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Nel 2022 il tasso di disoccupazione nell'Unione europea era del 6%, mentre in Italia era del 7,9%. Gli effetti della crisi pandemica sono stati gravi e perdurano, specie tra i giovani, le donne e al Sud. L'Italia continua a detenere il primato negativo di giovani disoccupati che non studiano né si formano (Neet).

Approfondimenti

La stabilità economica quale bene pubblico globale e il principio dello sviluppo sostenibile

Di Giulio Peroni, Professore associato di diritto internazionale Università degli studi di Milano

L’Agenda 2030 gioca un ruolo decisivo nel ripensare i meccanismi e le politiche di stabilizzazione economica. È uno strumento per raggiungere a livello giuridico internazionale un equo compromesso tra interessi e bisogni.
18 settembre 2020

La stabilità economica quale bene pubblico globale
L’anno 2020 sarà ricordato come l’anno della pandemia da Coronavirus o Covid-19, evento epocale per gli effetti negativi che sta producendo: prima di tutto, in termini di vite umane che ci hanno tragicamente lasciato e in secondo luogo, per il devastante impatto avuto sulle economie e sui tessuti sociali di gran parte dei paesi del Pianeta.
La crisi economica venutasi a determinare, si inserisce in vero in un quadro economico e politico internazionale ancora fortemente scosso dagli effetti derivanti dalla crisi del 2008, un evento che ha determinato una vera e propria ondata di instabilità a livello globale a carattere inizialmente finanziario (v. default Lehman brothers) per poi evolversi rapidamente in instabilità fiscale da cui è dipesa la nota crisi dei debiti sovrani (in specie di alcuni paesi dell’Ue) provocando, a sua volta, una profonda instabilità politica e sociale.
E’ divenuta così centrale (come analizzato nel volume Stabilità economica e sostenibilità nel diritto internazionale edito da Giuffrè Lefebvre, 2020), nell’agenda politica tanto dei singoli governi nazionali, quanto delle organizzazioni sovranazionali la definizione di nuovi meccanismi idonei afornire la stabilità economica che, giova ricordare, lo United nations development programme nel 1999 con il proprio Human development report ha inserito entro la categoria dei beni pubblici globali. In quel documento, è stato evidenziato come i beni in questione siano una tipologia particolare di beni pubblici di cui condividono le due caratteristiche fondamentali: la non escludibilità e la non rivalità, differenziandosi da quelli prettamente domestici in forza di tre criteri: geografico (l’efficacia del bene si estende su più di un gruppo di Paesi), socio – economico (il bene interessa tanto i paesi “ricchi” quanto quelli “poveri”) e generazionale, poiché relativi all’intera umanità.
Con il deflagrare della crisi del 2008, si è preso definitivamente atto (Lefebvre, 2020) come  le turbolenze dei mercati finanziari, così come avviene nel caso delle epidemie, non solo non conoscono confini ma, soprattutto, richiedono, più che mai per essere risolte e possibilmente evitate, il ricorso a strategie di tipo cooperativo che inducano i vari soggetti interessati alla fruizione di quel bene a coordinarsi per la sua produzione e fornitura, in quanto la stabilità economica nelle sue diverse forme (finanziaria, fiscale e monetaria) risulta essenziale per assicurare ordinati rapporti economici e commerciali tra Stati oltre che coesione economica e sociale entro i singoli ordinamenti ed economie nazionali. Un bene - obiettivo strategico per realizzare la pace e la sicurezza tra le nazioni come la stessa carta Onu ci ricorda.

I soggetti e gli attori impegnati nella fornitura della stabilità economica
Entro il quadro così brevemente delineato, il diritto internazionale dell’economia contempla un variegato gruppo di soggetti e attori, che, a diverso titolo, riconoscono sia a livello genetico (con riguardo al rispettivo statuto) sia funzionale (in merito alle misure effettivamente messe in campo) centralità alla produzione e fornitura della stabilità economica. Si tratta (Lefebvre, 2020) di una pluralità di centri decisionali di diversa origine e natura giuridica; alcuni a vocazione essenzialmente di direzione politica, altri, invece, fortemente caratterizzati da un alto livello tecnocratico. Una realtà,  dunque, assai articolata entro cui  ciascun singolo ente coinvolto gode di un forte grado di autonomia; ne deriva l’assenza di qualsiasi forma di relazione gerarchica tra i soggetti e gli attori coinvolti, con inevitabile impatto sul buon funzionamento della governance economica globale. Come governare, pertanto, una realtà così decentralizzata e complessa? Due essenzialmente sono i metodi utilizzati: da un lato, si ricorre a una strategia di carattere istituzionale funzionale a distribuire compiti differenti in capo ai vari soggetti e attori operanti entro l’ampio ambito di applicazione del diritto internazionale dell’economia; dall’altro, si fa uso di una strategia cooperativa, con cui gli enti coinvolti cercano di armonizzare tra loro i rispettivi approcci regolatori rispetto alla materia in esame.
Nel quadro così brevemente descritto, centrale è ancora oggi il ruolo svolto dagli Stati tramite le rispettive Banche centrali, seguiti dalle Organizzazioni internazionali economiche, entro cui spicca il Fondo monetario internazionale, a cui si affiancano la Banca mondiale, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e l’organizzazione mondiale del commercio che, seppure sotto angolature differenti, vedono nella stabilità economica la condizione essenziale per favorire lo sviluppo e la crescita economica e sociale dei paesi, all’interno della cosiddetta economia globalizzata. A detti soggetti giuridici, si affiancano ulteriori realtà (sia pubbliche sia private come i vertici economici, le reti di regolatori, i fondi sovrani, le agenzie di rating, le imprese multinazionali) che, pur non avendo personalità giuridica internazionale, hanno ampiamente dimostrato nei fatti di influenzare sia le scelte di politica economica dei singoli governi, sia l’adozione delle misure prese a livello sovranazionale.

