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In Italia la dispersione scolastica passa dal 14,7% nel 2018 al 13,1% nel 2021, a fronte di una media Ue del 9,7%. Permangono divari di genere più forti che negli altri Paesi europei e allarmanti disparità sociali e territoriali con riferimento alla qualità degli apprendimenti.

Approfondimenti

La sostenibilità e il dilemma dell’impatto: come misurarlo?

di Laura Baiesi ed Elisa Paluan, Fondazione Unipolis

Fiducia, flessibilità, dialogo e partecipazione sono le parole chiave per costruire una rendicontanzione d'impatto. Riflessioni ed esiti dell’incontro organizzato da Fondazione Unipolis in collaborazione con Refe.

6 maggio 2021

Di impatto e di come misurarlo si parla sempre più spesso, anche al di fuori degli ambienti più specialistici. Si tratta di temi frequentemente discussi e in evoluzione in questi ultimi anni. Entrati con forza in particolare nelle riflessioni del terzo settore – a seguito della relativa Riforma che introduce l’obbligo della valutazione di impatto delle loro attività – sono concetti che accumunano le diverse tipologie di organizzazioni, profit e non profit, pubbliche e private.

Il valore della misurazione di impatto sta nel processo stesso che innesca e per il quale diventa uno strumento strategico di creazione di senso delle proprie azioni, di analisi e messa in discussione dei risultati raggiunti, di visione sulle scelte future, di narrazione degli effetti prodotti, di coinvolgimento continuo dei beneficiari e dei territori coinvolti.

Come fondazione d’impresa, Unipolis è un’organizzazione che ha la responsabilità e il dovere di rendicontare il valore di quello che viene fatto, in primis verso i soci fondatori, ma anche e sempre più nei confronti e con gli stakeholder di riferimento. Come realtà che mira a supportare idee e progetti innovativi per la crescita culturale, sociale e civica delle persone e delle comunità, la fondazione Unipolis ha scelto di misurare per valutare e monitorare l’effettiva capacità di azione. Per farlo si è deciso di sperimentare un approccio di valutazione d’impatto personalizzato che risponda alla dinamicità e flessibilità proprie delle attività. La riflessione è stata avviata in concomitanza con la redazione del primo piano triennale di Unipolis, rientrando nell’ambito della definizione di un nuovo percorso interno che partendo dalla teoria del cambiamento consentisse di superare la dimensione rendicontativa del bilancio di missione verso una logica di impact management, collegando quindi la gestione di impatto alla pianificazione strategica.

A partire dall'esperienza di questi anni, il 27 aprile 2021 la fondazione Unipolis ha organizzato il webinar online “Il dilemma dell’impatto” per promuovere un confronto sulle opportunità e le minacce a cui la misurazione ci pone di fronte. L'incontro, organizzato in collaborazione con Refe, a partire dalla piattaforma di rendicontazione digitale Openreport, è stata un'occasione di discussione tra diversi stakeholder.

 

L’impatto per una sostenibilità trasformativa

La misurazione d’impatto gioca un ruolo cruciale nella partita della sostenibilità, andando a contribuire alla definizione del ruolo delle organizzazioni nei processi di trasformazione e cambiando quindi il senso di quello che si riuscirà a fare insieme per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo globali. In particolare questo aspetto acquisisce un significato importante per gli attori del terzo settore che per la loro natura identitaria sono attivi nella creazione di impatto sociale. Come sostenuto da Mario Calderini, Professore ordinario di Social innovation school of management, Politecnico di Milano, che ha aperto l’incontro, nell’attuale situazione storica tutti i soggetti profit, non profit e pubblici si sentono in dovere di manifestare la propria capacità di contribuire alla qualità della vita delle persone e del Pianeta avendo maturato la consapevolezza di doversi occupare della questione. Ma in che termini è ancora da stabilire. Due sono le alternative sul campo: da una parte, un approccio alla sostenibilità conservativo non capace di modificare nel concreto il modo di operare e interagire con la società, dall’altra un’interpretazione trasformativa, realmente a favore del benessere delle comunità e delle persone.

