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Approfondimenti

La terza rivoluzione industriale: una nuova e radicale economia della condivisione

di Ottavia Ortolani, Segretariato ASviS

L'economia della condivisione può diventare un'economia circolare in cui beni e servizi sono ridistribuiti tra più utenti, ma sono necessari un cambiamento ideologico e una volontà politica forte, secondo l’analisi di Rifkin.
Gennaio - Febbraio 2018

“Being an optimist isn’t about knowing that life used to be worse. It’s about knowing how life can get better.” Bill e Melinda Gates, Annual Letter, 2018

Vice, la media company globale che dà voce ai Millennial, generazione dei nati tra il 1980 e il 2000, ha pubblicato il 9 febbraio un documentario di Jeremy Rifkin, teorico economico e sociale, consigliere del presidente cinese e della Commissione europea, intitolato "The Third Industrial Revolution: A Radical New Sharing Economy" (in italiano “La terza rivoluzione industriale: una radicale e nuova economia della condivisione”). Il documentario offre uno sguardo molto ampio sulla società e affronta tutti i temi dell’Agenda 2030: dalla riduzione della povertà alle città sostenibili, dal lavoro equo all’energia pulita e accessibile. Rifkin ci accompagna nella sua visione della società in cui i Millennial, grazie a mezzi tecnologici messi al servizio della sostenibilità, daranno vita a un ribaltamento del sistema per cui l’era del consumismo verrà superata e al suo posto prenderà forma un nuovo sistema sostenibile. Dal documentario emerge che la nascita di un nuovo sistema economico in grado di affrontare il cambiamento climatico e di creare un mondo più equo ed empatico è realizzabile in una società guidata dalla tecnologia digitale.

L’obiettivo del documentario è di interpretare la realtà lucidamente, non di romanzare la situazione attuale. La crisi economica globale e le previsioni degli economisti sostengono che se il modello attuale non cambierà, ci aspettano altri vent’anni di calo della produttività, crescita lenta, aumento della disoccupazione e crescenti disuguaglianze. Prospettive minacciose che danno luogo a un sentimento di malcontento nella popolazione, soprattutto nei confronti delle istituzioni, e aumentano il rischio di estremismi in tutto il mondo. Inoltre, dopo 200 anni di mutamenti climatici, il pianeta ne risente e le conseguenze della somma di tutti questi fattori non sono facilmente prevedibili né gestibili. Alla luce di una situazione preoccupante, ci troviamo costretti a ripensare i nostri modelli economici.

Il documentario di Rifkin presenta un piano strategico per attuare un nuovo sistema economico che permetterà alle generazioni future di vivere in una società più equa e sostenibile. La sua visione non si basa sul determinismo per cui la tecnologia si evolverà automaticamente per il beneficio degli abitanti del pianeta, bensì, saranno i giovani d’oggi a dovere prendere l’impegno di gestire e guidare con grande attenzione quest’evoluzione. Lo studioso visionario analizza come la rete (web) offra infinite opportunità d’imprenditorialità sociale che le generazioni future avranno il dovere di proteggere. La rivoluzione digitale, nonché la terza rivoluzione industriale che ci troviamo ad affrontare, trasformerà il mercato e la cosiddetta “economia della condivisione” contaminerà tutti i settori. Notoriamente questo fenomeno ha già scosso le fondamenta dell’industria musicale, dei media e dei trasporti fin dai primi anni duemila. La difficoltà maggiore sta nell’interpretare i segnali e anticiparne gli esiti: Napster avrebbe cambiato le sorti di colossi discografici come la Emi, i cellulari avrebbero segnato la fine della pellicola e via dicendo. La terza rivoluzione industriale dunque è in atto, e per comprenderla e interpretarla, il film identifica come chiave di lettura la convergenza di tre tecnologie cardine della nostra società nell’Internet delle cose (“Internet of Things” o IoT) nonché l’infrastruttura digitale intelligente del 21esimo secolo che produce “Big Data”.

I tre elementi principali della struttura sono: l’Internet di comunicazione 5G ultrarapido; l’Internet di energia rinnovabile e l’Internet per la mobilità senza conducente, tutti collegati tra loro nell’”Internet delle cose” che produce “Big Data”, informazioni sulle abitudini di produzione e di consumo molto ampie che portano alla trasformazione del modo in cui gestiamo, alimentiamo e trasferiamo la vita economica. Grazie ai Big Data e all'analisi di questi dati si possono sviluppare algoritmi che aumentano la produttività e riducono il costo marginale della produzione e distribuzione di beni e servizi. Infatti questo fenomeno è già in corso, oggi milioni di persone in tutto il mondo producono e condividono video, musica, contributi su Wikipedia, energie rinnovabili, case e automobili attraverso la rete. Secondo le previsioni di Rifkin durante le prossime due generazioni verranno eliminati l’80% dei veicoli di proprietà e il restante 20% sarà elettrico e alimentato da energia rinnovabile.

La piattaforma della “Sharing economy” (in italiano “economia della condivisione”) secondo Rifkin aumenterà la produttività fino a ridurre i costi di produzione e consumo a zero e porterà anche a una diminuzione dell’impronta ecologica. Secondo il teorico, nell'economia della condivisione, la proprietà lascia il posto all'accesso, i venditori e gli acquirenti sono sostituiti da fornitori e utenti, il capitale sociale diventa importante quanto il capitale di mercato, il consumismo viene ribaltato dalla sostenibilità e gli indicatori della qualità della vita diventano più importanti del Pil. L'economia della condivisione può diventare un'economia circolare in cui beni e servizi sono ridistribuiti tra più utenti, riducendo drasticamente l'impronta ecologica della società. Il messaggio che Rifkin vuole mandarci è che un cambiamento di questa portata richiede una volontà politica e un profondo cambiamento ideologico:

“Dobbiamo ammettere che la metà della popolazione del pianeta sta molto meglio oggi rispetto a due secoli fa, ma il 40% del pianeta sopravvive con meno di 2 dollari al giorno e questi stanno presumibilmente peggio dei loro predecessori dell’epoca precedente alle rivoluzioni industriali. L’era industriale ha portato benefici alla metà della popolazione a scapito dell’altra metà. Infatti, i 62 uomini più ricchi del pianeta detengono una ricchezza pari a quella della metà della popolazione più povera, nonché di tre miliardi e mezzo di persone. Abbiamo emesso enormi quantità di CO2, metano e ossido di azoto nell’atmosfera, abbiamo inciso sui cicli acquatici del pianeta per creare questo stile di vita tanto che il cambiamento climatico non è più una teoria che individua qualcosa di imminente ma è diventato realtà.”

Alla luce di questi dati è chiaro che serve una nuova visione per i Paesi industrializzati e per i Paesi in via di sviluppo e l’Agenda 2030 dell’Onu è il documento guida più aggiornato. Dall’analisi di Rifkin però non emerge nessuna valutazione dell’impatto che il divario tecnologico tra i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo potrebbe avere sull’esito della rivoluzione industriale globale. Per i Paesi in via di sviluppo la gestione e l’analisi dei Big Data sarà una sfida più complessa, ma che potrebbe portare importanti novità e soluzioni per affrontare agricoltura, salute, fame e gestione dei fenomeni climatici.

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