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Istat: giovani “risorsa sempre meno disponibile”, serve investire su di loro
Presentato il Rapporto annuale dell’Istituto. Aumentano gli occupati ma non tra i giovani: uno su cinque è un Neet. Nascite per la prima volta sotto quota 400mila. Puntare su Piano asili nido e riqualificazione edilizia scolastica. 11/7/23
È stato presentato il 7 luglio alla Camera dei deputati il Rapporto annuale dell’Istat, documento di riferimento per comprendere l’andamento presente (e futuro) dell’Italia sul piano economico, demografico, territoriale. Le notizie che escono fuori dal Rapporto, commentato da Francesco Maria Chelli, presidente dell’Istituto, non sono particolarmente rassicuranti, in particolare per i giovani, anche se si individuano anche segnali positivi.
Tra gli aspetti più promettenti, i dati riguardanti l’economia nazionale. Secondo l’Istat, l’evoluzione del mercato del lavoro è stata positiva. Tra il 2022 e i primi mesi del 2023 “l’aumento degli occupati si è associato a una diminuzione dei disoccupati e degli inattivi”. L’Istituto registra inoltre, nel primo trimestre del 2023, una “dinamica congiunturale” per il Pil superiore a quella degli altri Stati Ue e favorita soprattutto dalla crescita del settore dei servizi.
I giovani, tra lavoro e istruzione
La stessa musica non suona però uguale per tutti. Il Rapporto dedica quest’anno particolare attenzione ai giovani. La fascia d’età compresa tra 18 e 34 anni è considerata dall’Istituto quella più a rischio: nel 2022, il 47,7% dei giovani mostra “un segnale di deprivazione” in uno dei domini principali del benessere (istruzione e lavoro, coesione sociale, salute, benessere soggettivo, territorio). Di questa fetta di giovani il 15,5% (pari a 1,6 milioni) sono “multi-deprivati” – mostrano cioè sintomi di deprivazione in almeno due domini. Questi livelli sono particolarmente elevati nella fascia di età compresa tra 25 e 34 anni, la più vulnerabile in assoluto.
In Italia inoltre la “trappola della povertà” – ovvero quel meccanismo per cui se si nasce in una famiglia in condizioni economiche disagiate si rischia di versare da adulti in condizioni simili – è più diffusa che in altri Paesi europei. Quasi un terzo degli adulti (25-49 anni) attualmente a rischio povertà proviene da una storia familiare di condizioni finanziarie critiche.
Un fenomeno che può essere combattuto attraverso l’istruzione, da cui giungono notizie abbastanza confortanti. Nel 2022, l’abbandono scolastico ha registrato un’ulteriore diminuzione. Si parla del 13,6% (nel 2012 era oltre il 20%) per i ragazzi compresi tra i 18 e i 24 anni, mentre questa percentuale scende al 9,1% per le ragazze – quando nel 2012 arrivavano al 14,3%. Questi valori restano comunque alti (rispettivamente +2,5 e + 1,1 punti percentuali) confrontati con i valori medi Ue.
Scarseggiano invece gli investimenti nell’istruzione: secondo l’Istat il nostro Paese impegna solo il 4,1% del Pil, a fronte del 4,5% della Germania, il 4,6% della Spagna, il 5,2% della Francia e una media Ue del 4,8%. Il Rapporto sottolinea inoltre che “l’Italia spende per le prestazioni sociali erogate alle famiglie e ai minori una quota rispetto al Pil molto esigua”, corrispondente all’1,2% – mentre in Francia si arriva al 2,5% e in Germania al 3,7%. L’investimento nei primi anni di vita, in particolare, è riconosciuto come il più efficace nel ridurre i divari ereditati dal contesto socio-economico di origine.
“Quasi un quinto dei giovani tra 15 e 29 anni in Italia non lavora e non studia (i cosiddetti Neet, ndr)”, si legge nel Rapporto. Si tratta del dato più elevato tra i Paesi Ue, dopo la Romania. Il fenomeno dei Neet colpisce più le ragazze (20,5%) dei ragazzi (17,7%), ed è diffuso soprattutto nella fascia d’età tra 25 e 29 anni (dove riguarda un giovane su quattro), nel Mezzogiorno (27,9%) e tra gli stranieri, che presentano un tasso del 28,8%, superiore di 11 punti percentuali a quello degli italiani 15-29enni. La forbice si allarga nel caso delle ragazze: 37,9% di giovani straniere contro il 18,5% di ragazze italiane.
Le risorse finanziarie impiegate per uscire dalla crisi (a partire dal Pnrr) devono dunque essere orientate verso investimenti che rafforzino il benessere dei giovani, nelle varie fasi della vita. “Il Programma Next Generation Eu rappresenta la principale risposta dell’Europa per porre le basi di una nuova partenza dopo la crisi pandemica”, si legge nel Rapporto. “La centralità posta dall’Unione europea sul fattore ‘giovani’ si rispecchia nella scelta di intitolare il Programma proprio alle ‘nuove generazioni europee’”. Secondo l’Istat, i giovani sono una risorsa che sarà sempre “meno disponibile” e va perciò tutelata e promossa.
