Notizie
Sei misure chiave per una gestione sostenibile e congiunta di acqua ed energia
Completamento delle opere incompiute, avvio del Piano Invasi, desalinizzazione tra le azioni più urgenti, secondo uno studio Enel-Althesys. Serve un’autorità idrica territoriale integrata a cui affidare la gestione idrica. 11/11/20
Uno studio realizzato da Enel Foundation insieme ad Althesys ha stimato i potenziali benefici che potrebbero derivare da una gestione congiunta dell’elettricità e dell’acqua verso modelli più sostenibili. Esiste una forte interdipendenza tra acqua ed energia: la prima è impiegata in tutti i processi di produzione dell’energia e questa, a sua volta, è necessaria in tutte le fasi di prelievo, trasporto e trattamento dell’acqua. Il rapporto “Energy for water sustainability: sviluppare le sinergie elettrico-idrico per la sostenibilità”, presentato il 21 ottobre, rileva come l’accelerazione degli effetti dei cambiamenti climatici renda ancora più strette le connessioni tra i due settori, accentuando gli stress ai quali sono sottoposti il territorio e le diverse infrastrutture. Da qui nasce l’esigenza di una nuova “visione” delle risorse idriche per l’industria elettrica: da elemento complementare per la gestione degli impianti a fattore chiave da includere in strategie integrate di sostenibilità e sicurezza. Lo studio calcola che le possibili sinergie tra il settore elettrico e quello idrico potrebbero portare a un contributo potenziale di 5,9 Terawattora annui di energia e al recupero di una disponibilità d’acqua di 2,8 miliardi di metri cubi, pari al 20% del volume delle grandi dighe italiane. “L’acqua è l’oro blu, il bene primario per eccellenza”, ha dichiarato Carlo Tamburi, direttore Italia del Gruppo Enel, nel corso del webinar “Energy for water sustainability 2020”, aggiungendo: “Per produrre energia sostenibile e per contrastare i fenomeni legati al cambiamento climatico è necessario promuovere un uso consapevole di questa risorsa, elemento strategico connesso a economia circolare, creazione di filiera e rapporto con il territorio”. Giuseppe Montesano, vicedirettore di Enel Foundation, ha aggiunto: “Lo studio conferma come la transizione in atto verso un modello energetico più sostenibile possa generare valore e opportunità”.
La prima parte del report esamina il quadro attuale delle risorse idriche in Europa per concentrarsi poi sull’Italia. Nel nostro Paese, il settore idrico, nei suoi vari comparti, presenta criticità così come casi d’eccellenza. Nel complesso, l’infrastruttura nazionale è piuttosto datata: il 36% delle condutture ha un’età compresa tra i 31 e i 50 anni e il 22% supera i 50 anni. Allo stesso tempo, rileva lo studio, l’acqua è un bene sovrasfruttato e le crisi idriche degli ultimi anni stanno esasperando la situazione. Alcune attività dell’industria elettrica, oltre al tradizionale idroelettrico, possono offrire soluzioni per ottimizzare la gestione idrica. Parallelamente, alcune infrastrutture per l’idrico possono offrire opportunità di sviluppo e sinergia al sistema elettrico. D’altronde, i settori idrico ed energetico sono in una fase di profondo mutamento, dovuto all’azione di fattori diversi tra loro: il cambiamento climatico, l’evoluzione delle tecnologie (Internet delle cose, smart metering, sensori per il monitoraggio), modelli gestionali di uso e consumo (la nascita dei prosumer, produttori e consumatori insieme dell’energia), gli obiettivi europei in ambito energetico (2030 Climate and Energy Framework), la sostenibilità come tema sempre più trasversale, i trend demografici e l’urbanizzazione.
Nella seconda parte lo studio esamina il ruolo dell’industria elettrica come motore della sostenibilità idrica, nonché nella conservazione dell’acqua e tutela del territorio. Per raggiungere la supply security, sia idrica che energetica, e fronteggiare le crisi climatiche, lo studio avanza una serie di proposte:
- l’ultimazione delle opere incompiuteancora presenti nel nostro Paese consentirebbe una produzione elettrica addizionale stimata in quasi 30 Gigawattora annui, con una disponibilità idrica aggiuntiva di circa 850 milioni di metri cubi;
- il rinnovamento dei grandi bacini idroelettrici, che costituiscono la quota principale dell’attuale generazione rinnovabile, potrebbe fornire un contributo rilevante non solo sul lato energetico, ma anche su quello idrico. Lo studio stima in circa 4 Terawattora l’apporto all’energy supply security e in 900 milioni m3 quello alla sicurezza idrica;
- gli accumuli a pompaggio, una delle soluzioni individuate anche nel Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) per garantire l’equilibrio del sistema elettrico italiano, potrebbero portare potenzialmente fino a 2,5 Terawattora di generazione elettrica addizionale, con un’attenzione particolare sulla possibilità di riconvertire infrastrutture già esistenti nel Centro-Sud;
- gli impianti di desalinizzazionepotrebbero aiutare a fronteggiare la scarsità idrica, in particolare nelle isole minori, se abbinati a installazioni di generazione elettrica da rinnovabili.
