazione e l’implementazione della conoscenza che abbiamo già nel settore del nucleare - spiega - e coinvolge molti attori pubblici che hanno mantenuto questa conoscenza a partire da Enea e dalle nostre grandi imprese. Siamo impegnati, dice il Ministro, sulla fusione nella sperimentazione con diversi accordi a livello internazionale e poniamo il massimo della attenzione alla fissione di quarta generazione, che significa anche la valutazione degli small reactor che nell’arco di dieci anni potranno essere una opportunità per il Paese. Ma sarà - dice Pichetto - il prossimo governo ad occuparsi di questo.

Un passaggio di consegne che non trova concorde Matteo Salvini. Il ministro delle Infrastrutture incalza sul tema correggendo il collega. L’impegno è che questo esecutivo, dice, sia un esecutivo di legislatura che arrivi alla fine di questi cinque anni e se ben abbiamo lavorato, conto che ci saranno altri cinque anni successivi. La prima produzione di nucleare, quindi, potrà essere inaugurata da questo governo, L’Italia deve, entro quest’anno, riavviare la propria partecipazione alla ricerca.

La piattaforma per un nucleare sostenibile costituisce il soggetto di raccordo e coordinamento tra tutti i diversi attori nazionali che a vario titolo si occupano di energia nucleare, sicurezza e radioprotezione, rifiuti radioattivi, sotto tutti i profili. In particolare, si punta allo sviluppo di tecnologie a basso impatto ambientale e a elevati standard di sicurezza e sostenibilità. Inoltre l’attività della piattaforma, coordinata dal ministero con il supporto di Rse (Ricerca sul sistema energetico), la società controllata dal Mef che si occupa della ricerca sull’intera filiera elettroenergetica, e di Enea, sarà finalizzata anche a rafforzare il contributo dell’Italia nella ricerca e nell’alta formazione universitaria con corsi di laurea, laurea magistrale e dottorati di ricerca. Prevista anche la cooperazione e la partecipazione a livello europeo e il coordinamento dei progetti e delle attività a livello nazionale tra Università ed enti di ricerca.

 

I reattori “Smr”, piccoli e modulari

Il governo italiano sembra intenzionato a proporre una caratterizzazione fortemente identitaria sul tea a costo di una serie preoccupante di improvvisazioni. Si comincia dal problema di rimontare la volontà degli italiani espressa in due referendum, l’ultimo in pieno governo di centrodestra. Supponendo che oggi gli italiani siano in maggioranza favorevoli, si andrebbe ad un rilancio del nucleare civile mobilitando una inesistente classe di tecnici, ricercatori ed esperti che il paese avrebbe ancora, laddove ciò vale solo per la fisica e l’ingegneria dei progetti internazionali per la fusione e i plasmi, non per la fissione. Si confida, non si capisce con quale grado di ingenuità e di disinformazione, sugli Smr, piccoli reattori di quarta generazione. Ma al mondo non ne esiste alcuno, e sul mercato potrebbero essere così portati solo i reattori di terza generazione da Francia, Uk e Usa (con cui si alimentano da tempo i sottomarini militari nucleari).

Dal dopoguerra in poi i reattori piccoli sono stati sviluppati e provati in gran numero per le applicazioni più diverse, militari, spaziali, marine e per l’irrisolta questione del trattamento delle scorie nucleari, quantomeno al fine di degradare i radionuclidi di più lunga durata. Si faccia attenzione a non confondere gli Smr con la quarta generazione. Quest’ultima è una specifica di innovazione e di sicurezza, non una particolare macchina, pur se ancora imprecisa nella definizione. Ha tre obiettivi principali: sicurezza nucleare, riduzione dei rifiuti radioattivi e miglioramento della gestione dei rifiuti in loco e fuori sito. Si prevede inoltre che la quarta generazione disponga di un design industriale avanzato per  aumentare l’efficienza del ciclo del combustibile.

Tutte le previsioni concordano sul fatto uno degli Smr, una volta ingegnerizzato, costerebbe non meno di due miliardi di euro per circa 300 MW, e darebbe energia elettrica con un Lcoe (Levelized cost of electricity) intorno ai 140 € per MWh, oggi più del doppio del costo livellato delle fonti rinnovabili. Oggi 300 MW si fanno con pochi pannelli e poche pale eoliche. Queste fonti sono ancora su un percorso in forte apprendimento. Quale apprendimento si potrebbe determinare sul mercato invece per il nucleare, la cui tecnologia è addirittura vecchia e il cui combustibile aumenta costantemente di prezzo? Il governo italiano ha comunicato in questi giorni di aver promosso e sottoscritto un memorandum of understanding per lo sviluppo di un progetto belga di Smr di quarta generazione con tecnologia fast e raffreddamento a piombo/bismuto, un eutettico metallico che fonde oltre i 300 °C e bolle poco oltre i 1600°C. Hanno firmato il memorandum Ansaldo Nucleare, Enea, Raten, Sck Cen e Westinghouse.

