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Tim Jackson: i soldi non bastano, non c’è felicità senza inclusione nella società
Nel libro “Prosperità senza crescita”, l’economista sostiene che, arrivati a un certo livello di reddito, il benessere generale dipende da altri fattori a cominciare dal lavoro. Ci sono settori sui quali si dovrebbe investire di più.
Uno degli argomenti più dibattuti nella teoria economica è se l’aumento della ricchezza possa sostenere effettivamente nel lungo periodo adeguati livelli di benessere dell’intera popolazione umana. Secondo Tim Jackson, direttore del Centre for the understanding of sustainable prosperity che ha presentato in Campidoglio il 21 novembre la nuova edizione del suo libro “Prosperità senza crescita”, il paradigma crescita economica = benessere è valido solo per la prima fase di sviluppo dei Paesi in cui ancora persiste una situazione d’indigenza diffusa.
In questa fase, infatti, l’aumento del benessere economico garantirebbe un accesso esteso a servizi come quelli igienico sanitari adeguati, istruzione di qualità e sistemi agricoli e di produzione alimentare capaci di soddisfare la domanda interna. A livelli più alti di crescita economica, però, il benessere generale non cresce con la stessa velocità. Dopo una certa soglia, quindi, avere a disposizione più soldi non vuole necessariamente dire essere più felici.
La felicità, la soddisfazione e il benessere sono determinati da altri fattori che la teoria economica tradizionale non prende in considerazione. Tra i più importanti, Jackson individua un nuovo modo di concepire il lavoro, non più sola fonte di guadagno, ma mezzo d’inclusione nella società. Il progresso tecnologico sta puntando ad una automatizzazione del lavoro sempre più serrata che comporterà, oltre al crollo del prezzo del lavoro, anche lo svilimento del sentimento umano di sentirsi utili e di trovare un proprio posto nel mondo. Il problema del lavoro è anche fortemente legato alla mancanza di investimenti in settori che non producono direttamente ricchezza. Secondo l’autore del libro, non è vero che mancano i posti di lavoro: esiste, ad esempio, tutto il settore dei servizi pubblici e alla persona che non viene adeguatamente finanziato o a cui viene data scarsa importanza.
Tim Jackson si pone l’obiettivo di proporre una guida “per uscire dall’ ‘incubo’ economico che ci siamo creati: abbiamo continuato a costruire un’economia per cui si sono privatizzati gli utili rendendo pubblici i costi. Solo rompendo queste distorsioni con una nuova morale economica potremo uscire dalla crisi e concentrarci sul reale benessere degli umani.
Il file rouge dell’analisi di Jackson è la non necessità di una crescita infinita per mantenere un’umanità in condizioni di prosperità”. La prosperità riguarda “il nostro senso d’identità e il perseguimento di un significato delle azioni che compiamo nella nostra vita. Riguarda l’interesse nella nostra abilità di partecipare e fare parte della società in cui viviamo”.
di Giulia D’Agata