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RIDURRE LE DISUGUAGLIANZE

Ridurre l'ineguaglianza all'interno di e fra le Nazioni

Pandemia e inflazione acuiscono le disparità all’interno del Paese: dal 2019 al 2021 è peggiorato l’indice di disuguaglianza del reddito disponibile e permangono elevate differenze territoriali e di genere. Anche nel resto del mondo si amplia il divario tra ricchi e poveri: il 10% di popolazione più abbiente possiede il 76% della ricchezza globale.

Notizie

Migranti e politiche migratorie: dati, accordi e prospettive a livello globale  

Dal 2018 a oggi, notevoli progressi nella governance delle migrazioni, ma resta molto da fare per gestire i 270 milioni di migranti, cifra tre volte superiore alle proiezioni del 1970. Le raccomandazioni di Guterres. 18/12/20

Il 18 dicembre si festeggia la giornata internazionale per i diritti dei migranti. A due anni dalla sottoscrizione del Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration (o Global compact for migration) - l’accordo sulle politiche migratorie firmato nel 2018 da 152 Paesi (ma non dall’Italia) per definire obiettivi condivisi sulla base sia dei diritti dei migranti sia del principio della sovranità degli Stati sui loro territori-, il Segretario generale delle Nazioni unite António Guterres ha presentato il 1° dicembre 2020 il primo rapporto biennale che misura l’implementazione dell’accordo da parte degli Stati Membri. Il Rapporto del Segretario generale offre un focus sull’impatto che il Covid-19 ha avuto sulle politiche migratorie a livello globale e avanza una serie di raccomandazioni, anche in vista dell’International migration review forum che si terrà nel 2022:

  • rafforzare la relizzazione del Global compact per migliorare la governance e la cooperazione a tutti i livelli, attraverso lo sviluppo di piani nazionali di implementazione che siano allineati anche con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, e per estendere le considerazioni di politica migratoria anche ad altri ambiti correlati;

  • mettere in campo azioni di risposta al Covid-19 che siano in linea con i principi del Global compact e delinearle in base ai principi illustrati dal Segretario generale a giugno 2020 nel policy-brief su “Covid-19 e persone in movimento[1], incluso attraverso la cooperazione bilaterale e regionale;

  • partecipare attivamente alle attività di monitoraggio e revisione dei meccanismi del Global Compact;

  • rafforzare la narrazione della migrazione basata su evidenze, raddoppiando gli sforzi per combattere le discriminazioni contro i migranti e favorire l’inclusione sociale e la coesione tra le comunità ospitanti e i migranti;
  • considerare di estendere e aumentare i contributi finanziari per l’implementazione del Global compact.

Secondo le stime dell’Undesa, il numero di migranti internazionali a livello globale è aumentato notevolmente nel corso degli ultimi 50 anni fino a toccare nel 2019 i 272 milioni, 119 in più rispetto al 1990 (quando erano 153 milioni). Sebbene in termini assoluti questa cifra rappresenti solo una percentuale relativamente piccola della popolazione mondiale (che è passata dal 2,8% nel 1995 al 3,5% del 2019), cionondimeno supera di oltre tre volte le proiezioni fatte nel 1970.

Questi sono solo alcuni dei dati riportati nell’annuale World migration report, pubblicato a inizio 2020 dall’Organizzazione internazionale per la migrazione (Iom), per offrire una panoramica statistica sullo stato dei migranti e delle politiche migratorie sia a livello globale che regionale.

Secondo quanto emerge dal documento, nel 2019 il 52% dei migranti internazionali è rappresentato da uomini, mentre il 48% sono donne. Inoltre circa il 74% sono persone  in età lavorativa, ovvero di età compresa tra i 20 e i 64 anni.

L’India  continua a essere il primo Paese di origine per numero di migranti internazionali con 17,5 milioni, seguita da Messico e Cina con, rispettivamente, 11,8 e 10,7 milioni, mentre sono gli Stati uniti a detenere il primato per essere la destinazione privilegiata, arrivando ad accogliere oltre 50 milioni di migranti internazionali. Tra i Paesi europei è invece la Germania ad occupare il primo posto nella classifica della destinazione, mentre in Asia è l’Arabia Saudita a primeggiare.

