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Senza il multilateralismo, nessun processo di sostenibilità ecologica
Rinnovabili, Europa, diplomazia, migrazioni: questi i temi al centro del convengo nazionale ASviS. Presentato il Quaderno dell’Alleanza sulla transizione giusta. Interventi di Sereni, Sachs e corrispondenti Rai. 13/10/22
L’Unione europea può guidare il percorso per il raggiungimento degli Obiettivi dell’Agenda 2030, ma serve la cooperazione di tutti i Paesi. Questo il messaggio fuoriuscito dal convegno del 12 ott “La transizione ecologica: sfide e opportunità in Italia e nel mondo”, uno dei tre appuntamenti organizzati direttamente dall'ASviS all’interno del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2022.
“Non era mai successo prima che la Costituzione fosse modificata nei suoi principi fondamentali, e per la prima volta viene modificata per inserire l’importanza e il valore della tutela ambientale”. Queste le parole di Marina Sereni, vice ministra degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, intervenuta in apertura del convegno, che ha commentato la modifica degli articoli 9 e 41 della Costituzione, complimentandosi con l’ASviS per essere stata “tra le promotrici più efficaci di questa riforma”.
Sereni ha poi analizzato le ragioni dei ritardi nel raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) a livello globale. “Ci sono crisi multidimensionali, alcune di queste strutturali, altre invece più recenti”, ha detto la vice ministra. “Queste emergenze ci hanno fatto perdere un po’ la rotta, e su alcuni SDGs abbiamo registrato perfino una regressione. Ma proprio per questo dobbiamo continuare a tenere fermi i principi dell’Agenda 2030, in uno sforzo che non può che essere orientato al multilateralismo”. Sereni ha poi aggiunto che le azioni dei singoli cittadini, come riciclare, risparmiare energia, non sprecare cibo e acqua “possono fare la differenza”. Per questo, è fondamentale la promozione di buone pratiche e l’educazione a una cittadinanza attiva.
In foto da sinistra: Jeffrey Sachs, Pierluigi Stefanini
A seguire è intervenuto Jeffrey Sachs, presidente del Sustainable development solutions network (Sdsn). “È importante comprendere lo sviluppo sostenibile in modo olistico: riguarda la dimensione ambientale, ma anche quella sociale ed economica. L’Agenda 2030 da questo punto di vista è molto ambiziosa, e necessita di una governance altrettanto ambiziosa”. Per questo, ha dichiarato Sachs, “una strategia di sviluppo sostenibile a livello globale è l’unica cosa sensata”, anche se il problema è la mancanza di collaborazione tra gli Stati, una collaborazione che deve includere anche un maggior sostegno finanziario ai Paesi in via di sviluppo.
Il presidente del Sdsn si è quindi concentrato sul ruolo dell’Europa, “alla testa” di questa lotta al cambiamento climatico, e su alcune carenze dimostrate dall’Ue nelle attività diplomatiche più recenti. “L’Europa può svolgere un ruolo molto più importante e costruttivo di quello attuale. E per questo dovrebbe tornare alla diplomazia, non solo agire attraverso la Nato. L’Europa non è la Nato, ma le due cose si stanno assomigliando molto. E questo è un peccato. Perché l’Europa è migliore della Nato. L’Europa ha dei valori che sono i nostri valori universali e che dovrebbe portare avanti. Solo così possiamo arrivare a uno sviluppo sostenibile, non certo aumentando la militarizzazione”.
Pierluigi Stefanini, presidente dell’ASviS, ha presentato il Quaderno dell’Alleanza “La transizione ecologica giusta”, un documento prodotto con l’obiettivo di fornire “un approccio sistemico ai tanti temi che legano il processo di transizione”, dalla dimensione ambientale a quella sociale, dalla dimensione economica a quella istituzionale. “È stato un impegno elaborativo molto importante, durato diversi mesi. Questo documento è abbastanza unico nel panorama nazionale”, ha commentato Stefanini.
Il presidente dell’ASviS ha esposto alcune delle proposte contenute nel documento. Tra queste, la necessità di “valorizzare le specificità geografiche del nostro Paese”, per intensificare gli investimenti sulle rinnovabili. L’Europa, ha ricordato il presidente, stima che da qui al 2050 almeno il 50% delle energie rinnovabili sarà prodotto dai territori, dal basso. Tra le altre proposte menzionate da Stefanini, la necessità di adottare un “piano sociale per il clima”, di grande rilevanza in questo momento di forte crisi energetica, la “ristrutturazione del reparto edilizio e la rigenerazione urbana”, la prevenzione sanitaria e la preservazione del ruolo dei giovani, di cui bisogna liberare “il potenziale creativo”.
