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Approfondimenti

Facciamo il punto sulla proposta di direttiva sul dovere di diligenza delle imprese

di Nina Luzzato Gardner, segretariato ASviS

La bozza della Commissione europea prevede l'obbligo per le aziende di individuare i rischi e, se necessario, far cessare o attenuare gli effetti negativi delle loro attività sui diritti umani e l’ambiente. Ecco le implicazioni.

8 aprile 2022

È finalmente uscita la tanto attesa bozza di direttiva della Commissione europea che definisce il “dovere di diligenza” delle imprese ai fini della sostenibilità.

Questa bozza, a cui il Dipartimento di giustizia della Commissione europea sta lavorando da oltre un anno e mezzo dopo aver ricevuto una proposta dal Parlamento europeo, potrebbe ancora subire alcune modifiche, ma è un grande passo nella giusta direzione verso una migliore governance nei consigli di amministrazione per le questioni di sostenibilità e per garantire che le aziende mettano in atto seri processi di “dovuta diligenza” in materia di diritti umani e di ambiente lungo tutta la loro catena di fornitura. Sia per le aziende che per gli investitori si tratta di un'importante misura di mitigazione del rischio, che porta a una maggiore consapevolezza e trasparenza per quanto concerne i danni alle persone. Per le comunità colpite, ciò può portare a una maggiore responsabilità aziendale e ad un potenziale risarcimento.

Ci sono varie disposizioni che interessano sia le aziende con sede in Europa che quelle che vendono merci in Europa, e che avranno di certo un impatto sulle aziende italiane, sia direttamente che indirettamente.

Condizioni generali: la Direttiva richiederà alle aziende di incorporare il dovere di diligenza in tutti i loro processi. Ciò significa che le grandi aziende (e, in una certa misura, le Pmi nei settori problematici) dovranno valutare gli impatti negativi sull'ambiente e sui diritti umani lungo tutta la loro catena del valore, adottare misure per mitigare il rischio di avere impatti negativi e porre fine a rapporti commerciali/ di fornitura se l'impatto negativo non viene corretto. Le aziende saranno tenute a segnalare pubblicamente queste attività e ad istituire appropriati meccanismi di reclamo oltre a definire un piano di azioni correttive per le comunità colpite.

Dovere di diligenza: la dovuta diligenza dovrebbe essere condotta lungo l'intera catena delle società fornitrici con le quali le imprese hanno "stabilito rapporti commerciali" (ad es. un fornitore una tantum non dovrebbe essere incluso in questa mappatura e in questo processo). C'è anche l'obbligo di implementare meccanismi di verifica (che secondo le critiche è un approccio che ha mostrato la sua debolezza, preferendo che le aziende utilizzino la loro influenza nella relazione per rimediare al danno). La Direttiva riconosce che le aziende devono concentrarsi sulla individuazione di impatti negativi e, qualora rilevati, dovrebbero sospendere temporaneamente il rapporto o porgli fine se gli impatti sono gravi e gli sforzi di mitigazione inefficaci.

Dimensioni e tipologia di azienda a cui si applica: la bozza di Direttiva si applicherà alle aziende con sede nell' UE  con più di 500 dipendenti e più di 150 milioni di euro di fatturato annuo (si prevede che coinvolgerà in totale circa 13.000 aziende), ma anche alle aziende tra 250-500 dipendenti e più di 40 milioni di euro di fatturato se operano in determinati settori sensibili come: a) tessile, abbigliamento o calzature (compresi i prodotti legati ai pellami); b) agricoltura, silvicoltura, pesca, produzione alimentare; c) nelle industrie estrattive come nel settore minerario e della produzione metallurgica. Saranno interessate anche le imprese non UE nel mercato unico che superano queste soglie di fatturato. Chiaramente, i primi due gruppi di "settori sensibili" sono quelli che interesseranno maggiormente le Pmi italiane, direttamente o indirettamente.