La maggioranza dei migranti internazionali si muove quindi verso Paesi ad alto reddito, ma tra il 2013 e il 2017 questo trend ha subito una leggera flessione a favore dei Paesi a reddito medio-alto che hanno invece visto quasi raddoppiare il numero di migranti internazionali passando da 17,5 a 30,5 milioni. Questo fenomeno è apparentemente legato sia ad una crescita economica nei Paesi a reddito medio-alto che ad una modifica delle politiche migratorie del lavoro nei Paesi ad alto reddito.

Rispetto alle rimesse internazionali, che nel 2018 hanno toccato quota 689 miliardi di dollari, i primi tre Paesi riceventi sono l’India, la Cina e il Messico in linea con il loro posizionamento nella classifica dei Paesi di origine per numero di migranti internazionali. Allo stesso modo, i primi tre Paesi da cui le rimesse vengono inviate sono gli Stati uniti, gli Emirati arabi uniti e l’Arabia Saudita, rispettivamente con 68 miliardi di dollari, 44,4 miliardi e 36,1 miliardi. La Germania è invece quinta.

Per quanto riguarda il numero di rifugiati riconosciuti ufficialmente a livello mondiale, nel 2018 sono stati circa 26 milioni, il 52% dei quali minorenni, anche se aggiungendo gli sfollati interni, i richiedenti asilo e gli apolidi la cifra raggiunge i 70 milioni circa. Sarebbero invece 3,5 milioni i richiedenti protezione internazionale, mentre i minori non accompagnati in 60 Paesi fanno registrare un continuo declino rispetto al 2015 passando da 98.400 a 27.600 nel 2018.

Conflitti irrisolti o rinnovati in alcuni Paesi continuano a causare i principali flussi di rifugiati: tra il 2005 e il 2018 i primi cinque Paesi di origine per numero di rifugiati sono rappresentati da Siria, Afghanistan, Sud Sudan, Myanmar e Somalia, mentre nel 2018 la Turchia si conferma, per il quinto anno consecutivo, il primo Paese al mondo per rifugiati accolti con circa 3,7 milioni, quasi totalmente siriani. Seguono Pakistan, Uguanda, Sudan e Germania.

Ma oltre al numero dei migranti che cercano asilo e protezione internazionale in altri Paesi, un altro importante fenomeno conseguenza di conflitti e violenze è quello delle persone costrette a spostarsi forzosamente all’interno dei propri Paesi, che nel 2018 hanno raggiunto i 41,3 milioni, il dato più alto mai registrato dalla prima rilevazione fatta nel 1998.  La Siria, anche in questo caso, conta il più alto numero di sfollati (con 6,1 milioni), seguita da Colombia (5,8 milioni) e Repubblica Democratica del Congo (3,1 milioni).

Infine, le persone senza una cittadinanza nel 2018 erano quasi 4 milioni, con il Bangladesh in testa (circa 906mila), Costa d’Avoria in seconda posizione (692mila) e Myanmar in terza (620mila).

 

di Elita Viola

 

[1][1] “Primo: l’esclusione è costosa e l’inclusione paga. Una risposta inclusiva nella salute pubblica e a livello socio-economico aiuterà a sconfiggere il virus, a far ripartire le nostre economie e ad avanzare verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Secondo: dobbiamo supportare la dignità umana nella lotta alla pandemia e imparare da quei pochi Paesi che sono riusciti a conciliare le restrizioni di movimento e il controllo delle frontiere con il pieno rispetto dei diritti umani e dei principi di protezione internazionale.
Terzo: nessuno è salvo se non siamo tutti salvi. Diagnostica, terapie e vaccini devono essere accessibili per tutti. Quarto e ultimo: le persone in movimento sono parte della soluzione. Rimuoviamo le barriere ingiustificate, esploriamo modelli per regolarizzare i percorsi dei migranti e riduciamo i costi di transazione sulle rimesse”.

 

venerdì 18 dicembre 2020

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