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Nel 2021, la quota di energia primaria da fonti rinnovabili a livello mondiale è arrivata al 13,5%, mentre la quota di produzione mondiale di energia elettrica rinnovabile al 25%. In Italia, al 2020, la media nazionale delle fonti rinnovabili sui consumi lordi finali ha raggiunto il 19%. La produzione elettrica rinnovabile registrata nel 2021 si è attestata al 36% (ma dovrà superare l'80% entro il 2030).

Approfondimenti

Una prima valutazione del Piano nazionale integrato per l'Energia e il Clima

di Toni Federico, Fondazione per lo sviluppo sostenibile, coordinatore Gruppo di lavoro 7-13 dell'ASviS

Il nuovo strumento di pianificazione presentato dall’Italia si fonda sull’obiettivo della transizione energetica verso la decarbonizzazione, puntando sulle energie rinnovabili, e verso l’efficienza e l’uso razionale ed equo delle risorse naturali, mediante l’economia circolare.
Gennaio 2019

Come previsto dal Regolamento sulla Governance dell'Unione dell'Energia, è fatto obbligo ai Paesi membri dell'Ue di preparare nuovi strumenti di pianificazione della transizione energetica, i Piani Energia e Clima, capaci di mettere in campo le strategie e le misure per raggiungere gli obiettivi fissati e recentemente aggiornati per il 2030 e poi allineati strategicamente alle nuove prospettive per il 2050. I Piani saranno oggetto di discussione in sede europea nei prossimi mesi, per arrivare a una versione definitiva entro la fine del 2019.

L’Italia ha presentato la sua bozza in data 8 gennaio 2019 denominandola Piano nazionale integrato per l’Energia e il Clima. È prevista nel corso del 2019 la consultazione dei portatori di interesse nel quadro della Valutazione ambientale strategica (Vas) del Piano.

  1. Lineamenti del Piano Energia e Clima

Per fornire una robusta base analitica al Piano nazionale integrato per l’Energia e il Clima sono stati realizzati uno scenario base che descrive una evoluzione del sistema energetico con le politiche e le misure correnti e uno scenario Pnec che quantifica gli obiettivi strategici del Piano.

La visione dichiarata del Pnec è quella della transizione energetica verso la decarbonizzazione, puntando sulle energie rinnovabili, e verso l’efficienza e l’uso razionale ed equo delle risorse naturali, mediante l’economia circolare. Per questo il Piano intende:

  • accelerare il percorso verso una decarbonizzazione profonda del settore energetico entro il 2050; 
  • promuovere l’autoconsumo e le comunità dell’energia rinnovabile; 
  • trasformare il sistema energetico ed elettrico da centralizzato a distribuito, basato sulle fonti rinnovabili; 
  • continuare a garantire adeguati approvvigionamenti delle fonti convenzionali (gas?);
  • promuovere l’efficienza energetica;
  • promuovere l’elettrificazione dei consumi, in particolare nel settore civile e nei trasporti, per migliorare anche la qualità dell’aria e dell’ambiente; 
  • promuovere le attività di ricerca e innovazione, comprese quelle per l’accumulo dell’energia rinnovabile; 
  • ridurre gli impatti negativi della transizione energetica sul consumo di suolo e sull’integrità del paesaggio; 
  • sottoporre il Piano a Valutazione ambientale strategica.

Saranno adottate politiche e misure orizzontali intersettoriali quali: 

  • una attenta governance del Piano coinvolgendo diversi ministeri, le Regioni, i Comuni, l’Autorità di regolazione, il mondo della ricerca, delle associazioni delle imprese e dei lavoratori;
  • la semplificazione dei procedimenti per la realizzazione degli interventi nei tempi previsti unitamente alla stabilità del quadro normativo e regolatorio;
  • l’aggiornamento e, se necessario, la riforma dei diversi organismi pubblici operanti sui temi energetici e ambientali, per renderli funzionali agli obiettivi di decarbonizzazione profonda per il 2050;
  • la promozione delle attività di ricerca, tra le quali dobbiamo notare che non si fa cenno delle tecnologie per la cattura diretta del carbonio dall’atmosfera. Tali tecnologie, secondo il Rapporto Ipcc SR15 commissionato alla Cop 21 di Parigi per valutare i maggiori impegni che comporta il target dei +1,5 °C, saranno necessarie nella seconda metà del secolo in tutte i percorsi previsti dai diversi modelli;
  • la revisione della fiscalità energetica, diversificata sulla base delle emissioni climalteranti e inquinanti (carbon tax?), con attenzione alle fasce deboli della popolazione e ai settori produttivi che ancora non disponessero di opzioni alternative ai combustibili e carburanti tradizionali; 