Agli Stati generali della Green economy di questo novembre autorevoli imprenditori dell’energia hanno rimarcato che un Smr, per fare quei prezzi dell’elettricità, dovrebbe lavorare per otto mila ore all’anno, anche perché il nucleare non si accende o spegne a piacimento né in tempi brevi. Che succederebbe, dicono, alle aste delle ore di punta del solare, quando l’energia rinnovabile costa niente? Bisognerebbe dispacciare per legge il nucleare che costa sempre uguale? Se così dovesse essere, dicono quegli industriali, nessuno più investirebbe sulle fonti rinnovabili: che fine farebbe la transizione?

 

Il nucleare nella tassonomia europea green

Alla tassonomia originaria 2020/852, cioè la classificazione delle attività su cui è possibile investire per non creare danno significativo all’ambiente, si aggiunge nel marzo 2022 l’energia nucleare come fonte sostenibile sotto la pressione del governo francese. Di conseguenza, molti investitori che scelgono di investire in un pacchetto green potrebbero avere i loro risparmi investiti in queste tecnologie anche a loro insaputa. L’ASviS ha pubblicato una analisi approfondita sull’argomento nel 2022.

Il Parlamento europeo non ha posto veto all’atto delegato sulla tassonomia europea che include il nucleare tra le tecnologie sostenibili. Il voto è avvenuto, nella sessione plenaria del Parlamento europeo riunitosi il 6 luglio 2022 a Strasburgo, con 278 favorevoli e 328 contrari. Sarebbero serviti 353 voti per raggiungere la maggioranza assoluta necessaria per rigettare il provvedimento della Commissione europea.

Poco dopo l’adozione della tassonomia Ue, nel luglio 2022, Electricité de France ha annunciato l’intenzione di sostenere il finanziamento dei suoi reattori nucleari, vecchi e in cattivo stato, emettendo obbligazioni verdi coerenti con la tassonomia.

Nella primavera del 2023 una serie di associazioni ha presentato ricorso presso la Corte di Giustizia europea contro la decisione della Commissione europea di includere l’energia nucleare nel regolamento sulla tassonomia, dopo che lo scorso 8 febbraio, la Commissione aveva respinto la richiesta di annullamento. I ricorrenti ufficiali della causa sono gli uffici europei di Greenpeace in Germania, Francia, Spagna, Italia, Belgio, Lussemburgo, Europa centrale e orientale e l’Unità europea di Greenpeace. Separatamente, ClientEarth, l’Ufficio per le politiche europee del Wwf, Bund (Amici della Terra Germania) e Transport and Environment stanno sfidando la Commissione europea per l’inclusione del nucleare e del gas nella tassonomia. Anche il governo austriaco ha chiesto alla Corte di annullare questa operazione di greenwashing della Commissione.

Per il nucleare sono previste tre attività:

  1. Ricerca, sviluppo e realizzazione di impianti innovativi per la generazione di energia elettrica da processi nucleari. Le emissioni di gas serra nel ciclo di vita devono essere inferiori a 100 g CO2eq/kWh.
  2. Costruzione ed esercizio di nuovi impianti nucleari, per i quali le autorità competenti degli Stati membri abbiano concesso il permesso di costruzione entro il Le emissioni dirette di gas serra devono essere inferiori a 270 g CO2e/kWh.
  3. Modifica di impianti nucleari esistenti finalizzata al prolungamento, autorizzato entro il 2040 dalle autorità competenti degli Stati membri, della durata di servizio in esercizio sicuro. Le emissioni dirette di gas serra devono essere inferiori a 270 g CO2eq /kWh.

Con le seguenti ulteriori limitazioni: le emissioni devono essere verificate da una terza parte indipendente; si devono rispettare i criteri di adeguatezza, sicurezza, efficacia; gli scarichi radioattivi nell'aria, nei corpi idrici e nel suolo devono essere conformi alle direttive Euratom; il combustibile esaurito e i rifiuti radioattivi devono essere gestiti in modo responsabile e sicuro conformemente alle direttive Euratom. La Direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio del 19 luglio 2011 stabilisce che ciascuno Stato membro ha la responsabilità ultima riguardo alla gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi generati nel suo territorio, e che a tale scopo dovrà quindi provvedere ad individuare una soluzione per la loro sistemazione definitiva.