I meccanismi di stabilizzazione economica
Lo sforzo cooperativo, che ha in parte ispirato l’azione dei soggetti e attori prima descritti, ha portato all’elaborazione di vari meccanismi per la fornitura della stabilità economica. Per la precisione, si va dal rafforzamento dei poteri di vigilanza delle istituzioni finanziarie e monetarie, all’irrobustimento dei requisiti di capitale delle banche, alla regolamentazione dei benefits del management bancario, alla revisione dei meccanismi di accountability e transparency delle varie istituzioni sovranazionali. Tuttavia, risulta ancora centrale il ricorso al meccanismo della condizionalità economica con cui, a fronte degli aiuti economici concessi, si prevede in capo agli stati destinatari, l’obbligo di raggiungere determinati obiettivi macro economici (condizionalità macroeconomica) o l’implementazione di specifiche politiche pubbliche volte a realizzare riforme strutturali (condizionalità strutturale). Uno strumento, quello  de quo, che solleva dubbi sia con riguardo alla sua reale efficacia di risolvere le situazioni di crisi, sia intorno alla sua legittimità. Infatti, in più occasioni, si è posto, soprattutto con riguardo ai paesi maggiormente colpiti dalla crisi, il seguente problema: fino a che punto la condizionalità può spingersi nell’imporre determinate scelte economiche in capo a uno Stato e alla rispettiva comunità nazionale, in assenza di un qualsiasi vaglio democratico da parte del rispettivo Parlamento e società civile, in situazioni, peraltro, di quasi costante emergenza?

Il ruolo del Principio dello sviluppo sostenibile e l’Agenda ONU 2030
Un ruolo decisivo nel ripensare i meccanismi e le politiche di stabilizzazione economica sia dal punto di vista finanziario, sia fiscale è svolto dall’Agenda 2030 delle Nazioni unite che, come è noto, consiste in un programma d’azione per le persone e il pianeta, sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’Onu, in cui vengono declinati i 17 Obiettivi per lo sviluppo sostenibile entro un grande programma d’azione composto da ben 169 ‘Target’. Gli Obiettivi  indicati rappresentano obiettivi comuni (in quanto riguardano tutti i paesi e tutti gli individui cosicché nessuno ne sia escluso, né sia  lasciato indietro lungo il cammino necessario per guidare il mondo sulla via della sostenibilità) su un insieme di questioni importanti per lo sviluppo tra cui una posizione di rilevo è riconosciuta anche alla stabilità economica in quanto strumentale per la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico. Più precisamente, la sua fornitura è assai rilevante soprattutto con riguardo alla riduzione delle disuguaglianze esistenti, sia tra Stati, sia all’interno di ciascuno di essi. Per fare questo, è essenziale nell’ottica dell’agenda 2030 assicurare la stabilità tanto dal punto di vista  finanziario quanto fiscale, soprattutto con riguardo alla sostenibilità del debito sovrano, affinché si possano liberare le risorse necessarie per ridurre se non eliminare le disuguaglianze di ogni tipo.
A detto scopo, si invitano gli Stati ad adottare misure legislative e azioni al fine di assicurare l’eguaglianza di opportunità e ridurre le disparità di reddito, eliminando norme e prassi discriminatorie. Pertanto, per l’Agenda 2030, puntare sulla crescita del prodotto interno lordo (pil) rimane strategico tanto per le economie più sviluppate quanto per quelle meno. Tuttavia, ciò non può essere considerato sufficiente, se le risorse prodotte non vengono investite e distribuite in modo tale da realizzare nuove forme di tutela sociale ispirate a principi condivisi di giustizia distributiva, così da realizzare un modello sociale che possa essere percepito e accettato come equo e legittimo nei suoi fondamenti dalle diverse collettività nazionali. Solo in questo modo, ci pare, si possa  sconfiggere quella che Baumann ha definito come retrotopia vista come il desiderio di tornare indietro per bloccare il flusso del cambiamento”.
La dimensione del Principio dello sviluppo sostenibile, per come risulta declinato dall’Agenda 2030, al di là delle critiche che si possono muovere alle risoluzioni Onu da cui tale tipo di documenti traggono usualmente origine (tradizionalmente espressione della ricerca di un bilanciamento tra interessi politico economici contrapposti) riesce a esprimere non solo una visione nuova in termini di condotta e metodologia d’azione, ma soprattutto ci pare (Lefebvre, 2020) sia in grado di rappresentare lo strumento con cui raggiungere a livello giuridico internazionale (e non solo) un equo compromesso tra interessi e bisogni tra loro, almeno in questi ultimi tempi, in costante e pericoloso conflitto come: il rispetto delle esigenze di bilancio e la difesa dei diritti economici e sociali della persona promuovendo, al contempo, gli interessi delle future generazioni.

 


Nella sezione “approfondimenti” offriamo ai lettori analisi di esperti su argomenti specifici, spunti di riflessione, testimonianze, racconti di nuove iniziative inerenti agli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Gli articoli riflettono le opinioni degli autori e non impegnano l’Alleanza. Per proporre articoli scrivere a redazioneweb@asvis.it. I testi, tra le 4mila e le 10mila battute circa più grafici e tabelle (salvo eccezioni concordate preventivamente), devono essere inediti. 

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