Per quanto riguarda ciascuna delle cinque dimensioni dell’Unione dell’energia, il Piano privilegia:

  • La decarbonizzazione: accelerare la transizione dai combustibili tradizionali alle fonti rinnovabili, promuovendo il graduale abbandono del carbone con il phase out entro il 2025. Per i comparti, regolati dall’Effort Sharing (Esr), trasporti e civile residenziale e terziario, saranno promosse misure che tengano conto del potenziale e dei costi della riduzione delle emissioni (?). Per le rinnovabili, se possibile, si cercherà di superare l’obiettivo fissato dal Piano al 30%, che, va notato, è curiosamente una percentuale inferiore non di molto a quella più recente adottata in sede europea. Per il settore elettrico, si intende fare ampio uso di superfici edificate o comunque già utilizzate, valorizzando le diverse forme di autoconsumo, anche con la generazione e l’accumulo distribuiti. 
  • La efficienza energetica: per la cui promozione si prevede di ricorrere a un mix di strumenti di natura fiscale, economica, regolatoria e programmatica. Si perseguirà l’integrazione dell’efficienza energetica in politiche e misure aventi finalità diverse dall’efficienza al fine di ottimizzare il rapporto tra i costi e i benefici delle azioni (?). Per i trasporti la priorità è il contenimento della domanda di mobilità (privata?) e l’incremento della mobilità collettiva, in particolare su rotaia, compreso lo spostamento del trasporto merci da gomma a ferro. Per il residuo fabbisogno di mobilità privata e merci, si intende promuovere l’uso dei carburanti alternativi e in particolare del vettore elettrico. Il Piano punta sull’attuazione dell’Accordo di Parigi mediante investimenti nella transizione energetica, nelle energie rinnovabili e nella lotta contro i cambiamenti climatici.

 

 

  • Sicurezza energetica: perseguire la diversificazione delle fonti di approvvigionamento facendo ricorso, come reiterato nelle precedenti Sen, al gas naturale.
  • Dimensione del mercato interno: promuovere un maggior grado di integrazione dei mercati, le interconnessioni elettriche e il market coupling con gli altri Stati membri. Occorrerà tener conto della trasformazione del sistema indotta dal crescente ruolo delle fonti rinnovabili intermittenti e della generazione distribuita. Grande attenzione sarà prestata alla resilienza dei sistemi, in particolare delle reti di trasmissione e distribuzione.
  • Ricerca, innovazione e competitività: sono tre i criteri fondamentali del Piano:
    • la finalizzazione delle risorse e delle attività allo sviluppo delle tecnologie per le rinnovabili, l’efficienza energetica e le reti;
    • l’integrazione tra sistemi e tecnologie; 
    • vedere il 2030 non come fine ma come una tappa del percorso di decarbonizzazione profonda. 

Nella figura 26 riportata nel testo del Piano si vede la serie storica della spesa per la ricerca e lo sviluppo. Viene presentato un trend al 2020 privo di qualsiasi percepibile aumento, cioè tutto come prima. Serviva un Piano?

Merita una citazione quanto riporta il testo a proposito degli incentivi che si rendono necessari per il rilancio delle fonti rinnovabili. Dice il testo che nell’ultimo decennio, nonostante la crisi economica, gli oneri per il sostegno alle energie rinnovabili e all’efficienza energetica sono sensibilmente cresciuti: considerando i soli incentivi coperti dalle tariffe, si è passati dai circa 3,5 miliardi di euro del 2009 ai circa 15 miliardi di euro del 2017.

Non appare di qui chiara né una analisi critica delle politiche precedenti, che oltrechè costose non hanno avuto la capacità di promuovere un settore industriale italiano dei generatori eolici e fotovoltaici, né quello che dovrebbe essere il molto impegnativo percorso futuro verso la decarbonizzazione totale. Come mostrato in figura “altre misure” sono riconosciute ineludibili.

 

Per concludere questa breve presentazione dei contenuti del Piano riportiamo la tabella 1 del testo che illustra in sintesi i principali target del Piano al 2030 su rinnovabili, efficienza energetica ed emissioni di gas serra.

 

  1. Osservazioni

Con la procedura partecipativa delle bozze, seguite dalla discussione con i vari Paesi membri, l’Ue intende contribuire a dare corso agli Accordi di Parigi spingendo sull’ambizione di ciascuno. L’Unione non nasconde il tentativo di riprendersi la leadership climatica, eventualmente condivisa con la Cina, posto che gli Stati Uniti, almeno per ora e per Donald Trump, intendono abbandonare la compagnia. 