Nel raggiungimento del secondo approccio, più promettente per una profonda trasformazione di sistema, il modo in cui si misura l’impatto è un aspetto dirimente. Innanzitutto diventa fondamentale mettere al centro l’intenzionalità di generare un impatto, spostandosi da un mero approccio rendicontativo dei risultati ex post ad una logica di gestione continuativa degli effetti prodotti con la definizione di obiettivi di cambiamento sociale ex ante. Inoltre, per valorizzare i risultati generati senza appiattire od omologare la complessità e le specificità con metodologie stringenti e predefinite, soprattutto per le organizzazioni del terzo settore native sociali, è necessario sviluppare una capacità di misurazione più personalizzata in grado di riuscire a misurare l’effettivo processo trasformativo prodotto per il quale ci si distingue come organizzazioni e si contribuisce alla sostenibilità.

 

Un cambio di paradigma per il mondo delle Fondazioni e degli enti filantropici

L’esperienza di Unipolis si inserisce nel più ampio contesto delle modalità con cui Fondazioni ed enti filantropici concepiscono i sistemi rendicontativi, alla base dei rapporti con i propri beneficiari e più in generale con gli stakeholder. Unipolis ha intrapreso un percorso che vuole essere generativo e che tenta di andare oltre a quelli che Carola Carazzone, Segretario generale di Assifero e presidente di Dafne - Donors and foundations networks in Europe, riconosceva già nel 2018 in articolo pubbblicato su Vita.it come modelli di rendicontazione a silos di specializzazione: lineari e “incomunicanti fra di loro, incapaci di interagire, di lavorare insieme nel lungo periodo, di fare sistema”. Perché le fondazioni possano avere un ruolo centrale nella creazione del valore condiviso e nella produzione del cambiamento è necessario un cambio di paradigma, occorre passare da finalità meramente erogative a finalità di co-creazione di impatto collettivo, adottando una visione di sistema. Occorre costruire impianti che consentano un disegno comune di obiettivi, una valutazione dei risultati e perché no, una ridefinizione di strategie e metodi qualora fosse necessario per raggiungere gli effetti desiderati, affrontando il mancato raggiungimento dei risultati attraverso un discorso bidirezionale e di scambio. La rendicontazione diventa in questo modo uno strumento per scardinare il sistema, per ragionare prima di tutto ex ante e non più solo in chiave comunicativa di quanto prodotto ex post.

A livello europeo la trasformazione è già in corso, come ha raccontato Carola Carazzone durante l’incontro. Poco più di un anno fa Dafne e Efc lanciavano una call to action rivolta a tutte le fondazioni filantropiche per cambiare le modalità di sostegno e rendicontazione delle attività con l’invito a renderle più flessibili, capaci di abbracciare le sfide che le organizzazioni del terzo settore hanno davanti, in particolare dopo le fragilità emerse e causate dalla pandemia. La dichiarazione è stata firmata da 186 Fondazioni europee di cui 45 italiane. Un’azione simile è stata intrapresa nel Regno Unito con Flexible funders, una comunità composta da enti filantropici e Fondazioni che si impegnano ad adottare procedure aperte, basate su relazioni di fiducia, che semplifichino il lavoro a coloro che sostengono, alla luce della continua incertezza causata dal Covid-19. Altri esempi che testimoniano un cambio di passo in corso fuori dai confini nazionali sono Radical flexibility fund un’organizzazione al lavoro per diffondere nuovi approcci di finanziamento per ottenere un cambiamento sociale duraturo, o la piattaforma portata avanti da Three sixty giving, una charity che aiuta le organizzazioni a rendere pubblici gli open data sulle proprie sovvenzioni per consentire a tutti di consultarli, al fine di migliorare le donazioni.

