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Wwf: l’economia nature-positive potrebbe creare 39 milioni di posti di lavoro

Più della metà del Pil globale dipende in qualche modo dalla natura. La biodiversità della Terra sta scomparendo a una velocità senza precedenti. Urge un approccio basato su capitale naturale, sistemi alimentari ed economia circolare.  30/8/21

Se i 500 miliardi di dollari l’anno che i governi spendono in sussidi dannosi per l’ambiente fossero dirottati verso soluzioni basate sulla natura, potremmo produrre e consumare in modo sostenibile, preservare la natura e creare posti di lavoro. Sulla base di questo dato, il rapporto del Wwf “Halve humanity’s footprint on nature to safeguardour future”, pubblicato il 19 agosto, invita ad agire per evitare il collasso degli ecosistemi. La popolazione di animali selvatici è diminuita del 68% dal 1970, il 98% della biomassa dei mammiferi è costituita da esseri umani e da bestiame, è stata abbattuta la metà di tutte le foreste tropicali, sostituendole con pascoli monocoltura e fattorie. Il cambiamento ambientale globale mette a rischio quasi 10mila miliardi di dollari entro il 2050 e potrebbe provocare un aumento dei prezzi su larga scala delle principali materie prime come legno e cotone.

Una via per i negoziati sulla biodiversità. Pubblicato alla vigilia dei negoziati delle Nazioni unite sulla biodiversità, il Rapporto rivela come i governi potrebbero creare 39 milioni di posti di lavoro dedicando ad azioni positive per la natura (come la rinaturalizzazione) una sola annualità di quei sussidi che “distruggono la biodiversità”. Il Rapporto, prodotto da Dalberg Advisors, sottolinea che la distribuzione delle risorse deve avvenire in modo equo, in base alla popolazione, e non alla forza economica. In questo modo si contribuisce a proteggere maggiormente la biodiversità e si aiutano i Paesi meno sviluppati a creare percorsi di crescita green.

Già nel 2020, il Future of nature and business report del World economic forum ha previsto che le soluzioni “nature-positive” potrebbero creare posti di lavoro e nuove opportunità commerciali. Diversi Paesi hanno già intrapreso giuste transizioni in questo senso, offrendo spunti e ispirazioni. Il Brasile, grazie ad una serie di azioni politiche tra il 2005 e il 2012, ha ridotto la deforestazione del 70%. Un colosso come Suzano (produzione di carta) si è impegnato in favore di modelli forestali che proteggono la natura, mescolando foreste autoctone con piantagioni, per massimizzare la produzione e i servizi ecosistemici. Suzano ha protetto e ripristinato quasi un milione di ettari di aree di conservazione e ha emesso 1,25 miliardi di dollari in obbligazioni verdi, un esempio promettente per l'industria forestale.

Obiettivi ambiziosi. Oltre a sollecitare uno sforzo decisivo per dimezzare l’impronta della produzione e del consumo entro il 2030, il Wwf chiede ai Paesi di aumentare le loro ambizioni nel perseguire l’obiettivo di invertire la perdita di biodiversità in modo da garantire un mondo nature-positive nel prossimo decennio. È positivo, continua il Rapporto, l’obiettivo di tutelare il 30% delle aree terrestri e marine entro il 2030, ma deve essere affiancato da un approccio che rispetti e garantisca i diritti delle popolazioni indigene e delle comunità locali. Affinché la bozza di accordo sia veramente efficace, occorre rafforzarne i meccanismi di attuazione.


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Produzioni insostenibili. Produzione e consumo insostenibili, evidenzia il Rapporto, sono la principale causa della perdita di biodiversità, attribuibile in gran parte ai consumatori dei Paesi ad alto reddito. Basti pensare che il consumo medio di un cittadino di un Paese Ocse provoca circa 27 kg di deforestazione ogni giorno. Molti Paesi dell'America Latina e del Sud-Est asiatico hanno quadruplicato il consumo di carne pro-capite (un forte indicatore dell'impronta di biodiversità) negli ultimi 50 anni, avvicinandosi al consumo di carne pro-capite dei Paesi ad alto reddito. Con un altro miliardo di consumatori che si prevede entreranno a far parte della classe media globale entro il 2030, continua il Rapporto, l'attuale modello di produzione e consumo sembra sempre più insostenibile.