“Sottolineiamo il fatto che la transizione ecologica conviene”, ha concluso Stefanini. “Ogni euro investito nel ripristino della natura restituisce da 8 a 38 euro. È ormai risaputo che le imprese che investono nella sostenibilità sono quelle più performanti”.
A seguire si è tenuta la tavola rotonda dal titolo “Cooperazione, equità, inclusività e investimenti”, moderata da Giuseppina Paterniti Martello, direttrice editoriale per l'Offerta informativa Rai. Il primo a intervenire, in collegamento, è stato Donato Bendicenti, corrispondente Rai da Bruxelles.
In foto: Donato Bendicenti
“La transizione è uno dei pilastri fondanti del governo europeo, un’idea che non ha mai smesso di accompagnare l’azione dell’Unione, nemmeno durante la pandemia e, ora, la guerra”. Per Bendicenti, l’Unione si è posta sicuramente obiettivi ambiziosi – arrivare al 2050 senza emissioni, e al 2030 ridurle del 55% – ma non irraggiungibili. “L’obiettivo è puntare sulle rinnovabili, e su questo ci sono dati interessanti. Le fonti rinnovabili dovrebbero arrivare, secondo gli obiettivi Ue, al 45% del paniere entro il 2030. Già oggi rappresentano il 37% della produzione di energia elettrica”. Bendicenti ha concluso parlando di tassonomia, e della scelta di includere il gas come fonte energetica di transizione e l’energia nucleare come fonte di stabilizzazione. Il giornalista ha quindi identificato due gruppi di opinione sul nucleare: la Francia, “che crede nell’energia nucleare”, e la Germania, “che ha dei dubbi”.
In foto: Giovanna Botteri
Proprio dalla Francia è intervenuta Giovanna Botteri, corrispondente Rai da Parigi. “La situazione qui è particolare, perché c’è il nucleare”, ha dichiarato la giornalista, “una ventina di centrali che stanno rientrando in produzione, per assicurare sufficiente energia per l’inverno”. Ma anche la spinta sulle rinnovabili è molto forte, ha ricordato Botteri. “Il problema per Marcon è che la Francia, secondo il piano di battaglia varato ormai sei anni fa, dovrebbe essere completamente indipendente, quindi usufruire di energie verdi e alternative per la totalità dei suoi fabbisogni, non prima del 2050 o 2060. Cosa fare fino a quella data?” La risposta per Macron è il nucleare di terza generazione, più ecologico, pulito e sicuro. “Di sicuro c’è che le centrali attualmente in funzione (ce ne sono 56 in Francia) non sono di terza generazione”, ha aggiunto Botteri. “Si stanno costruendo 25 nuove centrali, e queste opereranno tra 5-6 anni, e sono fatte secondo questa nuova idea di nucleare pulito e sicuro”. Botteri ha poi concluso sulle misure efficaci che si sono attuate in Francia per imporre un tetto al prezzo dell’energia, ma soprattutto per diffondere le rinnovabili: “Qui mettere i pannelli solari sui tetti è molto più facile che in Italia, i permessi vengono dati quasi subito e ci sono incentivi importanti”.
Rino Pellino, corrispondente Rai da Berlino, ha parlato invece di transizione ecologica come “una torta a tanti strati”, specialmente in Germania, un Paese che sulla questione “mostra tante luci ma tantissime ombre”. Tra le ombre, ha sottolineato Pellino, il ruolo del gas. “In tutta la campagna elettorale, i Verdi si sono opposti a far entrare in funzione il Nord Stream 2, perché tanto c’era il Nord Stream 1”. Appena arrivati al governo, però, ha riportato Pellino, si è registrato un passo indietro, “per mandare avanti l’industria e il sistema di riscaldamento”. Per il corrispondente, la guerra, da questo punto di vista, “è stata uno spartiacque”. “Per tanti versi le rinnovabili vanno avanti lo stesso, il problema è che i soldi stanziati prima sono stati destinati ad altro”. Pellino ha riportato l’esempio delle forze armate tedesche, verso cui sono stati stanziati “improvvisamente” cento miliardi. “Due giorni dopo, il governo ha deciso di stanziare 200 miliardi per le politiche verdi: ma senza dire come, dove e quando”.
“La lotta per l’energia è sempre stata una lotta di potere”, ha concluso Pellino. “È miope pensare che ora tutti quegli interessi siano scomparsi, e che tutte le grandi multinazionali che gestiscono le fonti fossili si mettano da parte e facciano strada alle fonti rinnovabili”.
