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SCONFIGGERE LA FAME

Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile

Dal 2014 è tornato a crescere il numero di persone che nel mondo soffrono la fame, nel 2017 erano 821 milioni. In Italia dal 2010 al 2017 l’uso di pesticidi e diserbanti in agricoltura è diminuito del 20%, ma tra il 2016 e il 2017 è aumentato l’utilizzo di fertilizzanti.

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Banca d’Italia: la crisi climatica colpisce ogni comparto della nostra economia

L’industria turistica sarà tra i settori più esposti, rileva l’Istituto, ma è a rischio anche la produzione agricola. Per decarbonizzare, redistribuendo ricchezza alla collettività, occorre puntare su rinnovabili e carbon tax. 9/11/22

Come incide il cambiamento climatico sull’economia italiana? È la domanda che si è posto il progetto di ricerca “Gli effetti del cambiamento climatico sull’economia italiana”, frutto di 17 studi scientifici commissionati dalla Banca d’Italia. Vediamo qualche ambito di applicazione della ricerca pubblicata lo scorso 19 ottobre.

Gli impatti sul sistema agricolo nazionale. L’agricoltura italiana svolge un ruolo significativo su diversi comparti dell’economia nazionale, pensiamo per esempio all’agroindustria e al settore della ristorazione. Inoltre, i prodotti agricoli italiani rappresentano una quota importante (oltre l’80%) del consumo finale di beni primari da parte delle famiglie. Per questo motivo a ogni modifica di quantità e prezzi agricoli è da associarsi un impatto sul benessere dei cittadini.

Secondo la ricerca della Banca d’Italia, che analizza diversi scenari di aumento medio della temperatura, con temperature medie superiori a 28°C-29°C bisogna aspettarsi una perdita consistente delle rese di mais e di grano duro; con oltre 32°C sarà anche il settore del vino a subire in modo negativo gli effetti della crisi climatica.

C’è da dire che per queste tre colture fino al 2030 gli impatti potrebbero essere contenuti - per il mais, per esempio, con uno scenario medio di global warming la resa potrebbe scendere tra lo 0,8% e il 6% -, oltre questo decennio le cose potrebbero però peggiorare drasticamente se non dovessimo porre un freno al fenomeno del riscaldamento globale.

Clima, imprese e mercato. La maggior frequenza delle temperature estreme può influire sulle decisioni delle imprese di entrare e uscire dal mercato, o di variare la localizzazione della loro attività? È la domanda a cui prova a rispondere un capitolo dello studio. I risultati dell’analisi mostrano che un aumento costante della temperatura si riflette su una riduzione del tasso di entrata di nuove imprese sul mercato e su un aumento, questa volta più contenuto, dei tassi di uscita dal mercato (ciò varia in base al settore e alla zona dove si trova l’azienda). “L’analisi svolta sui bilanci delle singole imprese rivela che l’aumento delle temperature influenza anche risultati e redditività delle imprese attive, con un impatto radicalmente differente a seconda delle loro dimensioni: gli effetti sono negativi solo per le piccole imprese, mentre quelle più grandi sembrano avvantaggiarsi delle temperature più elevate, probabilmente in seguito alle loro migliori capacità di adattamento”, si legge nello studio.

Si tratta di un aspetto che dovrebbe avere un peso anche in termini di politiche economiche, visto che “la forte eterogeneità territoriale degli effetti delle temperature estreme sull’entrata e l’uscita delle imprese potrebbe in prospettiva acuire divari territoriali già esistenti (la zona climatica mediterranea ricade per lo più nel Mezzogiorno); un miglioramento delle condizioni per lo svolgimento dell’attività d’impresa nelle aree più colpite dalle temperature elevate aumenterebbe la resilienza del tessuto produttivo locale ai cambiamenti climatici. Inoltre, la maggiore difficoltà mostrata da parte delle imprese di minore dimensione nell’adattamento al cambiamento climatico potrebbe stimolare una riflessione sull’opportunità di accompagnare l’adattamento di questa categoria di imprese al nuovo corso climatico, attraverso strategie di supporto mirate”.


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Turismo invernale a rischio. Il settore turistico è quello che nel breve termine risentirà maggiormente della crisi climatica, soprattutto per quanto riguarda il comparto montano altamente sensibile a precipitazioni nevose e aumento della temperatura. Parliamo di uno dei principali segmenti del settore turistico italiano, basti pensare che prima dell’inizio della pandemia circa il 13% dei pernottamenti alberghieri in Italia era concentrato in località di montagna e che la spesa dei viaggiatori stranieri era di circa due miliardi di euro (su un totale di oltre 28 miliardi di euro).

