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FOCUS. Grigio, blu, verde: quale la tonalità migliore per l’idrogeno del futuro
Secondo il ministro Cingolani bisogna arrivare al 2030 a un’Italia a idrogeno verde. Ma ci sono tre ostacoli: insufficienti energie rinnovabili per la produzione, scarsa diffusione, costo non competitivo. Da: futuranetwork.eu 20/05/21
“Ci piacerebbe affermare che l’idrogeno verde è a portata di mano, per ridurre l’impatto ambientale e accelerare il processo di decarbonizzazione, ma non è così, perché la transizione energetica è complessa e segue un percorso preciso di tappe e obiettivi”. Queste le parole pronunciate da Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, in un webinar organizzato da Ansa sul ruolo che può giocare l’idrogeno nel futuro scacchiere energetico nazionale ed europeo. L’idrogeno si può infatti utilizzare come combustibile per produrre energia, sostituendolo alle fonti fossili: per mezzo di questa risorsa, si potrebbe garantire il funzionamento di alcune industrie energivore (come le acciaierie) o fornire un’alternativa valida per il settore automobilistico, specialmente per quanto riguarda il trasporto pesante su strada.
“L’Unione europea ha messo la produzione di idrogeno fra le tappe necessarie per la decarbonizzazione con massicci investimenti, ed è partita la grande corsa ad accaparrarsi i fondi”, ricorda Milena Gabanelli nel suo dataroom sul tema. La giornalista sottolinea infatti che, tra i 59,33 miliardi di euro previsti dal governo Draghi per la transizione ecologica, 23,78 miliardi saranno destinati all’incremento delle energie rinnovabili nel settore agricolo, nella promozione degli impianti tecnologicamente innovativi (onshore e offshore, ovvero nel mare), nel trasporto locale sostenibile e nei sistemi di stoccaggio per conservare le energie prodotte in eccesso. All’interno di questi 23,78 miliardi, le risorse devolute all’idrogeno saranno 3,19 miliardi di euro, divisi rispettivamente in: due miliardi per la riconversione delle imprese maggiormente dispendiose sul piano energetico (come le acciaierie), 160 milioni per la ricerca, 500 milioni per la produzione di idrogeno in aree industriali, 530 per la sperimentazione nel trasporto stradale e ferroviario. Infine, altri 450 milioni verranno aggiunti per finanziare lo sviluppo tecnologico nelle filiere di transizione verso l’idrogeno.
Dei 59,33 miliardi di euro destinati dal governo Draghi alla transizione ecologica, 3,19 miliardi sono per l'idrogeno.
Qual è, però, lo stato attuale della produzione di questa risorsa?
Secondo il rapporto “The future of Hydrogen” dell’International energy agency, nel mondo a oggi si producono 73,9 milioni di tonnellate di idrogeno, per un valore di mercato di 150 miliardi di dollari. L’idrogeno, però, non è disponibile in natura, ma va separato dalle molecole con cui è combinato, come l’acqua e il metano, e lo si può fare solo attraverso processi industriali che consumano energia. È per questa ragione che, come afferma Toni Federico, direttore del comitato tecnico scientifico della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, “la questione dell’idrogeno è soprattutto la questione dell’energia usata per produrlo”.
Sempre secondo lo Iea, il 96% dell’idrogeno disponibile oggi si chiama “idrogeno grigio”, ovvero l’idrogeno generato tramite metano, petrolio e carbone: questo processo libera 9kg di CO2 per ogni kg prodotto (sistema altamente incompatibile con gli obiettivi di decarbonizzazione dei prossimi decenni). Poi, c’è l’idrogeno blu, che usa lo stesso processo impiegato per produrre il grigio (ovvero separazione di idrogeno e CO2), solo che la CO2 verrebbe in questo caso inserita sottoterra, in giacimenti esausti di petrolio e gas. Questo sistema, oltre a essere particolarmente dannoso per l’ambiente (per il Consiglio nazionale delle ricerche, bisogna calcolare l’alto rischio sismico che provocherebbe, specialmente in un Paese geologicamente sensibile come l’Italia), prevede alti livelli di produzione di CO2. L’idrogeno grigio e blu permetterebbero alle industrie a carbon fossile, invece di estinguersi, di proporsi come fornitori di energia per la produzione di idrogeno, utilizzando però sempre le usuali risorse fossili. L’unico idrogeno veramente a zero emissioni è dunque quello verde: questo idrogeno viene prodotto tramite elettrolisi (“scindendo l’acqua” per mezzo di catalizzatori come ferro, nichel, o elementi più preziosi come rutenio, platino, iridio), che necessita però di un grande quantitativo di energia elettrica. “Eppure”, sottolinea Milena Gabanelli, “oggi quello verde è solo il 4% della produzione dell’idrogeno mondiale”.