In foto da sinistra: Chiara Cardoletti, Luca Maestripieri, Giuseppina Paterniti Martello
A seguire ha parlato Chiara Cardoletti, rappresentante Unhcr per l'Italia, la Santa Sede e San Marino, che he evidenziato le connessioni tra riscaldamento globale e migrazioni. “I cambiamenti climatici stanno avendo un impatto sempre più forte sul flusso di persone nel mondo. La maggior parte dei rifugiati vengono oggi da Paesi che hanno subito eventi climatici estremi”. Per questo Cardoletti ha richiesto che venga data ai rifugiati la possibilità di “stabilizzarsi dove sono”, dialogando con i Paesi ospitanti, “che devono essere finanziati adeguatamente per questo lavoro di accoglienza”, investendo anche sull’adattamento dei Paesi a rischio, per aiutarli a diventare più resilienti.
Luca Maestripieri, direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) ha dichiarato: “Ci stiamo organizzando per mettere la transizione ecologica al centro della nostra azione”. Maestripieri ha parlato delle problematiche legate alle forniture energetiche nei Paesi in via di sviluppo: “Il problema è come agevolare forme di energia rinnovabile in un contesto in cui manca l’energia, e le persone non possono aspettare troppo”, ha affermato. “L’aiuto pubblico può ritagliarsi degli spazi che possono fare la differenza nelle zone più vulnerabili e remote”, ma servono anche finanziamenti privati.
In foto: Massimo Gaudina
Massimo Gaudina, capo della Rappresentanza della Commissione europea a Milano, ha confermato il ruolo di leadership che l’Unione ha assunto nella lotta al cambiamento climatico. “Si può crescere e al tempo stesso inquinare di meno, e su questo l’Europa è un modello. Abbiamo una Legge sul clima, siamo l’unico continente ad averla”. Gaudina si è poi detto convinto che “l’effetto finale di questo periodo sarà un’accelerazione del Green Deal”, come è accaduto per la pandemia e i vaccini, dove “c’è stato uno shock iniziale, e poi una risposta straordinaria. L’Europa vuole accelerare e non diminuire sulla transizione energetica”.
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Per Liliana De Marco, direttrice di external relations & partnerships dell’International development law organization (Idlo), i problemi più significativi riguardano l’equità e la giustizia climatica. “Ci sono 200 milioni di persone che si sposteranno nei prossimi 25 anni a causa della scarsità di risorse e del cambiamento climatico, e sono gli stessi gruppi che hanno meno accesso alla giustizia e alla governance. Queste persone devono diventare agenti del cambiamento e non vittime di queste transizioni”. A maggior ragione per il fatto che le comunità indigene e locali, ha aggiunto De Marco, rappresentano il 20% della popolazione, ma gestiscono o sono custodi dell’80% delle risorse globali.
Per Enrico San Pietro, insurance general manager nel Gruppo Unipol e UnipolSai, il sistema finanziario ha una grande responsabilità nell’orientare le scelte globali. “Aderiamo da quest’anno alla Net zero asset owner alliance, ovvero investitori istituzionali che si sono riuniti sotto l’egida delle Nazioni Unite per contrastare il cambiamento climatico tramite delle scelte di investimento”. Sul tema assicurativo, ha concluso San Pietro, “siamo alla ricerca di soluzioni che permettano al tempo stesso di promuovere un approccio più responsabile e produttivo, e rendano questo vantaggioso dal punto di vista assicurativo”.
Matteo Ward, cofondatore e Ceo di Wråd, ha rilasciato alcuni commenti sul rapporto tra settore tessile e crisi climatica. “Siamo una delle industrie più inquinanti a livello globale, ma siamo un’industria non essenziale. Rubiamo energia, acqua, terra, risorse essenziali per garantire la vita sul pianeta, per fare magliette, jeans e pantaloni che, tolta la funzione psicologica, tolta la funzione culturale, nessuno necessita in queste quantità”. Per Ward, le cifre si aggirano intorno alle 102 milioni di tonnellate di vestiti ogni anno, “più del 70% fatto con plastica, e solo l’1% viene propriamente riciclato”. Per Ward, la soluzione sta in una nuova generazione di imprese, capaci di rivedere il loro ruolo. Inoltre, bisogna “andare a risolvere la causa della malattia”. “Il 70% di quello che indossiamo è fatto di fibre sintetiche e plastica”, ha aggiunto Ward. Invece di raccogliere microplastiche dai laghi, il Ceo di Wråd si domanda: “C’è una legge italiana che vieta la produzione così estesa e aggressiva di capi di abbigliamento in plastica, che è la sorgente primaria di microplastiche nei laghi e nei mari? No”.
In foto da sinistra: Enrico San Pietro (in collegamento), Liliana De Marco, Matteo Ward, Giuseppina Paterniti Martello
Al presidente dell’ASviS Pierluigi Stefanini sono state affidate le conclusioni del convegno: “L’Europa è una composizione di Paesi diversi, e la capacità di portare una sintesi è complessa, ma bisogna crederci”, ha dichiarato Stefanini. “Si tratta di politiche difficili, complesse e impegnative. Ma l’ASviS esiste per questo: favorire il processo di convergenza”.
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di Flavio Natale