Con questo non è scritto da nessuna parte che i Paesi membri debbano svolgere il loro compitino in maniera pedissequa rispetto ai target europei 2020 - 2030, anzi ai Paesi più avanzati spetta il compito delle proposte più avanzate e il vantaggio competitivo di una transizione più rapida e fruttuosa dal punto di vista economico e commerciale. L’Italia, per la verità, si è finora limitata al compitino, rappresentato dalla versione più recente della Strategia energetica nazionale (Sen), predisposta dal governo precedente nella cornice di un ambizioso sviluppo tecnologico come Impresa 4.0. Di coraggioso nella Sen c’era la chiusura delle centrali elettriche a carbone entro il 2025, decisione difficile quantomeno per l’impianto di Torrevaldaliga nord, che ha meno di dieci anni di vita e comporta gravi problemi di occupazione.

La Sen prevedeva inoltre un target del 55% dei consumi elettrici da fonti rinnovali entro il 2030, pari a 184 TWh l’anno, e un tasso di riduzione dei consumi finali di energia dell’1,5% annuo fino al 2030. Secondo l’Enea, però, nel 2017 i consumi di energia primaria sono aumentati dello 0,8% rispetto all’anno precedente e i consumi finali dell’1,3% circa a fronte di un aumento del Pil dell’1,5%. Il gas naturale resta la prima fonte primaria per il 36,5% del totale. Le rinnovabili hanno generato nel 2017 103 TWh, il 32,3%, 3,4% in meno del 2016 quando la domanda è stata del 34,1%. Non c’è dunque progresso, laddove per la Sen in 15 anni la produzione elettrica rinnovabile avrebbe dovuto aumentare del 70% con 2,3 GW l’anno di nuove installazioni (appena 0,4 GW nel 2017). Le nuove istallazioni di fotovoltaico, eolico e idroelettrico dei primi tre mesi del 2018 sono meno di 138 MW, - 5% rispetto al primo trimestre 2017 (fonte Anie).

Osserva Alberto Clò che dopo un ventennio senza documenti programmatici in campo energetico, a causa del totale fallimento di quelli precedenti degli anni 1975, 1977, 1981, 1985, 1988, il secondo governo Berlusconi aveva inserito in una legge, la 133/2008, la necessità di elaborarne uno nuovo per dar seguito alla rinascita nucleare Progetto poi fortunatamente affossato dal referendum del 2011. Ora di Strategie energetiche ne abbiamo avute addirittura tre nel giro di un quinquennio: nel 2013, con i Ministri Passera e Clini, Governo Monti, 139 pagine; nel 2017, con Calenda e Galletti, Governo Gentiloni, 308 pagine, nel 2018, con Di Maio, Costa, Toninelli, Governo Conte, 238 pagine. Quest’ultimo, il già citato Piano nazionale integrato per l’Energia e il Clima è stato siglato per la prima volta da tre dicasteri, Mise, Mattm e Mit, anziché dal solo Mise, e inviato in bozza Bruxelles l’8 gennaio 2019, per innescare la procedura che porterà alla formalizzazione del Governo alla fine dell’iter europeo, con valore normativo vincolante e sanzionabile.

Nemmeno questa terza versione è però capace di dare corpo alle ambizioni cui dovrebbe aspirare un Paese come l’Italia. l’Italia avrebbe tutto da guadagnare, fa notare la Legambiente, dal porsi come capofila nella transizione energetica, aiutando così il suo sistema di imprese a sviluppare una maggiore competitività, a risparmiare nei costi energetici e ad autoprodurre l’energia di cui ha bisogno. Anche da un punto di vista politico la incolore scelta al ribasso del nuovo Piano appare difficile da comprendere alla luce degli annunci delle forze di governo in campagna elettorale e di una quantità di prese di posizione pubbliche, che dichiaravano che si sarebbe fatto meglio della Sen proposta dal ministro Calenda nella scorsa legislatura.

I target al 2030 di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra sono suddivisi fra settori regolati dalla Direttiva Eu Ets (grandi impianti, grandi emettitori) e gli altri settori (come i trasporti, riscaldamento, agricoltura, rifiuti e piccoli impianti) rientranti nel Regolamento Effort Sharing (Esr). Per la parte Ets l'obiettivo a livello europeo al 2030 consiste in una riduzione delle emissioni del 43% rispetto al 2005: con le misure del Piano si avrebbe invece, secondo le stime del Governo, uno scenario con una riduzione del 55,9%. Per la parte Esr l'obiettivo 2030 indicato per l'Italia dalla Ue è pari a un taglio delle emissioni del 33% sempre rispetto al 2005: con le misure del Piano, sempre secondo le stime del Governo, si avrebbe uno scenario di riduzione del 34,6%.