- il ricorso a vasche di laminazione e altri bacini eviterebbe allagamenti e inondazioni anche nei centri urbani;
- il Piano Invasi, già finanziato con 250 milioni di euro per 30 interventi nel periodo 2018-22, potrebbe essere una soluzione già pronta e da attivare in tempi brevi, con l’obiettivo di andare nella direzione di un Piano nazionale di piccoli e medi invasi di ben più ampia portata e che comporterebbe 20 miliardi di euro di investimenti stimati, con importanti ricadute economiche ed occupazionali per il Paese.
Molti di questi aspetti coinvolgono l’idroelettrico, una risorsa di grande potenzialità che “può svolgere una serie di servizi aggiuntivi per la collettività rispetto alla sola generazione di energia”, si legge nello studio, che invita l’industria elettrica ad investire con più forza in questo comparto. Tuttavia, anche altre rinnovabili, come eolico e solare, sebbene contribuiscano all’impronta idrica (cioè il consumo diretto e indiretto di acqua dolce) in misura nettamente inferiore, potrebbero portare in Europa ad una riduzione dei consumi d’acqua fino a 1,6 miliardi di metri cubi.
Uno dei temi centrali dello studio è il ruolo che l’energia può assumere per soddisfare il fabbisogno idrico per mezzo della desalinizzazione dell’acqua del mare. Una soluzione usata soprattutto in alcuni Paesi del Vicino e Medio Oriente, poveri d’acqua ma ricchi di risorse energetiche, ma che potrebbe essere di grande utilità anche in Italia, specialmente nelle piccole isole e in alcune zone del Sud, aree che i cambiamenti climatici espongono a un maggiore rischio di desertificazione. Oltre ai costi ancora elevati, le ricadute ambientali sono l’altra questione principale per la sostenibilità di lungo periodo della desalinizzazione. In questo senso, ricorda lo studio, il ricorso alle rinnovabili può costituire un punto di svolta, sia nel favorirne la sostenibilità, sia nel ridurne i costi operativi. Va ricordato che l’uso delle rinnovabili negli impianti di desalinizzazione è aumentato negli ultimi anni, ma copre ancora una quota limitata della capacità mondiale: di questa, oltre il 40% usa il fotovoltaico, il 10% il solare termico, il 20% l’eolico, mentre il resto è coperto da impianti ibridi che impiegano più fonti rinnovabili.
L’ultima parte dello studio contiene alcune proposte di policy per sviluppare le sinergie tra elettrico e idrico. “Sono necessarie politiche proattive che, attraverso soluzioni win-win, coinvolgano in modo coordinato i vari settori: energia, industria, agricoltura, utility, nell’ottica dell’uso plurimo della risorsa”, ha spiegato Alessandro Marangoni, ceo di Althesys strategic consultants e a capo del team di ricerca. In questa logica, si inserisce anche la proposta di istituire un’autorità idrica territoriale integrata, finora assente, a cui affidare la pianificazione e la gestione complessiva degli utilizzi idrici. Altro fattore rilevante è il tempo: secondo lo studio, in Italia sono necessari percorsi facilitati con tempi certi per attuare efficacemente molti degli interventi, in particolare quelli sulle opere esistenti, per le quali sono già state svolte valutazioni di impatto ambientale e processi di autorizzazione. Infine, i finanziamenti: oltre a programmi europei connessi al Green deal, si richiede il ricorso a strumenti finanziari specifici, come green bond e infrastructural fund, in grado di mettere in sicurezza il territorio e l’ambiente. Molti degli interventi, conclude lo studio, potrebbero entrare a pieno titolo nel Piano nazionale di rilancio e resilienza (Pnrr) in corso di definizione.
di Andrea De Tommasi