L'energia nucleare da fissione è ovviamente conforme alla soglia dei 100 g di CO2eq/kWh, imposta per le fonti accreditabili dalla tassonomia, ma evidentemente non soddisfa il criterio del do no significant harm (Dnsh), che stabilisce che nessun investimento green può essere fatto su attività che soddisfano uno o più obiettivi ma ne danneggiano altri. A marzo 2020 un documento ufficiale del Teg stabilisce che l’inclusione del nucleare nella tassonomia non è consigliabile in primis perché il trattamento delle scorie dell’energia nucleare non soddisfa il principio Dnsh. In risposta, la Commissione europea ha chiesto al suo Centro comune di ricerca, il Jrc di Ispra, che ricordiamo essere stato in origine il principale centro europeo comune di sviluppo dell’energia da fissione nucleare da cui sono nati i centri di ricerca italiani, Cnrn, Cnen (oggi Enea), di valutare l'assenza di danni ambientali significativi causati dall'energia nucleare. Nel marzo 2021 il Jrc pubblica una relazione in cui sostiene incredibilmente che l’energia nucleare non fa danni alla salute umana o dell’ambiente più di qualsiasi altra tecnologia energetica inclusa nella tassonomia.

Concede però che gli incidenti gravi, pur se eventi con probabilità estremamente bassa, hanno conseguenze potenzialmente gravi e non possono essere esclusi con certezza al 100%. Jrc riceve finanziamenti dall’Euratom, fondata nel 1958 per sviluppare un mercato comune europeo per l’energia atomica. Si tratta di 532 milioni di euro tra 2021 e 2025. Sappiamo che non è un modo giusto di mettere in dubbio la correttezza dei ricercatori del Jrc, ma non è opportuno affidare incarichi a soggetti in conflitto di interessi. Lo Sheer (Comitato scientifico sulla salute, ambiente e rischi emergenti) ha valutato il lavoro svolto dal Jrc, evidenziando diverse carenze: ci sono alcuni risultati in cui il rapporto è incompleto e richiede di essere rafforzato con ulteriori prove o con considerazioni approfondite su molti punti. Tra essi la insufficiente valutazione dei rischi a lungo termine delle scorie radioattive, la violazione dell’economia circolare e il rischio di incidenti gravi. Il Gruppo di esperti sulle protezioni dalle radiazioni e gestione rifiuti ex art. 31 del trattato Euratom valuta positivamente, ça va sans dire, il documento del Jrc, ma con l’opposizione della loro esperta Claudia Engelhardt che denuncia la violazione dei principi “chi inquina paga”, di non imporre un carico iniquo sulle future generazioni, sui costi, sulla proliferazione e sicurezza nucleare, sul rischio incidenti gravi potenzialmente causati da fattori umani, eventi naturali, ma anche da attentati terroristici. L’Engelhardt dichiara che l'energia nucleare chiaramente non soddisfa il criterio Dnsh e non è sostenibile. Evidenzia, infine, come i tempi lunghi di stoccaggio geologico dei rifiuti radioattivi vadano collegati ai futuri cambiamenti del clima, ai futuri sviluppi della società, ai comportamenti sociali nonché alla possibile perdita a lungo termine delle informazioni e delle conoscenze tecnologiche e sitologiche indispensabili.

 

Il deposito italiano delle scorie nucleari

Dopo quasi quarant’anni dal referendum del 1987 che ha posto fine all’energia nucleare in Italia non siamo riusciti né a decommissionare i reattori spenti né a realizzare alcun tipo di deposito per le scorie radioattive. Le scorie ad alta attività che non sono in giro per l’Europa per il ritrattamento giacciono nelle piscine dei reattori che le hanno generate. Le scorie a bassa attività di origine prevalentemente sanitaria giacciono dove capita, per esempio all’Enea sulla via Braccianese a pochi metri dalla borgata di Osteria Nuova.

A che punto è la realizzazione del deposito nazionale in cui mettere e gestire in sicurezza i rifiuti radioattivi? L'Italia da decenni deve trovare un sito idoneo per la discarica nazionale dei rifiuti radioattivi, e deve realizzarla. Ma finora non è stato fatto nulla. Ogni volta che si pensa a un sito possibile, la popolazione e le amministrazioni locali insorgono. Nel 2003, quando il governo Berlusconi individuò il sito a Scanzano Jonico, in Basilicata, l'intera regione si sollevò, e il progetto fu abbandonato. All’inizio del 2021 la Sogin ha pubblicato la carta dei siti idonei, la Cnapi, che indica ben 67 collocazioni possibili. Ma il sito definitivo non è stato ancora scelto.

