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SALUTE E BENESSERE

Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età

In Italia, gli infermieri sono 5,49 per mille abitanti, contro un valore medio del 9,42 per mille di Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna. Inoltre, si registra un incremento delle patologie dell’area psichiatrica e psicologica, tra le criticità accentuate dalla pandemia in Italia, che è nell’ordine del 25-30%. 

 

Approfondimenti

L’impatto della crisi sulla salute

di Viviana Egidi, docente Sapienza Università di Roma e referente Aiquav per ASviS

La crisi attuale sta avendo conseguenze significative su aspetti della salute diversi dalla mortalità: a differenza della Grande Depressione degli anni '20, oggi "La Grande Recessione" registra una mortalità molto bassa e tra le cause prevalentemente i tumori e le malattie del sistema circolatorio.
Aprile 2017

La Grande Recessione sta avendo sulla salute conseguenze importanti, molto più importanti di quelle che la Grande Depressione ha prodotto alla fine degli anni ’20. Le ragioni di questo sono molte, prima tra tutte la diversa situazione in cui ci troviamo oggi rispetto alla durata media della vita e al tipo di malattie che agiscono sulla popolazione, quella che viene indicata come fase della transizione sanitaria. La Grande Depressione è avvenuta in una fase storica in cui la mortalità era molto alta e scendeva rapidamente sotto la spinta dei primi cambiamenti economici e sociali che investivano il paese in quegli anni, degli interventi di risanamento ambientale e della migliore alimentazione. La mortalità ha continuato a diminuire rapidamente anche negli anni della crisi senza alterare il ritmo di riduzione. Il periodo attuale è molto diverso: la mortalità è ormai molto bassa e le cause di morte sono prevalentemente rappresentate dai tumori e dalle malattie del sistema circolatorio. Queste ultime, in particolare, si dimostrano legate al ciclo economico, e hanno rallentato sensibilmente il trend decrescente durante la crisi, frenando in modo sensibile l’aumento della speranza di vita, sia degli uomini sia delle donne. Anche i suicidi hanno risentito negativamente della crisi. Dopo un lungo periodo di riduzione che si protraeva dagli anni ’90, sia per gli uomini sia per le donne, dal 2008 si è avviato un periodo di aumento per i primi e di stazionarietà per le seconde.

La crisi attuale sta avendo conseguenze anche su aspetti della salute diversi dalla mortalità. A parità di età, di genere e di altre caratteristiche dell’individuo che influenzano la salute, come lo stato civile, il livello di istruzione e la ripartizione di residenza, la proporzione di persone che dichiarano di essere in cattiva salute continua a diminuire anche negli anni della crisi, ma la riduzione è molto più contenuta di quella degli anni precedenti. La prevalenza di limitazioni personali gravi, per contro, aumenta, anche eliminando l’effetto dell’invecchiamento della popolazione.

Inoltre, stanno emergendo nuove vulnerabilità che si vanno ad affiancare a quelle precedenti, non ancora risolte. Se da un lato si conferma e si amplia lo svantaggio del Mezzogiorno rispetto alle altre aree del paese, e soprattutto del Nord, i giovani, le persone più istruite, i disoccupati e gli occupati con contratti temporanei e occasionali hanno sofferto più degli altri la crisi individuando aree di vulnerabilità alle quali non eravamo abituati. Per contro gli anziani, destinatari prevalenti del nostro sistema di protezione sociale, hanno tenuto maggiormente.

Dei segnali preoccupanti vengono da alcune tendenze emerse durante la crisi: rinunciare alle visite specialistiche o agli accertamenti diagnostici, pur avendone bisogno, per ragioni economiche, come è avvenuto negli ultimi anni, mette un’ipoteca sulla futura evoluzione della diffusione delle malattie e sulla nostra capacità di trattarle efficacemente, in quanto ritardi nelle diagnosi non possono che aggravare la gravità delle malattie e rendere più costose le cure, compromettendo la stessa sostenibilità del sistema sanitario nel futuro.

Per contro, alcuni differenziali che ci hanno da sempre preoccupato come quelli sociali stanno avendo delle modificazioni impreviste. Se prendiamo il livello di istruzione come indicatore dello stato socio-economico, e a parità di altre variabili rilevanti come il genere, l’età e la ripartizione geografica di residenza, durante la crisi le diseguaglianze di salute legate alle dimensioni soggettive e mentali si sono ridotte, mentre quelle legate alla salute fisica sono rimaste pressoché invariate. Nonostante il relativo riavvicinamento per alcuni aspetti della salute, le diseguaglianze rimangono, tuttavia, molto ampie in quanto tra i livelli di istruzione più bassi e più alti c’è sempre un rapporto di 3 a 1, variabile a seconda dell’indicatore di salute considerato, ma fino a metà degli anni 2000 il rapporto arrivava anche a 4 a 1. Non possiamo certamente essere soddisfatti da questo relativo avvicinamento in quanto non è avvenuto per un recupero dei più svantaggiati, quanto piuttosto per una penalizzazione dei più istruiti, e questa non è certo la via che auspichiamo per il superamento delle diseguaglianze di salute.

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