Perché?
“Per l'idrogeno mancano le infrastrutture, ma quello è ancora il problema minore”, ha spiegato il ministro Roberto Cingolani. “Le tecnologie le abbiamo. La sfida più difficile è come accelerare i tempi per realizzarle. La sfida delle normative, delle procedure, è quella che conta di più ora". Per produrre idrogeno verde serve infatti energia, e quella deve essere necessariamente garantita tramite nuovi impianti rinnovabili.
“Il target europeo prevede che arriviamo al 72% di produzione elettrica da rinnovabili nel 2030. Vuol dire installare 60 -70 gigawatt di rinnovabili in dieci anni, sei o sette all'anno, quando finora installiamo un decimo di quello che progettiamo, a causa delle procedure”, afferma sempre Cingolani, che prosegue: “la Ue ci ha chiesto non solo i progetti, ma anche la riforma dei processi. Con i ministri Renato Brunetta ed Enrico Giovannini lavoriamo sulla catena dei permessi, per accelerare le procedure”.
Le ragioni per cui l’idrogeno non è stato ancora messo in campo sono dunque fondamentalmente tre: la mancanza di energie rinnovabili sufficienti (“dobbiamo aumentare di 80 volte la produzione mondiale”, dice Gabanelli); un processo di produzione energivoro che, con la tecnologia odierna, è difficilmente replicabile su scala industriale; il costo, che per ora si aggira intorno ai 4-6 euro per un kg, mentre i cugini grigio e blu si attestano, rispettivamente, intorno a 1,5 e due euro al kg.
Dal punto di vista della competitività, però, come ricorda la monografia “Idrogeno – Un vettore energetico per la decarbonizzazione” elaborata dalla Ricerca sul sistema energetico, “la produzione di idrogeno da rinnovabili elettriche tramite elettrolisi è oggi la filiera di maggior interesse, in quanto fa riferimento a tecnologie disponibili e non implica il ricorso a fonti fossili”. I fattori determinanti per la costituzione di questa forma di energia, secondo la ricerca, sono due:
- L’ammortamento dell’impianto di elettrolisi;
- Il costo dell’energia impiegata.
Il primo fattore è legato allo sviluppo tecnologico e ai volumi di vendita degli elettrolizzatori (ovvero i macchinari per produrre idrogeno tramite elettrolisi): “Finora non si è osservato un calo drastico dei costi specifici, ma è naturale attendersi l’instaurarsi del tipico meccanismo virtuoso di incremento di capacità produttiva e riduzione dei prezzi, già osservato in molti casi di tecnologie energetiche (e non)”. Il secondo fattore determinante riguarda il costo di produzione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili, “che negli ultimi 20 anni ha mostrato, a livello internazionale, uno straordinario abbassamento”. Il costo di produzione dell’idrogeno verde, attualmente più elevato rispetto ai combustibili fossili, tramite la combinazione di queste due tendenze “potrebbe ridursi notevolmente, fino a diventare competitivo con le risorse fossili”.
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La Commissione europea, per garantire una diffusione futura capillare di questa risorsa, prevede, per l’appunto, un dimezzamento dei costi degli elettrolizzatori, tra il 2030 e il 2040, dovuto all’aumento della produzione. Questo “dovrebbe rendere l’idrogeno verde più competitivo nell’arco di dieci anni”, per sostituire non solo l’idrogeno grigio e blu, ma anche per prendere il posto occupato dai combustibili fossili nell’industria o nei trasporti pesanti. Come ricorda Toni Federico, infatti, “l’idrogeno verde, bruciando in celle a combustibile, potrebbe sostituire i motori utilizzati oggi per tir, navi e (forse, nel futuro) anche aerei. È molto più semplice che costruire batterie elettriche per mezzi così pesanti”.