Osserva Edo Ronchi che invece, rispetto al 1990, con i due scenari stimati dal governo si arriverebbe a una riduzione complessiva delle emissioni nazionali di gas serra del 37%, inferiore a quello medio fissato a livello europeo al 40%, che pure è insufficiente a contenere l’anomalia termica globale al di sotto dei 2°C, come stabilito dall'Accordo di Parigi. Infatti con questi obiettivi, secondo le proiezioni della stessa Commissione, l’Europa è in grado di ridurre le sue emissioni solo dell’80% entro il 2050 contro le emissioni zero che sono da conseguire a quella data secondo il recente rapporto speciale Ipcc SR15.

Alla recente Cop 24 di Katowice l’Europa, come partner della Coalizione degli Ambiziosi, si è assunta l’impegno di rivedere entro il 2020 gli attuali obiettivi al 2030 andando ben oltre il 55% già proposto da diversi governi e dall’Europarlamento. I nuovi impegni dovranno stare nelle versioni finali dei Piani e quindi anche nel nostro, che nasce così già superato.  

Per le rinnovabili al 2030 lo scenario di piano prevede di raggiungere il 30% dei consumi finali lordi: un valore inferiore all'obiettivo europeo del 32% e lontano da quel 35% che l'attuale governo aveva sostenuto, prima dell'estate 2018, nel corso della trattativa europea sulla nuova Direttiva rinnovabili (Red II). Tale obiettivo sarebbe così articolato: il 55,4 % di rinnovabili nel settore elettrico (16 Mtep), il 33% in quello termico (14,7 Mtep) e il 21,6% nel settore trasporti (2,3 Mtep, calcolate utilizzando i moltiplicatori previsti dalla Red II). Nel complesso, i consumi finali da fonti rinnovabili passerebbero secondo lo scenario di Piano dagli attuali 21 Mtep a 33 Mtep nel 2030: in media, quindi, circa 1 Mtep in più ogni anno. 

Nella bozza di Piano meritano una citazione gli artt. 21 e 22 che cancellano i divieti anacronistici ancora presenti nel nostro Paese, ristabilendo i diritti di chi si autoproduce l’energia che consuma, i cosiddetti prosumer, ossia i produttori/consumatori, e le regole che devono essere rispettate nei Paesi membri per non discriminarli. Inoltre, sono introdotte le Renewable energy communities, con il diritto di aggregare soggetti capaci di generare, consumare, stoccare e anche vendere energia prodotta da fonti rinnovabili. Dai distretti produttivi ai quartieri e ai condomini queste novità, tra l’altro a costo zero, possono essere di grande utilità e favorire la ripresa dell’espansione delle rinnovabili, oggi ferme.

Per quanto riguarda l'efficienza energetica, il Piano al 2030 prevede una riduzione dei consumi finali di energia del 40%rispetto allo scenario tendenziale definito prima della crisi: una performance migliore dell'obiettivo europeo del 32,5% posto dalla nuova Direttiva sull'efficienza energetica (Eed II), che comporterebbe una riduzione dei consumi finali dagli attuali 116 Mtep a poco più di 100 Mtep nel 2030.

Nel settore dei trasporti, critica Angelo Bonelli, la diffusione complessiva prevista dal Piano di sei milioni di veicoli ad alimentazione elettrica, di cui circa 1,6 milioni veicoli elettrici puri, è solo un’indicazione astratta non supportata da politiche e coperture economiche per realizzarla. Nell’ultima legge di bilancio è stata approvata una norma sperimentale che consentirà l’erogazione di incentivi per le auto elettriche e ibride che, dato lo stanziamento, consentirebbe l’immatricolazione di sole 10mila auto l’anno. Impossibile così raggiungere gli obiettivi delineati dal Piano Energia e Clima ed inoltre tale norma è affetta da un singolare strabismo perché privilegia le auto di lusso rispetto a quelle medie e piccole.

La proposta di Piano riporta un elenco articolato di misure. Tuttavia, gli impatti attesi sono presentati per lo più in maniera aggregata e non specificati per ogni singola misura. Senza la quantificazione di tutte le misure specifiche, e delle relative coperture economiche quando necessarie, non è possibile valutare l'effettiva adeguatezza degli strumenti prospettati in relazione agli obiettivi indicati. Il problema è riconosciuto nella stessa bozza del Piano che annuncia che esso dovrebbe essere in tal senso integrato, prima dell'approvazione della versione finale prevista per fine 2019, durante la consultazione che è stata annunciata e la realizzazione della Valutazione ambientale strategica, che sarà applicata alla proposta Pnec dell’8 gennaio.

Alla luce delle molteplici e significative osservazioni critiche, espresse qui ed in altre sedi, per lo più condivise con la maggioranza degli operatori, ASviS intende proporsi attivamente come stakeholder nel procedimento di valutazione strategica del piano.

Aderenti

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