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Inclusive development index: un nuovo modo per misurare lo sviluppo
Ecco gli ultimi risultati dell’Idi, l'indice che fornisce un’informazione più accurata sull’andamento economico e sociale rispetto al Pil. Per l’Italia prestazioni poco incoraggianti: ultimo tra i Paesi del G7 e disuguaglianze aumentate.
Cresce il dibattito nel mondo accademico intorno ad un Pil poco adatto nel valutare benessere, sviluppo e ricchezza di un Paese e, di pari passo, si moltiplicano gli indicatori di supporto alla classe politica di tutto il mondo.
Lo scorso gennaio, l’iniziativa “Shaping the Future of Economic Progress”, tenuta a Davos (Svizzera) durante l’ultimo World economic forum, ha presentato i risultati dell’Inclusive develompment index (Idi) con lo scopo di fornire una visione più ampia sulle performance registrate dai Paesi.
A differenza delle informazioni che il Pil offre su ricchezza e crescita, l’Idi si fonda sul concetto che la maggior parte delle persone non valuta il progresso in base a beni e servizi prodotti dall’economia in generale, ma dal tenore di vita posseduto dalla famiglia in cui si vive. Tenore di vita che può essere sintetizzato in un mix tra reddito familiare, opportunità lavorative, sicurezza economica e qualità della vita.
L’Idi, diventato un rapporto presentato annualmente, accanto al Pil e ai flussi finanziari, tiene infatti in considerazione lo sviluppo di un Paese, l’inclusione, l’equità intergenerazionale, la gestione sostenibile delle risorse naturali e l’aspettativa di una vita sana.
In generale, lo studio analizza le informazioni provenienti da 103 Paesi dividendoli in due macro categorie: economie avanzate, dove figurano 29 nazioni, ed economie emergenti con il resto degli Stati.
Dall’ultimo lavoro emerge che è la Norvegia a primeggiare nella classifica generale tra le economie più avanzate e inclusive del mondo. Nazione che nel dettaglio registra ottime performance pure sull’equità intergenerazionale (secondo posto) e la crescita (terza).
Se teniamo in considerazione, invece, solo le economie che fanno parte del G7, è la Germania (12esima nella generale) a registrate un Idi migliore rispetto alle altre, seguono Canada (alla posizione 17), Francia (18), Regno Unito (21), Usa (23), Giappone (24) e, per ultima, l’Italia (27).
Italia che, inoltre, si colloca terzultima tra le economie avanzate, davanti solo a Portogallo (28) e Grecia (29). In particolare, il report fotografa un’Italia con un Idi in declino, caratterizzata da un basso livello di crescita e sviluppo, scarse politiche per la sostenibilità e l’equità intergenerazionale e da un alto tasso di disoccupazione, soprattutto tra i più giovani.
In sostanza, le politiche degli ultimi anni incentrate prettamente sulla crescita, hanno prodotto diversi effetti negativi nel sistema Italia, primo fra tutti l’aumento delle disuguaglianze.
Passando al gruppo delle economie emergenti, spicca la performance della Lituania che si piazza dritta al primo posto della classifica dedicata, seguita dall’Ungheria. Interessante notare come tra le prime dieci posizioni di questa specifica classifica, sei siano occupate da Paesi dell’est Europa: Lettonia (4), Polonia (5), Croazia (7) e Romania (10). Tra i Brics, gruppo composto dai cinque “colossi” delle economie emergenti, è la Russia a primeggiare con il suo 19esimo posto davanti a Cina (26), Brasile (37), India (62) e Sud Africa (69).
L’Idi, dunque, vuole dimostrare come il Pil da solo non sia sufficiente nel valutare i progressi legati alle condizioni di vita dei singoli individui. Un messaggio importante, soprattutto in un periodo dove si inizia a registrare una robusta ripresa della crescita su larga scala. Motivo in più, e il concetto è stato sottolineato anche durante il summit di Davos, per giudicare in modo oculato le proprie scelte, perché sarebbe sbagliato aspettarsi un sicuro aumento di benessere in corrispondenza di un aumento del Pil.
di Ivan Manzo