Il Pnrr individua nella riduzione del divario intergenerazionale una delle priorità trasversali da raggiungere, e prevede investimenti volti a migliorare i livelli e la qualità dell’occupazione giovanile, la riduzione della dispersione scolastica e il miglioramento dei livelli di competenze. In questo quadro, per l’Istituto due interventi sono particolarmente rilevanti: il Piano asili nido e scuole dell’infanzia e i servizi di educazione e cura per la prima infanzia (4,6 miliardi di euro), e il Piano di messa in sicurezza e riqualificazione dell’edilizia scolastica (3,9 miliardi di euro).
Le risorse messe a disposizione dal Pnrr devono essere inoltre impiegate per “accelerare il percorso dell’economia e della società italiana verso la rivoluzione verde e la transizione ecologica” oltre che per “rafforzare la resilienza dei sistemi produttivi ai cambiamenti, in particolare quelli causati dalle variazioni del clima”.
Una popolazione che invecchia
L’Italia è un Paese che sta invecchiando sempre di più, secondo l’Istat. Nel 2022 le nascite sono calate rispetto al 2019 (circa 27mila in meno) raggiungendo il nuovo record (negativo) di 393mila – per la prima volta dall’Unità d’Italia si è scesi sotto quota 400mila. La fecondità della popolazione residente è tornata ai livelli del 2020 (1,24 figli in media per donna nel 2022), ma resta al di sotto del periodo pre-pandemico (1,27 nel 2019).
“La persistente bassa fecondità è uno dei tratti distintivi dell’evoluzione demografica del nostro Paese e ha prodotto negli ultimi decenni una consistente erosione della platea dei potenziali genitori”, si legge nel Rapporto. È stato registrato anche un alto numero di decessi, pari a 713mila. In base a questi dati, l’Istat prevede tra il 2021 e il 2050 una riduzione della popolazione residente di quasi cinque milioni di individui, per un totale di 54 milioni di residenti.
L’Istituto stima anche che cambierà la struttura per età della popolazione. Tra il 2021 e il 2041 la fascia di età fino ai 24 anni si ridurrà del 18,5% (2,5 milioni di giovani in meno) e quella tra 25 e 64 anni del 16,7% (5,3 milioni), mentre invece crescerà di quasi un milione la popolazione tra 65 e 69 anni (+27,8%) e di 3,8 milioni (+36,2%) quella degli ultrasettantenni.
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Ripartire da capitale umano e innovazione
“Lo sviluppo e la valorizzazione del capitale umano sono fondamentali”, si legge nel Rapporto, “sia per migliorare la produttività e la competitività del sistema produttivo, sia per favorire una maggiore equità e inclusione sociale”.
Per l’Istat, la formazione del capitale umano deve avvenire attraverso l’istruzione e la formazione formale, così come attraverso l’aggiornamento continuo e la formazione sul luogo di lavoro. Questa necessità è resa ancora più evidente dal rafforzamento del settore dei servizi, “a maggiore contenuto di conoscenza” e caratterizzato da un più frequente utilizzo di nuove tecnologie. “Il diploma secondario superiore è considerato il livello di formazione minimo per attivare un processo di apprendimento basato su nuove tecnologie e competenze”.
Secondo i dati, nel 2022 in Italia il 63% dei 25-64enni detiene almeno un titolo di studio secondario superiore – contro l’83,3% di Germania e Francia e il 79,5% della media Ue. Nella stessa fascia di età, anche la percentuale di chi ha un titolo di studio terziario (20,3%) è inferiore alla media europea (34,3%), e circa la metà rispetto ai valori registrati in Francia e Spagna – entrambi superiori al 41%.
“Il nostro Paese può conseguire ampi margini di contenimento degli effetti sfavorevoli della dinamica demografica agendo sul recupero dei ritardi strutturali”, si legge nel Rapporto. Per farlo, è necessario puntare sul “capitale umano e l’impiego di professioni qualificate, unitamente alla modernizzazione del sistema produttivo”. In particolare, l’Istat esorta a investire nel settore di ricerca e sviluppo. Secondo i dati, dal 2011 al 2021, l’incidenza sul Pil della spesa in R&S è cresciuta – dall’1,20 all’1,48% – ma non ha recuperato il divario rispetto alla media Ue, salita nello stesso periodo dal 2,02 al 2,26%.
Se la popolazione invecchia, conclude l’Istituto,, generando effetti negativi sulla crescita del Pil pro capite, l’unica soluzione è investire sulle nuove generazioni e raggiungere così una migliore valorizzazione individuale e a fronte dell’insufficiente ricambio generazionale.
di Flavio Natale