A tre lustri dalla improvvida esperienza di Scanzano il Governo ha avviato un nuovo percorso per giungere all’individuazione dell’area idonea per il deposito. In seguito ad una prima fase di consultazione e partecipazione dei territori interessati, tenuta dalla Sogin, il 15 marzo del 2022 il ministero competente ha ricevuto la Cnai (Carta delle aree idonee), sulla quale è stata avanzata dall’Ispettorato della sicurezza nucleare (Isin) la richiesta di integrazioni e approfondimenti sui criteri di esclusione adottati dalla Sogin rispetto alle aree potenzialmente idonee. Viene inoltre comunicato dal Governo, in risposta ad un’interrogazione parlamentare, che la procedura autorizzativa del deposito contempla altresì il compimento di una Valutazione ambientale strategica (Vas); una valutazione la cui mancanza è alla base della vigente procedura d’infrazione comminata dalla Ue.

Dai dati Ansa il progetto ufficiale occupa complessivamente 150 ettari: 110 per il deposito vero e proprio e 40 per un Parco tecnologico dedicato alla ricerca e alla formazione sul nucleare (e l’Enea?). Il deposito sarà costituito da 90 costruzioni in calcestruzzo armato, le "celle", con una base di 27 metri per 15,5 e un'altezza di 10 metri. All'interno saranno conservati grandi contenitori in calcestruzzo speciale, i "moduli", parallelepipedi con una base di 3 metri per 2 e 1,7 metri di altezza. Questi conterranno a loro volta i bidoni metallici dei rifiuti radioattivi stabilizzati. Nelle celle verranno sistemati circa 78.000 metri cubi di rifiuti a molto bassa o bassa attività. Una volta riempite, le celle saranno ricoperte da una collina artificiale di materiali inerti e impermeabili. L'impianto riceverà rifiuti per 40 anni. Dopo, li custodirà fino al decadimento.

Secondo la Sogin, le barriere ingegneristiche del Deposito nazionale e le caratteristiche del sito dove sarà realizzato garantiranno l'isolamento dei rifiuti radioattivi dall'ambiente per oltre 300 anni, fino al loro decadimento a livelli tali da risultare trascurabili per la salute dell'uomo e l'ambiente. Nei 300 anni necessari a far decadere la radioattività, la struttura sarà monitorata per assicurare la massima efficienza delle barriere. Resterà inoltre operativa una rete di monitoraggio ambientale e radiologico nei dintorni del sito. In un'apposita area del deposito, sarà realizzato un complesso di edifici per lo stoccaggio di lungo periodo di circa 17 mila metri cubi di rifiuti a media e alta attività. Sono le scorie più pericolose, quelle che rimangono radioattive per migliaia di anni. Queste resteranno temporaneamente al Deposito, per poi essere sistemate definitivamente in un deposito geologico sotterraneo, ahimè ancora da individuare.

L'impianto costerà 900 milioni di euro, finanziati con le bollette elettriche che finanzieranno altresì la gestione dei rifiuti dalle centrali atomiche. Per gli altri rifiuti (ad esempio quelli medicali) ci sarà una tariffa di conferimento, a carico di chi li produce. Sogin calcola che la mancata costruzione della struttura nazionale costi al paese da 1 a 4 milioni all'anno per ciascun sito dove si trova un deposito. Si genererebbero quattro mila posti di lavoro l'anno per quattro anni di cantiere, diretti (due mila fra interni ed esterni), indiretti (mille e duecento) e indotti (mille). Durante la fase di esercizio, invece, l'occupazione diretta è stimata in circa 700 addetti, fra interni ed esterni, con un indotto che può incrementare l'occupazione fino a circa mille posti di lavoro. Il territorio che ospiterà il Deposito nazionale riceverà un contributo economico. Agli Stati generali della Green economy di Rimini, all’inizio di novembre, su richiesta esplicita della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile, il Ministro del Mase Pichetto Fratin ha dichiarato che avrebbe allocato il deposito entro Natale 2023, realizzandolo entro la vigente legislatura.

 


Nella sezione “approfondimenti” offriamo ai lettori analisi di esperti su argomenti specifici, spunti di riflessione, testimonianze, racconti di nuove iniziative inerenti agli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Gli articoli riflettono le opinioni degli autori e non impegnano l’Alleanza. Per proporre articoli scrivere a redazioneweb@asvis.it. I testi, tra le 4mila e le 10mila battute circa più grafici e tabelle (salvo eccezioni concordate preventivamente), devono essere inediti.

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