Governance: il controllo del consiglio di amministrazione è un altro passo importante in questa direttiva in quanto i consigli di amministrazione delle più grandi società dell'UE devono tenere conto dei diritti umani, dei cambiamenti climatici, dei danni ambientali a breve/medio e lungo termine e dovrebbe supervisionare il processo di dovuta diligenza dell'azienda. Questo è fondamentale in quanto costringe i consigli di amministrazione a concentrarsi seriamente sulle questioni di sostenibilità (scritto a chiare lettere) come parte del rischio aziendale. I consigli di amministrazione dovrebbero inoltre adottare un piano per garantire che il loro modello di business e la loro strategia siano compatibili con una transizione verso un'economia sostenibile – il che implica la definizione di specifici obiettivi in linea con l'accordo di Parigi - e valutare in che misura il cambiamento climatico sia un rischio nelle operazioni della società. Questo è un ottimo primo passo, sebbene secondo le critiche si sia persa l’occasione di spingere i consigli di amministrazione a fissare obiettivi che assicurino anche una gestione dei rischi associati ai diritti umani e degli impatti legati al cambiamento climatico, il che significherebbe dare un contribuito a una transizione giusta.

Responsabilità: La mancata osservanza di un adeguato dovere di diligenza sulle catene di approvvigionamento può comportare per le aziende sanzioni e multe e può esporle a responsabilità qualora non riescano a prevenire, mitigare e/o porre fine al rapporto con il fornitore con cui hanno un rapporto commerciale consolidato. Ciò è significativo in quanto comporta che le azioni scorrette delle filiali non proteggeranno più le società madri dalla responsabilità civile in caso di contenzioso (precedentemente protetto da "un velo aziendale" in molte giurisdizioni) e offre alle vittime la possibilità di intentare azioni legali nei tribunali dell'UE. Tuttavia, la bozza di direttiva ha perso l'occasione di affrontare molti degli ostacoli legali che le vittime hanno nel portare avanti questi casi, come costi elevati, termini di prescrizione brevi e un gravoso onere della prova.

Applicazione: gli Stati Membri dovrebbero istituire un'autorità di vigilanza per monitorare le attività delle società regolamentate (e l'autorità di vigilanza pertinente può essere lo Stato in cui è presente una succursale legale o in cui le imprese generano la maggior parte delle entrate). L'autorità di controllo può condurre indagini laddove ritenga che ci siano problemi o se "preoccupazioni sostanziali" sono state sollevate da individui o gruppi (come le ong). Se viene rilevata una violazione, all'azienda viene concesso il tempo di rimediare al danno, tuttavia l'azienda può comunque essere soggetta a sanzioni (in base al fatturato). La Commissione prevede di istituire una rete di autorità di vigilanza per coordinare la sorveglianza, condividere le migliori pratiche e assicurare coerenza.

Tempistiche: la bozza ora passa sia al Consiglio che al Parlamento europeo per concordare un testo finale. Una volta adottata la Direttiva, gli Stati Membri avranno due anni di tempo per recepirla nella loro legislazione nazionale così come le aziende più grandi avranno due anni per iniziare ad adempiere alla direttiva, mentre le aziende più piccole nei settori ad alto rischio avranno ulteriori due anni.