La valutazione e rendicontazione d’impatto può diventare generativa e trasformativa quanto più viene intesa come strumento utile alla comprensione degli effetti connesso a visione più ampia di sostenibilità. Fiducia, flessibilità, dialogo e partecipazione sono le parole chiave per costruirla.

 

Il coinvolgimento degli stakeholder e le opportunità del digitale

Se la complessità del presente non può che essere gestita con un approccio sistemico, il coinvolgimento degli stakeholder nella valutazione dei risultati diventa imprescindibile. La partecipazione delle comunità, interne ed esterne, a tutte le organizzazioni a questi processi va ben oltre il portato informativo e comunicativo che un bilancio consegnato a fine anno può avere: definire obiettivi comuni, co-progettare assieme indicatori, co-costruire le metriche può favorire la costruzione di dialogo e fiducia, aumentare la consapevolezza, il senso di appartenenza e di identità, ma non solo, può consentire di attivare veri e propri percorsi di creazione di valore condiviso, sia che si parli di privato, di pubblico o di no profit. Lo stakeholder engagement in questo diventa determinante nella ridefinizione di obiettivi e politiche in chiave non autoreferenziale, rendendo le organizzazioni più capaci di intercettare bisogni e aspettative e di promuovere i diritti dei propri stakeholder, in coerenza con la propria missione.

Lo stakeholder engagement ha inoltre un ruolo fondamentale nel qualificare e legittimare la rendicontazione e la valutazione di effetti e impatti. L’Agenda 2030 fornisce un fondamentale contributo in questo senso, un quadro di riferimento condiviso che parla un linguaggio universale e individua obiettivi comuni per la collettività al fine di orientare politiche, azioni e comportamenti di pubblico, privato e non profit.

Per attivare partecipazione e coinvolgimento nell’epoca che stiamo vivendo può venirci in aiuto il digitale. La tecnologia nell’ultimo anno ha invaso le nostre case, ponendoci di fronte a dispositivi e applicazioni inedite o finora sottoutilizzate. Riconoscere il portato della rivoluzione in corso è essenziale per comprenderne le potenzialità, in particolare rispetto alla costruzione di relazioni sociali. Il digitale consente di massimizzare l’efficacia permettendo di incrociare finalità diverse con lo stesso strumento, per esempio utilizzando la stessa piattaforma sia per comunicare e informare sia per coinvolgere e co-progettare.

Il digital reporting in questo senso può diventare un asset fondamentale per costruire sistemi abilitanti oltre che informativi, che favoriscano un rapporto dialogico con stakeholder molto diversi da loro, portatori di diritti e bisogni piuttosto che di interessi, utilizzando la definizione fornita da Cristiana Rogate, presidente di Refe, da anni al lavoro per sviluppare strumenti che rispondano a questi obiettivi. Attraverso la digitalizzazione dei processi di valutazione anche la comunicazione si trasforma: abilita, diventa costante e continuativa, orientata all’apprendimento reciproco, diventa tassello che concorre a quello sviluppo costruttivo di analisi che guida le organizzazioni a prendere decisioni, a comprendere i portati delle proprie scelte. 

Bibliografia

Due miti da sfatare per evitare l’agonia del Terzo settore. (2018, March 26). Vita.

Rogate, C., & Sacconi, L. (2020). Rendicontazione sociale nel non profit e riforma del terzo settore – Documenti di ricerca Gbs n. 17, Franco Angeli Open access.


Nella sezione “approfondimenti” offriamo ai lettori analisi di esperti su argomenti specifici, spunti di riflessione, testimonianze, racconti di nuove iniziative inerenti agli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Gli articoli riflettono le opinioni degli autori e non impegnano l’Alleanza. Per proporre articoli scrivere a redazioneweb@asvis.it. I testi, tra le 4mila e le 10mila battute circa più grafici e tabelle (salvo eccezioni concordate preventivamente), devono essere inediti. 

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