I risultati che emergono dallo studio mostrano in media che a un metro in meno di neve nel corso della stagione è associato a una diminuzione dell’1,3% di passaggi negli impianti (a parità di altre condizioni). Se guardiamo alle proiezioni al 2100, dove è previsto un calo delle precipitazioni nevose tra il 30% e il 45%, viene evidenziato che a una riduzione del 40% della quantità di neve in una stagione va associata una riduzione del 7% di passaggi negli impianti, percentuale che potrebbe essere ben più severa nelle località che si trovano più a bassa quota.

La via alla decarbonizzazione: semplificazione e rinnovabili. Il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050 richiede un profondo processo di ristrutturazione dei sistemi energetici, ancora fortemente dipendenti dalle fonti fossili (per il 72% in Europa e per l’83% in Italia).

Il Piano nazionale clima energia (Pniec) del 2020, che tra l’altro va aggiornato ai nuovi target europei, fissava nel 2020 un aumento della quota delle rinnovabili elettriche al 55% entro il 2030 (attualmente siamo intorno al 35%). Sarà il solare fotovoltaico a portare il maggiore contributo a questa crescita, con la sua quota di mercato prevista in aumento: dall’8,9% del 2019 a quasi il 40% nel 2030, per un totale di 52 GW di capacità fotovoltaica installata aggiuntiva.

Ma l’incremento della quota di fonti rinnovabili è auspicabile non soltanto da un punto di vista ambientale, ricorda lo studio: l’installazione di pannelli fotovoltaici per l’autoconsumo di energia darebbe per esempio alle imprese (soprattutto a quelle operanti in settori energivori) una maggiore resilienza e una minore esposizione alla fluttuazione dei prezzi elettrici, come riscontrato in tutta Europa a partire dal secondo semestre 2021.

Purtroppo nel nostro Paese, dopo un periodo di forte espansione sostenuto soprattutto dal sistema degli incentivi finanziari, dal 2014 al 2020 la potenza fotovoltaica installata annuale ha ristagnato, e questo nonostante la forte contrazione dei costi di produzione. Bisogna cambiare subito passo su questo settore, per farlo occorre anche semplificare le procedure autorizzative riducendo così i tempi, gli oneri e l’incertezza associati alla realizzazione di un impianto di medio-grandi dimensioni.


 

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Una carbon tax per redistribuire ricchezza alla collettività. “Il 17 gennaio 2019, il Wall Street Journal ha pubblicato la più imponente dichiarazione pubblica degli economisti nella storia, firmata da 28 premi Nobel, quattro ex presidenti della Federal reserve board e 15 Consiglieri economici dei presidenti. La dichiarazione indica che un’imposta sulle emissioni di gas serra (carbon tax) offre la leva più efficace in termini di costi per ridurle a un ritmo necessario per limitare gli effetti dei cambiamenti climatici”, si legge nello studio di Banca d’Italia. “E aggiunge che, per massimizzare la fattibilità politica di tale imposta, tutte le entrate derivanti da essa dovrebbero essere restituite direttamente ai cittadini”.

In base a tale premessa, gli autori mostrano come la redistribuzione del gettito derivante dall’introduzione di una carbon tax sia in grado di rendere socialmente più accettabile la misura, favorendo al contempo il necessario sostegno alle politiche ambientali.

Lo studio indica che con l’introduzione di una carbon tax del valore di 75 dollari per ogni tonnellata di CO2 emessa – cifra che indica il Fondo monetario internazionale per rendere la transizione efficiente e compatibile con l’impegno di limitare l’aumento medio della temperatura terrestre a 1.5°C – senza l’intervento dello Stato il potere di acquisto delle famiglie, soprattutto per quelle più povere, potrebbe ridursi e che le imprese, a fronte di un aumento dei costi intermedi di produzione, potrebbero modificare la domanda di altri fattori produttivi. Per fronteggiare gli effetti redistributivi legati a questi due meccanismi, il lavoro di ricerca ipotizza che il governo potrebbe utilizzare il gettito legato alla nuova imposta in tre modi alternativi: finanziare un aumento della spesa pubblica; finanziare una redistribuzione della ricchezza; finanziare una riduzione dell’imposta sui redditi da lavoro (Irpef).

Un altro paper della Banca d’Italia, pubblicato sempre a ottobre, esegue una analisi costi-benefici sugli investimenti verdi inclusi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano. Nel valutare questi interventi, si utilizza il cosiddetto social cost of carbon (Scc), che stima i danni globali causati dalle emissioni di gas serra.  I risultati dello studio “Costs and benefits of the green transition envisaged in the italian Nrrp. An evaluation using the social cost of carbon” mostrano che gli investimenti nel settore delle energie rinnovabili riescono a generare benefici immediati: basta poco tempo per ripagare i costi e per generare una serie di benefici duraturi da un punto di vista ambientale, economico e sociale. 

Scarica lo studio “Gli effetti del cambiamento climatico sull’economia italiana”

 

di Ivan Manzo

mercoledì 9 novembre 2022

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