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RIDURRE LE DISUGUAGLIANZE

Ridurre l'ineguaglianza all'interno di e fra le Nazioni

Pandemia e inflazione acuiscono le disparità all’interno del Paese: dal 2019 al 2021 è peggiorato l’indice di disuguaglianza del reddito disponibile e permangono elevate differenze territoriali e di genere. Anche nel resto del mondo si amplia il divario tra ricchi e poveri: il 10% di popolazione più abbiente possiede il 76% della ricchezza globale.

Notizie

Il cambiamento climatico è una crisi dei diritti umani senza precedenti

Amnesty international descrive come la crisi climatica si stia sempre più trasformando in una violazione dei diritti su scala planetaria. In 25 anni l’1% più ricco ha emesso il doppio della CO2 di 3,1 miliardi di persone.  14/7/21

“Una crisi dei diritti umani di proporzioni senza precedenti”. È l’estrema sintesi del rapporto di Amnesty international che mette in guardia sulle relazioni esistenti, e sempre più stringenti, tra cambiamento climatico e godimento dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali delle generazioni presenti e future.

Stop burning our rights! What governments and corporations must do to protect humanity from the climate crisis: report”, questo il titolo dello studio reso noto il 7 giugno, che mostra in termini pratici cosa accade a un Paese o una comunità quando vengono colpite dalla crisi climatica, che genera “una serie di effetti a catena che possono seriamente compromettere il diritto a vivere una vita dignitosa”. Una minaccia per la libertà di ogni individuo e per la sopravvivenza culturale di interi popoli.

Cosa sta accadendo nel mondo: qualche esempio. Già adesso, con un aumento medio della temperatura globale che si attesta intorno a 1.1°C (rispetto al periodo pre-industriale), sono chiaramente visibili i danni generati dal clima che cambia. Basti pensare alle ondate di calore e agli incendi (compresi quelli degli ultimi giorni), alle tempeste tropicali e agli eventi siccitosi, che perversano in tutto il mondo. Se a questi aggiungiamo poi una serie di altri fenomeni associati all’aumento della temperatura, come l’innalzamento del livello degli oceani e la fusione delle calotte polari, ecco che abbiamo un quadro ben definito, che mostra come presente e futuro di milioni di persone siano intrecciati al fattore climatico. Per esempio, circa 6.300 persone sono morte a seguito del tifone “Haiyan” che ha investito le Filippine nel 2013, e quasi 4 milioni sono state colpite (tra persone che hanno perso la vita e sfollati) dai cicloni del 2019 in Mozambico, Malawi e Zimbabwe, perdendo così l'accesso alle scuole, agli ospedali e ai servizi igienico-sanitari. In media, sono quasi 21 milioni gli individui che ogni anno sono stati costretti a spostarsi per via di eventi meteorologici, durante il decennio 2008-2018.


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Cosa accadrà nel mondo: qualche previsione. Di questo passo, con le emissioni climalteranti che non accennano a calare, la situazione non potrà che peggiorare. L'Organizzazione mondiale della sanità prevede che tra il 2030 e il 2050 la crisi climatica causerà 250mila morti in più all’anno; mentre il Programma alimentare mondiale sottolinea come entro il 2050 ci potrebbe essere un aggravamento della condizione di fame e malnutrizione nell’ordine del 20% rispetto ai livelli attuali. Inoltre, con un aumento medio di 2°C della temperatura del Pianeta, potrebbero essere più di un miliardo di persone a soffrire di una grave carenza di risorse idriche.

Mantenere l’aumento medio della temperatura al di sotto del limite di 1.5°C potrebbe dare una grossa mano a mitigare questi impatti, “ma sono necessarie misure urgenti e di ampio respiro: la finestra dell’azione si sta chiudendo rapidamente”.

Un nuovo tipo di colonizzazione: quella atmosferica. Lo studio ricorda come la crisi climatica colpisca in modo più duro i Paesi in via di sviluppo, sia in virtù di una loro maggior esposizione ai disastri legati al clima, e sia per fattori politici e socioeconomici, comprese le conseguenze durature del colonialismo. Anzi, nel rapporto si parla di una nuova “colonizzazione atmosferica”: tra il 1751 e il 2014 solo Stati Uniti, Regno Unito e Germania hanno prodotto una quantità di emissioni di gas serra superiore di almeno sei volte la media globale; mentre Russia, Canada e Australia ne producevano circa quattro-cinque volte la media del periodo.


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Oxfam, invece, ha stimato che tra il 1990 e il 2015 il 10% più ricco della popolazione (circa 630 milioni di persone che guadagnano più di 35mila dollari l’anno) è stato responsabile di oltre la metà (il 52%) delle emissioni di carbonio, mentre il 50% più povero (circa 3,1 miliardi di persone) è stato responsabile di appena il 7%. Una percentuale ancor più marcata se si restringe la porzione di popolazione osservata: l’1% di quella più ricca (63 milioni di persone che guadagnano più di 100mila dollari l’anno) ha prodotto il 15% delle emissioni globali. In sostanza: in 25 anni circa 63 milioni di persone hanno emesso in atmosfera il doppio della CO2 rilasciata da 3,1 miliardi di persone.

Il rispetto dei diritti umani alla base della lotta al cambiamento climatico. “In base al diritto internazionale sui diritti umani”, ricorda Amnesty international, “gli Stati hanno degli obblighi sulla crisi climatica”, e quando questi non adottano misure sufficienti per prevenire gli impatti del riscaldamento globale “violano i loro obblighi ai sensi della legge sui diritti umani”. Per l’organizzazione, i Paesi devono dunque riconoscere al più presto che l’emergenza climatica è una chiara crisi dei diritti umani, anche per spingere una fetta sempre maggiore della popolazione alla mobilitazione. Come ampiamente dimostrato dalle varie agenzie dell’Onu, infatti, le organizzazioni della società civile e dei popoli indigeni sono essenziali per rafforzare l'azione climatica.

Nel rispetto dei diritti dei più emarginati e di coloro che vivono in povertà, bisogna poi garantire nelle politiche climatiche il principio del consenso libero, preventivo e informato delle popolazioni indigene, l'uguaglianza, e la non discriminazione dei diritti dei lavoratori. Un approccio che deve fare da guida per il passaggio a un'economia a zero emissioni di carbonio, in modo da centrare l’Obiettivo 1.5°C (previsto dall’Accordo di Parigi).

Attualmente i gruppi più colpiti dalla crisi climatica sono le donne, i popoli indigeni, le persone con disabilità, i migranti e i rifugiati. Fasce della popolazione che, però, non devono essere viste solo come “vittime” ma come agenti chiave del cambiamento e “leader a livello locale, nazionale e internazionale”.

 

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di Ivan Manzo

mercoledì 14 luglio 2021

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