Tre approcci per superare la crisi. Negli ultimi anni, l’attenzione mediatica sulla perdita della natura è aumentata, i consumatori chiedono sempre più prodotti sostenibili e i produttori riconoscono che devono cambiare modello di business.
Per modificare il settore produttivo e soddisfare la domanda di cambiamento, il Rapporto propone tre macro-approcci:

  • Introdurre la contabilità del capitale naturale per valutare correttamente il contributo dei servizi ecosistemici alla produzione nazionale. Il contributo vitale della natura alla produzione non compare nei dati del Pil. I governi hanno bisogno di metodologie per ottimizzare il capitale naturale che costituisce la base della creazione del valore economico, soprattutto nei settori produttivi chiave come l'agricoltura, la pesca, la silvicoltura e le infrastrutture. Chi finanzia i progetti in questi settori necessita di metodologie equivalenti per valutare rischi e opportunità offerte dalla biodiversità.
  • Puntare su sistemi alimentari sostenibili in grado di produrre più cibo, consentendo allo stesso tempo diete più nutrienti. Dal lato del produttore, l'agroecologia è in grado di ottimizzare la produzione agricola a lungo termine e il valore del terreno, sfruttando la natura come input, investendo ad esempio, in impollinatori e biodiversità del suolo. Dal punto di vista dei consumatori, le “diete planetarie” possono fornire cibo più nutriente per tutti, spostando la domanda verso alimenti meno esosi dal punto di vista delle risorse. Inoltre, la catena del valore alimentare deve diventare più efficiente dall'azienda agricola alla tavola, per evitare sprechi alimentari.
  • Puntare sull'economia circolare per ridurre al minimo i rifiuti che potrebbero trasformarsi in inquinamento. Aumentando la durata dei prodotti e riciclando più risorse se ne riduce la domanda, che a sua volta riduce la necessità di convertire gli habitat naturali in impianti di produzione. Contenere l'inquinamento, in particolare dei settori manifatturiero, minerario e agricolo, a sua volta, protegge gli ecosistemi e la salute umana.

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La necessità di raggiungere un accordo per fermare e invertire la perdita di natura entro il 2030 non è mai stata così urgente, ma il Wwf è preoccupato che l’umanità non risponda in maniera adeguata alla crisi dei sistemi naturali, pregiudicando la capacità di affrontare l’emergenza climatica, mettendo in pericolo le risorse da cui tutti dipendiamo e la nostra stessa sopravvivenza.


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Le iniziative in atto. Più di mille aziende, tra le più grandi del mondo, hanno aderito all'iniziativa Science-based targets, nata con l’intento di guidare le imprese nella definizione di obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra in linea con il livello di decarbonizzazione richiesto per mantenere l'aumento della temperatura globale al di sotto di 1,5°C. Anche a livello di leadership politica si iniziano a prendere provvedimenti per proteggere la biodiversità globale. Il Leaders' pledge for nature, ad esempio, ha impegnato 89 capi di Stato o di governo di tutto il mondo a invertire la perdita di biodiversità entro il 2030. L'accordo di Parigi, nonostante sia incentrato solo sulle emissioni di gas serra, ha dimostrato che un'azione collettiva dei governi del mondo è possibile.

Proprio come il benessere umano è impossibile senza un'atmosfera sana, la biodiversità della Terra è essenziale per la salute e la ricchezza di tutte le nazioni. Eppure, conclude il Rapporto, molti Paesi produttori restano scettici su tali impegni, preoccupati che questi possano soffocare le loro opportunità di crescita economica. Tuttavia, i Paesi ad alto reddito dovranno consentire una transizione globale giusta, sostenendo i produttori nei Paesi ricchi di biodiversità e consentendo a questi Paesi di proteggere il proprio patrimonio naturale.

 

Scarica il Rapporto

 

di Tommaso Tautonico

lunedì 30 agosto 2021

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