L’Unione europea ha inoltre stabilito una strategia operativa per arrivare a emissioni zero nel 2050 e far sì che la produzione di idrogeno verde passi in 30 anni dal 2% al 14% (considerando la percentuale di idrogeno all’interno del mix energetico europeo). Questo progetto prevede che:
- Entro il 2024 vengano installati sei gigawatt di elettrolizzatori per produrre un milione di tonnellate di idrogeno verde a livello europeo;
- Entro il 2030 vengano installati 40 gigawatt di elettrolizzatori per produrre dieci milioni di tonnellate di idrogeno verde a livello europeo;
- Entro il 2050 un quarto di energia rinnovabile venga devoluta alla produzione di idrogeno verde su larga scala a livello europeo.
Secondo Gabanelli, le prospettive dell’Unione sono “poco credibili”. Per il Cnr, “non andremo oltre le 700mila tonnellate al 2024 e 4,5 milioni al 2030”.
“La pipeline di nuovi progetti sta crescendo rapidamente”, afferma però Wood Mackenzie. “Stiamo assistendo a grandi operatori energetici, industriali e finanziari integrati che avanzano nuovi progetti innovativi, con il vento favorevole della politica di zero emissioni alle spalle”. Questo, però, non accade in Italia, dove la ricerca “Fonti rinnovabili in Italia ed Europa” del Gestore dei servizi energetici dimostra che “produciamo ancora il 45% dell’elettricità con il gas”, mentre nel rapporto Renewables 2020 dell’Iea si legge che nel resto del mondo “il 2020 è stato un anno record di crescita per le rinnovabili”.
Il settore privato, però, si sta già muovendo verso l’idrogeno. Secondo quanto annunciato ad Ansa da Massimiliano Di Silvestre, presidente e amministratore delegato di Bmw Italia: “la Bmw lancerà il prossimo anno una X5 a idrogeno, e dal 2025 una gamma intera”. Pier Lorenzo Dell'Orco, amministratore delegato di Italgas Reti ha invece affermato che intende investire 15 milioni “per realizzare a Cagliari un centro di produzione e ricerca sull’idrogeno”, che distribuirà “idrogeno nelle reti domestiche, mescolato al metano”. Cosma Panzacchi, vicepresidente per l’idrogeno della società di infrastrutture energetiche Snam, ha invece dichiarato che “il 70% delle condotte Snam è già adatto all’idrogeno, e puntiamo sul trasporto ferroviario”. Il gruppo intende infatti investire 150 milioni per una rete di rifornimento delle ferrovie non elettrificate (5mila chilometri in Italia): “il primo convoglio a idrogeno partirà nel 2024 in Val Camonica, gestito da Ferrovie Nord Milano”. Anche Edison sta lavorando sull'idrogeno per decarbonizzare trasporti e industria. “L'intento”, afferma Giovanni Brianza, vicepresidente esecutivo, è quello di accompagnare il settore “in un percorso di decarbonizzazione e anche verso la competitività". Tutti questi impegni, però, hanno ancora bisogno di una realizzazione e messa in atto.
La diffusione dell’idrogeno nel mercato energetico globale porterebbe anche a un forte rilancio economico. Secondo il rapporto “Net-zero Europe. Decarbonization pathways and socioeconomic implications” di McKinsey, la transizione energetica verso le emissioni zero creerà circa 11 milioni di posti di lavoro nel mondo, eliminandone però sei milioni, con un guadagno netto di cinque milioni di posti di lavoro, di cui 540mila, secondo il Forum Ambrosetti, saranno in Italia (soprattutto nel settore della produzione di idrogeno).
Il ministro Cingolani ribadisce che l'obiettivo è arrivare al 2030 a un’Italia a idrogeno verde. Se questo risultato non dovesse essere raggiunto, il ministro afferma che anche l’idrogeno blu potrebbe essere considerato “una soluzione accettabile”, nonostante le riserve del Cnr. Cingolani conclude ricordando che serve, però, anche un cambio di mentalità: “Tutti vogliono essere verdi, ma poi non vogliono la pala eolica davanti a casa, o vogliono continuare a usare i social che producono tante emissioni. L'emergenza climatica richiede sacrificio, ci dobbiamo mettere tutti qualcosa”.
di Flavio Natale