Cosa può significare per l'Italia: Sicuramente questo interesserà le poche grandi aziende in Italia che hanno seguito questi sviluppi e che stanno già iniziando a gettare le basi per implementare processi di dovuta diligenza. Hanno i mezzi per espandere il loro personale per affrontare questi cambiamenti e hanno familiarità con queste sfide. Le grandi aziende delle industrie estrattive che sono già state esaminate, come l'Eni, saranno più preparate. Tuttavia, questo regolamento potrebbe dare problemi alle aziende di altri settori, come i principali marchi di moda del settore tessile e dei pellami che hanno più di 250 dipendenti e che potrebbero non essere così abituati a prestare attenzione ai danni lungo la loro catena di approvvigionamento o a riferire su di essi, soprattutto per quanto riguarda l'identificazione e la correzione degli impatti molto gravi sul lavoro e sull'ambiente che potrebbero nascondersi in alcuni livelli delle loro catene di approvvigionamento. Il genocidio e le condizioni di lavoro forzato nello Xinjiang, in Cina, ad esempio, potrebbero rappresentare una sfida per questi marchi che possono produrre capi di abbigliamento in fabbriche al di fuori della regione ma che si riforniscono di cotone dallo Xinjiang, poiché l'85% del cotone cinese proviene da quella zona. Problemi simili sorgono per le aziende che producono pannelli solari poiché il 45% del polisilicio mondiale viene estratto anch’esso nello Xinjiang.

Allo stesso modo, questa direttiva può interessare i grandi supermercati che acquistano gran parte dei loro prodotti da aziende agricole che lavorano in condizioni deplorevoli di caporalato, una situazione così grave che il governo italiano, con una mossa esemplare, ha evidenziato questa come una priorità da combattere nominando una task force inter-agenzia nel suo recente Piano d'azione nazionale su imprese e diritti umani aggiornato a dicembre 2021.

Quindi, mentre a prima lettura può sembrare che la maggior parte delle Pmi italiane sarà risparmiata (poiché molte di esse contano molto meno di 250 dipendenti), nei fatti un gran numero di esse alimenta le catene di approvvigionamento delle aziende più grandi e dovrà attenersi ai termini contrattuali che le aziende più grandi includeranno nei loro contratti di appalto. Ciò significa che né l'azienda più grande né le società fornitrici potranno chiudere un occhio sulle loro pratiche di approvvigionamento, in particolare quelle nel settore tessile, dei pellami e dell'agricoltura, che è afflitto da serie carenze nei diritti umani e da quelle ambientali e, di fatto, l'onere della prova potrebbe ricadere sulle società fornitrici che potrebbero essere più vicine a questi rischi.

Per concludere, la Direttiva così com'è è tutt'altro che perfetta - e molti esperti nel campo delle imprese e dei diritti umani sono rimasti un po' delusi da questa bozza per la sua attenzione concentrata sulla responsabilità riflessa specificamente nei rapporti contrattuali. Sarebbe stato utile focalizzarsi anche sul modo di adempiere al dovere di diligenza in funzione dei rischi conosciuti nella catena di approvvigionamento (come suggeriscono gli United Nations Guiding Principles on Business and Human Rights– UNGPs). Questi principi, adottati dal Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra nel 2011, riguardano i casi in cui i beni o i servizi di un'azienda possono avere impatti negativi su una comunità durante il ciclo della produzione, dell'uso e dello smaltimento, e dove quindi potrebbe non esserci uno specifico rapporto contrattuale. La società civile è rimasta insoddisfatta anche dall'esclusione delle Pmi (la cui inclusione avrebbe potuto essere scaglionata nel tempo). La bozza è stata inoltre criticata per non aver preteso di più dal settore finanziario - poiché alcuni membri stanno già iniziando a utilizzare la loro leva con le società con cui hanno rapporti - in particolare per quanto riguarda i cambiamenti climatici (ad esempio gli sforzi Net Zero di molte banche e investitori).

La direttiva inoltre presenta lacune sulle disposizioni in materia di ricorso per le parti interessate.

È un inizio, ma la bozza finale potrebbe essere ancora più forte.

 

Nina Luzzatto Gardner dirige Strategy International, uno studio di consulenza sui temi della sostenibilità e di business e diritti umani, lavorando con aziende e investitori. Da oltre dieci anni è Professoressa Aggiunta alla Johns Hopkins School of Advanced International Studies a Washington. Formata a Harvard e alla Columbia University, è un'avvocata iscritta all’Albo nello Stato di New York.

Fonte dell'immagine di copertina: howtogoto/123rf

 


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